Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21705 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21705 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22434/2024 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1622/2024 depositata il 10/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 10.4.24 la corte d’appello di Napoli, in riforma di sentenza del tribunale della stessa sede, ha rigettato l’impugnativa della sospensione cautelare del lavoratore in epigrafe, disposta quale misura facoltativa in caso di procedimento penale per reato non colposo ove il lavoratore aveva ottenuto la libertà provvisoria, ai sensi dell’articolo 228, comma 2, del contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto applicabile la detta norma al caso della revoca degli arresti domiciliari ed ha ritenuto la misura non disciplinare ma pubblicistica e provvisoria (essendo i suoi effetti assorbiti nel procedimento disciplinare che ne consegue, non solo possibile, ma anche necessario in ogni caso all’esito del processo penale, e quale che sia l’esito dello stesso).
La corte territoriale ha inoltre ritenuto i fatti diversi da quelli già oggetto di altro procedimento disciplinare (la cui impugnazione era stato oggetto di conciliazione), sicché il procedimento disciplinare nuovo era possibile e non vi era alcuna violazione del ne bis in idem.
Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste il datore con controricorso.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 228, comma 2, del contratto collettivo per avere Il giudice del merito ritenuto erroneamente che la norma in esame conceda datore di lavoro La facoltà di sospendere in via cautelare il lavoratore non più sottoposto alla misura cautelare restrittiva della libertà personale, in pendenza del procedimento penale, senza alcuna limitazione temporale, e con effetto sostanzialmente privativo della retribuzione (senza peraltro neppure possibilità di accesso a misure di sostegno al reddito).
Il secondo motivo deduce violazione della stessa norma per avere trascurato che il datore non aveva indicato i motivi della sospensione (che sono autonomi rispetto al processo penale).
Il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 2104 e 2106 c.c., per avere la corte territoriale ricondotto la sospensione al potere disciplinare e non a quello direttivo, con erroneità conseguente dei criteri di valutazione.
Il primo motivo è infondato.
L’art. 228 su richiamato, rubricato ‘Normativa sui procedimenti penali’, è chiaro nel prevedere che ‘Ove il dipendente sia privato della libertà personale in conseguenza di procedimento penale, il datore di lavoro lo sospenderà dal servizio e dallo stipendio o salario e ogni altro emolumento e compenso fino al giudicato definitivo. In caso di procedimento penale per reato non colposo, ove il lavoratore abbia ottenuto la libertà provvisoria, il datore di lavoro ha facoltà di sospenderlo dal servizio e dallo stipendio o salario e ogni altro emolumento o compenso. Salva l’ipotesi di cui al successivo comma, dopo il giudicato definitivo il datore di lavoro deciderà sull’eventuale riammissione in servizio, fermo restando che comunque il periodo di sospensione non sarà computato agli effetti dell’anzianità del lavoratore. Nella ipotesi di sentenza definitiva di assoluzione con formula piena il lavoratore ha diritto in ogni caso alla riammissione in servizio. In caso di condanna per
delitto non colposo commesso fuori dell’azienda, al lavoratore che non sia riammesso in servizio spetterà il trattamento previsto dal presente contratto per il caso di dimissioni. Il rapporto di lavoro si intenderà, invece, risolto di pieno diritto e con gli effetti del licenziamento in tronco, qualora la condanna risulti motivata da reato commesso nei riguardi del datore di lavoro o in servizio.’.
Occorre premettere che, nel caso di specie, la parte impugna la sanzione della sospensione cui vorrebbe applicare i principi propri del procedimento disciplinare (mentre non solleva la diversa questione dell’attivazione di procedimento disciplinare all’esito del procedimento penale, non risultando peraltro che i presupposti della sospensione facoltativa siano venuti meno).
In tema di sospensione facoltativa la giurisprudenza ha affermato in passato (pur con riferimento non a questa sospensione contrattuale ma alla sospensione prevista in altri settori, ad es. nel pubblico impiego) che si tratta di un’ipotesi autonoma di sospensione che ha fondamento del contratto collettivo e prescinde dalla disciplina del procedimento disciplinare: secondo Sez. L, Sentenza n. 3319 del 19/05/1986 (Rv. 446292 -01), la sospensione cautelare del lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare o penale, se non prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva, può essere applicata dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere direttivo, solo nel senso che egli può rinunciare ad avvalersi delle prestazioni del lavoratore stesso, ferma peraltro la sua obbligazione di corrispondere la retribuzione in relazione al perdurante rapporto di lavoro, laddove invece, se normativamente o convenzionalmente prevista, può legittimare, oltre alla sospensione dell’attività lavorativa, anche quella della controprestazione retributiva, se espressamente contemplata. La relativa durata è limitata al tempo occorrente per lo svolgimento della procedura cui la sospensione accede e la sua efficacia è destinata ad esaurirsi non appena tale procedura sia ultimata, con
l’ulteriore conseguenza che, se interviene il licenziamento del lavoratore, il rapporto deve considerarsi risolto retroattivamente, ossia alla data di sospensione cautelare del dipendente, mentre se non interviene alcun licenziamento, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui le relative obbligazioni sono rimaste sospese, salvo il risarcimento del danno, ove sia ravvisabile altresì violazione di obblighi di correttezza e lealtà, ovvero per lesione del diritto del lavoratore a svolgere la sua attività lavorativa con i conseguenti riflessi professionali. Nel medesimo senso si è detto (Sez. L, Sentenza n. 16321 del 13/07/2009, Rv. 609401 – 01) che il provvedimento di sospensione dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare o penale non ha natura di provvedimento disciplinare, in quanto non integra una sanzione, ma configura una misura cautelare di carattere provvisorio finalizzata al soddisfacimento di esigenze datoriali o pubbliche e destinata ad esaurire i suoi effetti allorché, all’esito del procedimento disciplinare, il datore di lavoro adotti le sue determinazioni. In precedenza, si era anche detto (Sez. L, Sentenza n. 25136 del 13/12/2010, Rv. 615732 – 01) che la sospensione prevista dall’art. 7, quarto comma, della legge n. 300 del 1970, è un provvedimento di natura disciplinare e si differenzia dalla sospensione cautelare, misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, che esaurisce i suoi effetti con l’adozione dei provvedimenti disciplinari definitivi. Ne consegue che alla sospensione cautelare non trova applicazione l’art. 7 della legge n. 300 del 1970, che procedimentalizza l’esercizio del solo potere disciplinare del datore di lavoro.
Più di recente, peraltro, si è precisato (fra le più recenti Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017) che ‘la sospensione, in quanto misura cautelare e interinale, «ha il
carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti» ( Corte Cost. 6.2. 1973 n. 168). … La verifica della effettiva sussistenza di ragioni idonee a giustificare l’immediato allontanamento è indissolubilmente legata all’esito del procedimento disciplinare, perché solo qualora quest’ultimo si concluda validamente con una sanzione di carattere espulsivo potrà dirsi giustificata la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in attesa dell’accertamento della responsabilità penale e disciplinare’ (così Cass. 20708/18) .
Dunque, se il datore applichi la sospensione facoltativa, una volta venuti meno i presupposti della stessa, in caso di condanna, sarebbe attivabile un procedimento disciplinare in relazione alla condanna penale intervenuta, mentre, in caso di assoluzione, il lavoratore avrebbe diritto alla restituito in integrum.
Dalla specialità della disciplina deriva anche l’infondatezza dei motivi secondo e terzo del ricorso: il secondo motivo, peraltro, reca a monte profili di inammissibilità per la sua novità che richiede un accertamento di fatti (l’esistenza o meno di indicazione dei motivi della sospensione) che non può operarsi in sede di legittimità; il terzo motivo del pari non è idoneo ad attaccare la sentenza nella parte in cui applica la norma speciale, posto che l’applicazione della norma speciale opera a prescindere dalla qualificazione data al relativo potere datoriale.
Ne discende il rigetto del ricorso.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 4000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 giugno 2025.