Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30752 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30752 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
1. Il Tribunale di Padova, decidendo sulle cause riunite proposte da NOME COGNOME e dall’Azienda Ospedaliera di Padova, ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria sulle domande proposte dall’Azienda e volte alla restitu zione delle somme indebitamente percepite da NOME COGNOME quali compensi per le prestazioni svolte, spettando la giurisdizione a lla Corte dei conti, ha condannato l’Azienda Ospedaliera a corrispondere all’COGNOME la complessiva somma di € 79 .825,26 a titolo di compensi non percepiti nel periodo di sospensione dal servizio, oltre accessori ed ha rigettato le altre domande proposte.
2. La Corte di Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’Azienda Ospedaliera avverso tale sentenza, ha dichiarato la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria sulle domande proposte dall’Azienda Ospedal iera di Padova e riguardanti la restituzione ex artt. 2033 e 2041 cod. civ. delle somme indebitamente percepite da NOME COGNOME quali compensi per le prestazioni svolte e per l’effetto, limitatamente a tali domande , ha rimesso le parti dinanzi al prim o giudice ed ha rigettato nel resto l’appello principale; in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da NOME COGNOME ha rideterminato in € 85.520,72 il risarcimento del danno già riconosciuto dal Tribunale ed ha condannato l’Azienda Os pedaliera di Padova a pagare ad NOME COGNOME l’ulteriore importo di € 2.695,46, ha accertato il
diritto del medesimo a percepire dall’Azienda Ospedaliera di Padova la somma di € 50.655,15 a titolo di compensi non pagati ed ha condannato l’Azienda a corrispondergli il suddetto importo, oltre accessori.
L’COGNOME, Professore Ordinario presso l’Università di Padova e Direttore della Clinica Ostetrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova, era stato sospeso dall’attività assistenziale ai sensi dell’art. 5, comma 14, del d. lgs. n. 517/1999 con delibera del Dir ettore Generale dell’Azienda Ospedaliera del 3.11.2008, avente decorrenza dal 4.11.2008, per comportamenti oggetto di una denuncia anonima e di articoli di stampa ed era stato riammesso in servizio in data 16.9.2009, a seguito di ordinanza del Consiglio di Stato che aveva sospeso il provvedimento dell’Azienda.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha accolto l’appello principale dell’Azienda Ospedaliera ritenendo la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda restitutoria di somme indebitamente percepite dall’COGNOME a titolo di compenso proposta dall’Azienda Ospedaliera ; ha evidenziato che tale domanda riguarda un profilo diverso e distinto rispetto al danno che l’Azienda Ospedaliera assume di avere subito a seguito degli illeciti comportamenti dell’COGNOME nella gesti one del reparto di ginecologia al quale era preposto.
Ha respinto nella restante parte l’appello principale, rilevando che l’illegittimità del provvedimento di sospensione era stata evidenziata dal Consiglio di Stato nel provvedimento con cui era stata accolta l’istanza di sospensione dell’esecutività delle delibere e pertanto andava riconosciuto il risarcimento del danno da lucro cessante in relazione al periodo dal 4 novembre 2008 al 16 giugno 2009 (data della riammissione in servizio).
Il giudice di appello ha ritenuto dovuto il risarcimento del danno da lucro cessante nei confronti del l’ COGNOME, in quanto il provvedimento di sospensione era illegittimo per mancata provocazione del contraddittorio e per violazione del diritto di difesa, anche in relazione al profilo della puntualità e della pertinenza delle contestazioni; ha sul punto richiamato la sentenza di primo grado, secondo cui la sospensione era stata motivata con riferimento a comportamenti non meglio precisati, oggetto di una denuncia anonima, oltre che di articoli di
stampa, nonché la giurisprudenza di legittimità secondo cui è irrilevante la possibilità di una legittima rinnovazione dell’atto.
7 . Ha comunque ritenuto l’illegittimità del provvedimento di sospensione, ove riferito alla falsa attestazione da parte del prof. COGNOME di avere eseguito in data 9.11.2007 un intervento in favore di NOME COGNOME quando invece era in Cina per partecipare ad un congresso; ha in particolare evidenziato che vi era discordanza tra i diversi documenti formati perché nel registro operatorio era stato annotato il nome dell’effettivo operatore e solo nel conto prestazioni, atto interno all’azienda e privo d i funzione fidefaciente, era stato indicato il nome dell’COGNOME ma non da quest’ultimo bensì dal dott. COGNOME al quale, eventualmente, l’imprecisione andava addebitata.
Considerato che al momento dell’adozione del provvedimento di sospensione i fatti descritti nella relazione ispettiva non erano conosciuti, e che nemmeno in seguito erano stati rappresentati al destinatario incolpato, non essendosi concluso il nuovo proced imento avviato a seguito delle ‘verifiche interne’, ha ritenuto non significativa la circostanza che la condotta dell’COGNOME sarebbe successivamente emersa in termini più gravi di quelli rappresentati nel provvedimento di sospensione.
La Corte territoriale ha parzialmente accolto l’appello incidentale, rideterminando nella misura di € 82.520,72 il risarcimento del danno già riconosciuto dal Tribunale e accogliendo anche la domanda, sulla quale il tribunale non aveva provveduto, di pagamento dei compensi non corrisposti e dovuti per lo svolgimento di attività in regime di intramoenia, quantificati in euro 50.655,15; ha invece respinto i motivi di appello incidentale formulati avverso il capo della sentenza che aveva escluso il danno all’immagine e che aveva abbat tuto del 50% l’importo spettante a titolo di lucro cessante.
A l riguardo ha evidenziato che il danno all’immagine non era dipeso dal provvedimento di sospensione, ma dalla diffusione, non addebitabile alla Azienda, di una notizia oggettivamente vera ad opera della stampa locale, tanto che gli accertamenti da parte della Azienda medesima erano stati avviati sulla base dell’ input giornalistico ; d’ altro canto non era stato accertato in giudizio che l’ Azienda avesse comunicato notizie palesemente infondate, create ad arte per
provocare discredito, essendo invece emerso che le iniziative assunte si fondavano su fatti veri nella loro ontologica esistenza, tanto che l’COGNOME si era difeso sostenendo che nessun pregiudizio patrimoniale aveva subito l’ Amministrazione, la quale doveva comunque pagare i medici che si erano occupati di ciascun singolo intervento e quindi la questione rimaneva interna ai rapporti fra questi ultimi.
Ha ritenuto condivisibile anche la decurtazione del 50% delle somme spettanti a titolo di lucro cessante, in quanto il coinvolgimento dell’COGNOME nella vicenda aveva ridotto la sua capacità di guadagno e la percentuale di abbattimento non era stata oggetto di censura; ha infine evidenziato che le singole poste di danno non patrimoniale erano state quantificate senza alcun riferimento a parametri verificabili sicché, in ragione di detta genericità, non era neppure possibile la liquidazione equitativa.
12 . Avverso tale sentenza l’Azienda Ospedaliera di Padova ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria.
NOME COGNOME oltre a resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
DIRITTO
1.Con l ‘unico motivo, il ricorso principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 14, del d. lgs. n. 517/1999 in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui la sospensione introdotta dall’art. 5, comma 14, del d. lgs. n. 517/1999 non ha carattere disciplinare diretto o indiretto, né ha carattere strumentale rispetto a quello disciplinare, ma esclusivamente cautelare, non essendo funzionale al corretto adempimento delle obbligazioni lavorative gravanti sui dipendenti, ma alla correttezza dell’agire dell’Amministrazione sanitaria .
Evidenzia che dall’espressa riserva del potere disciplinare alla competenza del rettore si desume che i procedimenti sanzionatori si svolgon o nell’ambito del
rapporto con l’Amministrazione universitaria, secondo le regole proprie di quel rapporto.
Addebita alla Corte territoriale di avere applicato alla sospensione tutte le garanzie previste per il potere disciplinare, ed in particolare quelle del contraddittorio e di immutabilità della contestazione, ignorando la distinzione tra la sospensione da parte del Direttore generale a tutela di interessi pubblici e il procedimento disciplinare da parte del rettore nell’ambito del rapporto individuale.
Sostiene che in ragione della natura cautelare del provvedimento, per la sospensione è sufficiente una situazione oggettiva di grave nocumento per gli interessi dell’Azienda ; aggiunge che nel caso di specie era necessario tamponare l a situazione di gravissimo discredito che minacciava di investire l’Azienda, a fronte del clamore mediatico ingenerato dalla campagna di stampa montata nel 2008 , evidenziando che l’Azienda aveva correttamente cristallizzato la situazione e attivato un accertamento su vicende poco chiare.
Assume che il provvedimento di sospensione può essere adottato alla sola condizione del parere conforme espresso da un apposito Comitato di tre garanti entro 24 ore dalla richiesta.
Argomenta che ai fini dell’adozione del provvedimento di sospensione, non è necessaria l’accertamento della grave violazione dei doveri d’ufficio, ma è sufficiente che tale violazione sia prospettabile al momento dell’adozione del provvedimento; rimarca che nel caso di specie la sospensione era stata adottata a fronte della denuncia del 2007, della successiva iniziativa della Guardia di Finanza e degli articoli pubblicati sulla stampa locale nelle date del 30 e 31 ottobre 2008.
Deduce che la lesione dell’immagine dell’azienda era in re ipsa a prescindere dal danno patrimoniale, e che le esigenze cautelari erano indubbiamente presenti, a nulla rilevando la successiva ed ipotetica legittimità del comportamento dell’COGNOME ; addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato che al fine di tutelare l ‘immagine dell’Azienda era necessario per l’Azienda dare un concreto segnale, dato il contesto ed il momento in cui la sospensione era stata disposta, e per non avere valorizzato, ai fini del
rafforzamento dell’esigenza cautelare, la successiva verifica di comportamenti dell’Ambrosini censurabili e lesivi dell’immagine stessa.
A ddebita alla Corte territoriale l’omessa considerazione del contenuto completo della documentazione prodotta in giudizio, ed in particolare la circostanza che nel ‘conto prestazioni’ il prof. COGNOME era indicato anche come ‘primo operatore’, e che in tale qualità aveva percepito i compensi per l’attività operatoria secondo le percentuali predeterminate, conseguendo profitti non dovuti.
Con il primo motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 52 R.D. n. 1234/1934 e dell’art. 1, comma 4, della legge n. 20/1994, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario sulle domande restitutorie proposte dall’Azienda.
Evidenzia che secondo l’art. 5, comma 2, d. lgs. n. 502/1992 nel caso di specie trovano applicazione le norme stabilite per il personale del Servizio Sanitario Nazionale, nonché l’art. 3, comma 1 -bis, del d.lgs. n. 502/1992, secondo cui le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui sono riconducibili al danno erariale tutte le condotte del soggetto (collegato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di servizio), che consistano in azioni o omissioni imputabili anche a sola colpa o negligenza e arrechino detrimento alla Pubblica Amministrazione stessa, e secondo cui il dato essenziale che radica la giurisdizione contabile è rappresentato dall’evento dannoso verificatosi a carico di una P.A.
Rimarca che la giurisdizione della Corte dei conti è stata riconosciuta anche con riferimento a richieste di risarcimento del danno subito dall’Amministrazione per la riscossione, da parte del soggetto privato, di somme di denaro in ragione di comportamenti fraudolenti consistiti nella contraffazione di documenti o di compensi non dovuti.
Precisa che nel caso di specie la ripetizione di indebito non è autonoma rispetto alla condotta in ipotesi illecita dell’ accipiens , mentre le pronunce menzionate dalla sentenza impugnata si riferiscono alla diversa fattispecie di
somme corrisposte dall’Amministrazione senza che vi fosse stata indotta da false attestazioni dell’ accipiens .
Con il secondo motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2055 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’applicabilità dell’art. 2055 cod. civ.
Lamenta la contraddittorietà e la mancanza di chiarezza della motivazione della sentenza impugnata, che ha comunque riconosciuto l’apporto concausale di più fattori eziologici ed ha ritenuto che all’Amministrazione non fosse imputabile alcuna condotta illecita né la violazione di specifiche disposizioni contrattuali, pur avendo riconosciuto l’illegittimità del provvedimento di allontanamento, che era stato la principale causa della lesione dell’immagine e dei conseguenti pregiudizi sofferti dall’COGNOME.
Evidenzia che ai sensi dell’art. 2055 cod. civ. , qualora più soggetti abbiano arrecato danno ad una persona si ha responsabilità solidale di tutti i danneggianti e che alle medesime conclusioni si perviene quando uno dei corresponsabili debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale e il danno sia riferibile a diversi inadempimenti.
Critica la sentenza impugnata per avere riconosciuto un abbattimento, comunque sproporzionato, dell’importo spettante a titolo di lucro cessante, e per non avere riconosciuto il danno derivato all’COGNOME dalla lesione del diritto all’immagine.
Sostiene che l’offesa all’onere e alla reputazione, il discredito e la perdita di clientela sofferti dall’COGNOME erano derivati dal provvedimento di sospensione, con la conseguente protratta inattività, e non dalle notizie di stampa apparse prima della sospensione.
Con il terzo motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2059 cod. civ. e dei principi di integralità del risarcimento del danno, nonché violazione ed errata applicazione degli artt. 1226 e 2056 cod. c iv., nonché dell’art. 24 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso il risarcimento dei danni non patrimoniali.
Deduce che la stessa natura del danno non patrimoniale non consentiva di legare la quantificazione a parametri verificabili e richiede una valutazione in termini equitativi.
Evidenzia che a seguito dell’illegittima privazione della Direzione della clinica, il Prof. COGNOME aveva riportato un danno esistenziale, un danno morale e un danno all’immagine; aveva in particolare lamentato disfunzioni e problemi di salute, anche di natura psichica, mai avvertiti prima e per i quali era dovuto ricorrere ad apposite cure mediche, aveva riportato una sofferenza morale ed aveva parzialmente alterato le sue abitudini di vita, nonché le relazioni personali e familiari.
Richiama i documenti depositati nel giudizio di primo grado, ed in particolare la certificazione medica depositata a sostegno della domanda di risarcimento del danno biologico, nonché gli articoli di stampa che avevano dato risalto al provvedimento di sospensione, evidenziando che il Prof. COGNOME aveva diligentemente avanzato tutte le richieste probatorie concepibili a supporto della domanda risarcitoria.
Lamenta che la Corte territoriale non aveva considerato i documenti prodotti né le istanze istruttorie, senza peraltro motivare sulla mancata ammissione delle prove.
Aggiunge che il discredito e la compromissione della reputazione e dell’immagine del prof. COGNOME costituiscono profili oggettivi di danno che erano conseguiti ipso facto dall’illegittima sospensione.
5. L ‘eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata.
L ‘articolazione del ricorso principale in un motivo con più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015; Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021).
L’inammissibilità resta dunque circoscritta alla sola ipotesi di censure inscindibilmente connesse fra loro e formulate con modalità tali da sollecitare la Corte a ricondurre all’uno o all’altro vizio doglianze generiche e non precisate ed a ricercare autonomamente le ragioni della violazione di legge e del vizio motivazionale denunciati in rubrica; tale situazione non ricorre nel caso di specie, in quanto l’esposizione dei motivi del ricorso consente in ogni caso l’individuazione e l’analisi separata delle singole doglianze.
Non possono inoltre ritenersi nuove le questioni relative al carattere cautelare del provvedimento di allontanamento e alla sufficienza delle prospettazioni delle gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, essendo in discussione l’illegittimità del provvedimento adottato; la normativa sulla base della quale è stato emesso il provvedimento di sospensione andava pertanto esaminata ed interpretata anche d’ufficio, per il principio iura novit curia , a prescindere dalle prospettazioni delle parti.
Né può ritenersi conferente il principio di autosufficienza, considerato che il ricorso non si fonda sull’interpretazione della delibera di sospensione, ma sulla violazione della normativa sulla base della quale è stato emesso il provvedimento di sospensione, e alla luce della quale va dunque valutata la legittimità dell’atto.
Si deve inoltre premettere che non ha valore di giudicato il provvedimento avente mera natura cautelare del giudice amministrativo, che peraltro successivamente ha declinato la propria giurisdizione (v. pag. 5 del controricorso).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno in proposito chiarito che il provvedimento cautelare del giudice amministrativo, al pari di quello emesso dal giudice ordinario, è destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza di merito, non assume carattere decisorio, e non incide in via definitiva sulle posizioni soggettive con la forza dell’atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato (Cass. S.U. n. 21677/2013; Cass. S.U. n. 12864/2020)
Il ricorso principale, seppure ammissibile, è infondato.
L’ art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999 stabilisce: ‘Ferme restando le sanzioni ed i procedimenti disciplinari da attuare in base alle vigenti disposizioni di legge, nei casi di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, il direttore generale
previo parere conforme, da esprimere entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito comitato costituito da tre garanti, nominati di intesa tra rettore e direttore generale per un triennio, può sospendere i professori ed i ricercatori universitari dall’attività assistenziale e disporne l’allontanamento dall’azienda, dandone immediata comunicazione al rettore per gli ulteriori provvedimenti di competenza (…)’.
Questa Corte ha già interpretato tale norma, enunciando i seguenti principi di diritto:
‘1) l’applicazione del principio generale secondo cui le attività assistenziali svolte dai professori e dai ricercatori universitari di medicina devono integrarsi con quelle di didattica e ricerca comporta che tutte le suddette attività debbano svolgersi in modo altrettanto corretto e che, quindi, anche le attività assistenziali -che, di per sé, sfuggono al potere disciplinare delle Università da cui i docenti dipendono -non siano poste in essere in modo non conforme ai doveri che l’interessato deve rispettare nei confronti dell’Azienda sanitaria cui è assegnato; 2) il potere di sospensione dall’attività assistenziale e di allontanamento dall’Azienda sanitaria cui sono assegnati esercitabile nei confronti dei medici universitari da parte del Direttore generale della stessa, ai sensi dell’art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517 del 1999, non ha carattere disciplinare -in quanto una simile configurazione si porrebbe in contrasto con l’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, che attribuisce tale potere solo all’Amministrazione datrice di lavoro e ne rinvia la disciplina alla contrattazione collettiva- ma neppure può considerarsi ‘strumentale’ rispetto al potere disciplinare del Rettore perché questo equivarrebbe a negare l’autonomia e la pari -ordinazione connaturate al rapporto tra Università e Azienda sanitaria da sempre riconosciute nel nostro ordinamento, con la specificazione della conformazione dei reciproci rapporti al principio di leale cooperazione. Ne deriva che il suddetto potere va configurato le volte in cui ritenga che ricorra l’ipotesi di ‘gravissime mancanze ai doveri d’ufficio’ commesse da un docente universitario nell’esercizio dell’attività assistenziale, alla sola condizione del previo parere espresso, entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito comitato di tre garanti, (nominati di intesa tra Rettore e Direttore Generale), parere che peraltro rappresenta solo un apporto
consultivo esterno, che resta distinto dal potere di iniziativa riservato al Direttore generale dell’Azienda sanitaria’(Cass. n. 25670/2017 ).
Tali principi vanno letti unitamente alla motivazione della medesima sentenza (successivamente ripresa e ribadita da Cass. n. 11765/2021 e da Cass. n. 15684/2024), la quale ha evidenziato che il procedimento previsto per l’esercizio di tale potere, piuttosto snello e rapido nell ‘interesse sia dell’Azienda che del medico universitario, consente comunque il pieno esercizio del diritto di difesa perché il destinatario viene posto in condizione di conoscere l’iniziativa assunta dall’Amministrazione, l’oggetto del provvedere, nonché l’organo investito dell’eventuale attività istruttoria; la medesima pronuncia ha inoltre chiarito che l’esercizio del potere di sospensione ex art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999 è volto a tutelare interessi pubblici riconducibili all’art. 97 Cost., in un settore di particolare rilievo sociale, e che quindi deve essere esercitato dal Direttore generale dell’Azienda sanitaria nel rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, a fronte di una situazione nella quale il destinatario ha posto in essere un comportamento (gravissime mancanze ai doveri d’ufficio) che si pone certamente in contrasto con le suddette clausole, cui tutti i dipendenti pubblici devono attenersi nello svolgimento del loro lavoro.
Questa Corte , con un’interpretazione costituzionalmente orientata, ha dunque riconosciuto che nel procedimento ex art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999 deve essere assicurato il diritto alla difesa e al contraddittorio.
Tale interpretazione è del tutto condivisibile, considerato che il provvedimento di sospensione previsto dall’art. 5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999, è svincolato da un eventuale successivo provvedimento disciplinare, e si diversifica, dunque, dalla sospensione cautelare, che costituisce una misura interinale con il carattere della provvisorietà e della rivedibilità (come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 168/1973) e si inserisce in un contesto nel quale la pienezza del diritto di difesa è garantita dal procedimento disciplinare e dall’operatività dell’istituto della restitutio in integrum che opera in caso di archiviazione ed ogniqualvolta la sanzione inflitta non giustifichi il disposto allontanamento.
La tesi prospettata dall’Azienda nella sostanza finisce per ravvisare nel provvedimento di sospensione ex art.5, comma 14, del d.lgs. n. 517/1999 un atto afflittivo unilateralmente adottato dall’Amministrazione in assenza di contraddittorio e di garanzie difensive, il che esporrebbe la norma a sospetto di incostituzionalità.
L’esercizio del diritto alla difesa presuppone che le ‘gravissime mancanze ai doveri d’ufficio ‘ vengano esplicitate in modo chiaro nel provvedimento di sospensione, per consentire il controllo su lla legittimità dell’operato dell’Amministrazione in sede giurisdizionale.
In ragione del carattere autonomo del provvedimento di sospensione, che prescinde da un eventuale e successivo provvedimento disciplinare, deve inoltre escludersi che sia sufficiente la mera prospettabilità di tali mancanze.
La Corte territoriale, che ha ritenuto illegittimo il provvedimento di sospensione per mancata provocazione del contraddittorio e per violazione del diritto di difesa anche in relazione al profilo della puntualità e pertinenza delle contestazioni, si è dunque attenuta ai principi enunciati da questa Corte.
La censura relativa all’omesso esame d el fatto decisivo (costituito dalla circostanza che nel ‘conto prestazioni’ il prof. COGNOME era indicato anche come ‘primo operatore’ e che in tale qualità aveva percepito i compensi per l’attività operatoria secondo le percentuali predeterminate, conseguendo profitti non dovuti) è inammissibile.
T rova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato. Occorre preliminarmente evidenziare che con decreto del 10 settembre 2018 il Primo Presidente di questa Corte, rilevato che si sono formati orientamenti ormai consolidati sulle questioni di giurisdizione nella materia del pubblico impiego
contrattualizzato, ha assegnato alla Sezione Lavoro i ricorsi per cassazione avverso le sentenze di giudici ordinari che affrontano dette questioni.
In fattispecie in cui erano venute in rilievo azioni risarcitorie, le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti affermato il principio secondo cui l’a zione di responsabilità per danno erariale e quella di responsabilità civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti al giudice ordinario restano reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali, essendo la prima volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, con funzione prevalentemente sanzionatoria, e la seconda, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria ed integralmente compensativa, a protezione dell’interesse particolare della amministrazione attrice, sicché le eventuali interferenze tra i due giudizi integrano una questione non di giurisdizione ma di proponibilità dell’azione di responsabilità innanzi al giudice contabile, rendendo conseguentemente inammissibile il ricorso (Cass. S.U. n. 36205/2021).
L’azione di responsabilità contabile nei confronti dei sanitari, ammissibile anche nel regime antecedente all’entrata in vigore della l. n. 24 del 2017, non esclude che l’amministrazione possa esperire le ordinarie azioni civilistiche di responsabilità, in quanto si tratta di azioni distinte, autonome e volte alla tutela di differenti interessi, i quali, nel primo caso, sono di carattere pubblico e generale, perché attinenti buon andamento della P.A. e al corretto impiego delle risorse, e, nel secondo caso, restano circoscritti all’Amministrazione attrice, che agisce con finalità non sanzionatorie, bensì al solo scopo di ottenere il pieno ristoro del danno subito; tali azioni, se cumulativamente esercitate, incontrano il limite del divieto di duplicazione delle pretese risarcitorie, dovendosi tener conto, con effetto decurtante, di quanto già liquidato in altra sede (Cass. S.U. n. 17634/2024).
Tali principi sono stati affermati anche dalla Corte costituzionale, la quale, sul presupposto dell’autonomia e indipendenza delle azioni anche quando investano i medesimi fatti materiali, ha affermato che «un pubblico agente può essere convenuto affinché ne venga accertata la responsabilità per entrambi i titoli ovvero essere attinto da una soltanto delle due azioni, non sussistendo i
presupposti per l’esercizio di entrambe, senza naturalmente che vi sia cumulo del danno risarcibile, erariale o civile» (Corte Cost. 28 luglio 2022 n. 203).
La sentenza impugnata, che ha escluso la giurisdizione della Corte dei conti ed ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda restitutoria proposta dall’Azienda Ospedaliera, è dunque conforme a tali principi.
11. Il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017), e la censura non lamenta il carattere apparente della motivazione.
Inoltre la censura non coglie esattamente la ratio della sentenza impugnata La sentenza impugnata ha collegato la percentuale del 50% in relazione al lucro cessante alla «ridotta capacità di guadagno derivata dall’essere stato coinvolto nella vicenda» ed ha escluso che il danno all’immagine fosse da addebitare al provvedimento di sospensione, in quanto erano state le notizie giornalistiche a dare l’ input per l’attivazione del procedimento e l’azienda non aveva aggravato colposamente il danno in quanto non aveva comunicato alla stampa notizie non veritiere, né aveva fondato l’iniziati va assunta da fatti inesistenti.
La Corte territoriale ha dunque ritenuto che il danno all’immagine, prodotto da altri e quindi non addebitabile all’Azienda Ospedaliera, avrebbe anche inciso sulla capacità di produzione del reddito (per attività intramoenia) e, pertanto, di quella ridotta capacità l’azien da non poteva rispondere.
La censura, nel sostenere che l’allontanamento dalla clinica era stato la causa principale della lesione all’immagine e dei conseguenti pregiudizi sofferti dall’COGNOME mira alla revisione di tale accertamento in fatto attraverso la rilettura della documentazione in atti.
Anche il terzo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
Le statuizioni riguardanti la preclusione della liquidazione equitativa delle singole poste di danno non patrimoniale costituiscono infatti una seconda ratio decidendi rispetto a quella principale, secondo cui non vi sarebbe stata corresponsabilità nella causazione di detto danno riferibile, piuttosto, a clamore che la vicenda aveva avuto a prescindere dal provvedimento di sospensione.
Deve in proposito rammentarsi che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.
14 . Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione dell’esito del giudizio.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per entrambe le parti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rige ttato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.
D à atto della sussistenza dell’obbligo d el ricorrente principale e del ricorrente incidentale , ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della