Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27763 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27763 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5900-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1469/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/12/2022 R.G.N. 1203/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
PUBBLICO
IMPIEGO
SANZIONE DISCIPLINARE
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Catania in parziale accoglimento del gravame della COGNOME COGNOME dichiarava l’illegittimità della sospensione cautelare dal servizio con privazione della retribuzione disposta dal 1° Aprile 2011 fino al 14 giugno 2011 e dal 30 dicembre 2011 fino alla revoca del 30 gennaio 2013, con conseguente riconoscimento delle differenze retributive.
Confermava nel resto la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione della retribuzione e dal servizio irrogata il 30 maggio 2013 ed il rigetto della domanda di risarcimento del danno per asserito mobbing datoriale.
Ricorreva in Cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con sette motivi di ricorso cui resisteva con controricorso la COGNOME COGNOME.
Entrambe le parti depositavano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ..
La Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo per il giudizio discusso tra le parti del mancato rinnovo della notifica, una volta disposto, giusta decreto presidenziale del 30 Aprile 2020, il differimento dell’udienza di discussione al 27 ottobre 2020.
Con il secondo motivo si eccepisce la violazione falsa applicazione dell’articolo 112, cod. proc. Civ., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4, cod proc civ; nonché la nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 156 cod. proc. civ., avendo erroneamente la Corte omesso di pronunciarsi sulla eccezione
di improcedibilità formulata nella memoria di costituzione e difesa dell’odierna ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 156,160,164,325,326,327,414,433,434 e 435 cod. proc. Civ., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ; nullità della sentenza.
La ricorrente afferma di avere eccepito l’inesistenza della notifica dell’atto di appello in quanto effettuata presso la sede reale dell’RAGIONE_SOCIALE e non già presso lo studio del procuratore costituito in primo grado, lamentando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente dichiarato l’effetto sanante della costituzione dell’Asp ex tunc e non già ex nunc, con conseguente improcedibilità dell’appello della COGNOME COGNOME.
I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente avendo gli stessi ad oggetto l’asserita inesistenza della notifica dell’atto di appello e, comunque, la questione della improcedibilità del gravame medesimo.
A riguardo, la Corte territoriale ha motivatamente pronunciato in ordine all’eccezione di improcedibilità per inesistenza della notifica dell’atto di appello rilevando quanto segue: ‘In via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla parte appellata. Deve essere, infatti, richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la notifica dell’impugnazione effettuata alla parte personalmente e non al suo procuratore nel domicilio dichiarato o eletto produce non l’inesistenza, ma la nullità della notifica stessa, dovendo conseguentemente essere disposta ‘ex officio’ la rinnovazione sensi dell’articolo 291 cod. proc. civ., salvo che la parte intimata non si sia costituita in giudizio (così da ultimo Cass n. 10500 del 3 maggio 2018).
Ricorrendo tale ipotesi, come nella fattispecie di causa, la nullità deve ritenersi sanata ex tunc, secondo il principio generale dettato dall’articolo 156, comma 2, cod. proc. civ. (Cass. S.L. n. 3666/2019).
Ciò posto, il primo motivo è inammissibile e in ogni caso infondato.
Ed invero, la mancata valutazione dell’eccezione di inesistenza della notifica dell’atto di appello non è riconducibile al vizio dedotto di omessa valutazione di un fatto decisivo ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n.5 c.p.c.. Trattasi di asserita mancata valutazione di una eccezione di improcedibilità che, viceversa, la Corte ha valutato ed esaminato, nella misura in cui ha ritenuto regolare l’instaurazione del contraddittorio non disponendo, pertanto, alcun rinnovo della notificazione dell’atto introduttivo.
Anche il secondo motivo è da ritenersi infondato, attesa la motivazione della Corte territoriale sul punto.
Va, peraltro, rilevato come non sia possibile eccepire in questa sede la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per motivi di ordine processuale.
Per quanto concerne il terzo motivo è da rilevarsi come la Corte abbia ritenuto infondata la richiesta di rinnovazione della notificazione sulla base del consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui la notifica dell’impugnazione effettuata alla parte personalmente e non al suo procuratore nel domicilio dichiarato o eletto, produce non l’inesistenza, ma la nullità della notifica, con conseguente rinnovazione “ex officio” ai sensi dell’art. 291 c.p.c., salvo che la parte intimata non si sia costituita in giudizio (così da ultimo Cass. n. 10500 del 03/05/2018). Ricorrendo tale ipotesi, come nella fattispecie di causa, la nullità deve ritenersi
sanata “ex tunc” secondo il principio generale dettato dall’art. 156, comma 2, c.p.c.. (Cass. S.L. 3666/2019).
Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce la nullità della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
Si censura la pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto l’illegittimità della sospensione cautelare della COGNOME dal servizio, una volta decorso il termine di 180 giorni di cui all’art. 6, comma 6, del D.P.R. n. 171/2011, dalla data della sospensione adottata in forza della determinazione prot. N. 16686 del 15 giugno 2011.
In particolare, seppure nell’impugnata sentenza sia detto che la sospensione cautelare dal servizio è prevista per 180 giorni salvo rinnovo o proroga in presenza di giustificati motivi, nulla la pronuncia dice con riferimento a quanto dedotto dall’RAGIONE_SOCIALE con la memoria di costituzione sulla circostanza che, nella specie, la disposta sospensione non revocata ebbe a prorogarsi sussistendo un giustificato motivo, non potendosi adibire la COGNOME alle previste mansioni sintanto che non ne fosse stata accertata la idoneità al servizio (pag. 10 della memoria di costituzione).
In altri termini, la Corte non si sarebbe pronunciata in ordine all’eccepita ‘proroga implicita’ della sospensione cautelare costituente fatto decisivo ai fini della valutazione circa la legittimità della sospensione cautelare medesima contenuta nella determinazione direttoriale del 15 giugno 2011. In tale determina era stato, infatti, stabilito che, nelle more dell’accertamento relativo all’idoneità psicofisica specifica della COGNOME in via cautelare temporanea ed a tutela delle condizioni
psicofisiche della dipendente, rimaneva ferma la sospensione cautelare dal servizio.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Al riguardo, va premesso che il ricorso in cassazione deve conformarsi al principio di autosufficienza, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., che deve ritenersi rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Sez. 1 – , Sentenza n. 12481 del 19/04/2022 (Rv. 664738 – 01) ed ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o eventualmente ritenuta pacifica Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10761 del 04/04/2022).
Va inoltre precisato (Sez. U – , Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022) che l’anzidetto principio anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito.
Ciò premesso, la censura non deduce specificamente in ordine ad un provvedimento di proroga asseritamente adottato dall’amministrazione e dove, quando ed in che termini la circostanza è stata allegata e portata alla cognizione del
giudice: al riguardo è del tutto insufficiente la scarna trascrizione di stralci della memoria di costituzione.
Inoltre, il provvedimento che avrebbe disposto la eccepita proroga non è trascritto e debitamente localizzato e non si eccepisce la violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. del provvedimento di sospensione cautelare da cui poter evincere, ove correttamente interpretato, la sussistenza di una ‘proroga implicita’ della sospensione cautelare, quale fatto decisivo ai fini della valutazione circa la legittimità della sospensione cautelare medesima contenuta nella determinazione direttoriale del 15 giugno 2011.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; nullità della sentenza.
La ricorrente contesta alla Corte territoriale di non aver esaminato l’eccezione relativa alla proroga della sospensione in forza della cennata determina 16686/2015, con conseguente nullità della sentenza.
Va al riguardo premesso che non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24953 del 06/11/2020).
Orbene, la Corte territoriale con motivazione esaustiva ha ritenuto, come detto precedentemente, insussistente una proroga implicita della sospensione cautelare.
In realtà la censura sotto l’apparente deduzione del vizio di ultrapetizione mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.
D’altra parte, la Corte distrettuale ha esaminato il contenuto della determinazione direttoriale in questione, ritenendo che la stessa in forza dell’articolo 6, comma 6 del D.P.R. n. 171/2011 fosse legittima per i primi sei mesi di validità ed illegittima dal 181° giorno in poi, sul presupposto della mancata allegazione da parte dell’azienda di un atto motivato di rinnovo o proroga della sospensione cautelare.
Va, inoltre, rilevato che la censura difetta di autosufficienza non avendo la ricorrente provveduto a trascrivere la determina direttoriale ai fini della sua valutazione da parte del Collegio.
Con il sesto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 commi primo e secondo, c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
Anche il presente motivo si fonda sull’interpretazione della determinazione del Direttore generale prot. n. 16686 del 15.06.2011 ‘per non avere la corte di merito ‘debitamente valutato il contenuto letterale e logico della cennata determina prot n. 16686/2011 di adozione della predetta sospensione e la violazione del comma secondo del citato art. 1362 cod. civ. per non avere neppure debitamente valutato il comportamento delle parti’.
Va ribadito anche per tale motivo il difetto di autosufficienza della censura in relazione alla mancata indicazione, in sede di ricorso, della sede processuale degli atti e dei documenti sui
quali si fonda il presente motivo di ricorso con particolare riferimento alla determina dirigenziale.
Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 DPR n. 171/2011 e art 55 octies comma 1, lett b) D.Lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma 1. N. 3 c.p.c.
Ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato in ordine all’applicazione del citato articolo 6 ed in particolare del decorso dei 180 giorni in esso previsto; in particolare la decorrenza di detto termine avrebbe dovuto essere calcolata dalla data di entrata in vigore della predetta norma regolamentare, piuttosto che da data antecedente, come effettuato dalla Corte di merito.
Il motivo è infondato.
Al riguardo, l’art. 55 octies del D.lgs. n. 165/2001, come inserito dall’art. 69 D.lgs. n. 27.10.2009, n. 150, prevede che ‘Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 2, comma 2, l’amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro. Con regolamento da emanarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono disciplinati, per il personale delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, nonchè degli enti pubblici non economici: a) la procedura da adottare per la verifica dell’idoneità al servizio, anche ad iniziativa dell’Amministrazione; b) la possibilità per l’amministrazione, nei casi di pericolo per l’incolumità del dipendente interessato nonchè per la sicurezza degli altri dipendenti e degli utenti, di adottare provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio, in attesa dell’effettuazione della visita di idoneità, nonchè nel caso
di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo;…’.
Con D.P.R. n. 171 del 27.07.2011 n. 171 è stato emanato il ‘Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica, a norma dell’articolo 55octies del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165’; l’art. 6 del DPR 171/2011, rubricato ‘Misure cautelari’, così recita: ‘1. L’amministrazione può disporre la sospensione cautelare dal servizio del dipendente nelle seguenti ipotesi: a) in presenza di evidenti comportamenti che fanno ragionevolmente presumere l’esistenza dell’inidoneità psichica, quando gli stessi generano pericolo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità’; b) in presenza di condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio, quando le stesse generano pericolo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità; c) in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo. 6. In ogni caso la sospensione cautelare dal servizio ha una durata massima complessiva di 180 giorni, salvo rinnovo o proroga, in presenza di giustificati motivi’; il successivo art. 9 prevede che ‘1. Le disposizioni oggetto del presente decreto di attuazione dell’articolo 55-octies, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applicano in via automatica, ai sensi dell’articolo 2, comma 3-bis, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001’.
Ciò premesso in termini generali, la Corte territoriale ha, correttamente, motivato: ‘La sospensione cautelare disposta a partire dal 15.6.2011 deve pertanto ritenersi legittima, senza che a tale conclusione possa frapporre ostacolo la formulazione dell’ar t. 55 octies cit., laddove demanda la disciplina a un regolamento da adottarsi ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera b), ovvero a un regolamento rientrante nella categoria di quelli ‘per l’attuazione e l’integrazione’ delle leggi, concretamente adottato con il DPR 171/2011, entrato in vigore solo il 4.11.2011, dopo l’applicazione della sospensione cautelare. A tale riguardo va infatti affermato che l’art. 6 del D.P.R. n. 171 del 2011 ha natura attuativa e integrativa della disposizione normativa di cui al l’art. 55 octies del d.lgs. n. 165 del 2001 che già prevedeva, prima dell’adozione del regolamento di attuazione, la possibilità per l’amministrazione di adottare la sospensione cautelare in determinati casi e a determinati fini, sicchè la norma regolamentare non ha carattere innovativo, ma si è limitata a precisare il contenuto precettivo dell’art. 55-octies (Cass. 22550/2016). Poiché però la norma regolamentare ha disciplinato la sospensione -legittimamente adottata nell’esercizio di una facoltà consenti ta dalla legge e nel rispetto dei presupposti predeterminati -prevedendo che in ogni caso la sospensione cautelare dal servizio ha una durata massima complessiva di 180 giorni, salvo rinnovo o proroga, in presenza di giustificati motivi, deve ammettersi la legittimità della misura per 180 giorni a far data dal 15.6.2011, divenendo illegittima a far data dal 181° giorno e fino alla sua revoca….’ (pag. 8 della sentenza).
Posto che il regolamento in parola è di mera ‘attuazione ed integrazione’ delle fattispecie genericamente delineate dall’art. 55octies del D.lgs. n. 165/2001, le disposizioni in esso
contenute debbano applicarsi ‘in via automatica’ ed immediata, non solo ai procedimenti di verifica della idoneità alle mansioni avviati dalla p.a. dopo il 04.11.2011 (data di entrata in vigore del DPR n. 171/2011), ma anche a quelli ‘in corso’ alla data d i entrata in vigore della disciplina regolamentare in parola e, per quanto di interesse, anche alle misure cautelari ‘interinali’ adottate nell’ambito dei procedimenti non ancora definiti alla data del 04.11.2011.
Ciò premesso, non v’è alcun dubbio che la disciplina regolamentare sopra citata (art. 6, co. 6 DPR 171/2011) debba trovare ‘automatica’ ed immediata applicazione anche alla sospensione cautelare adottata nei confronti della COGNOME contestualmente all’avvi o del procedimento di verifica della sua idoneità psicofisica alle mansioni.
Ne consegue che il termine di durata massimo della sospensione di cui all’art. 6, co. 6 (180 giorni) deve farsi decorrere dalla data di adozione della stessa misura cautelare (15.06.2011) e non già da una data successiva.
La Corte territoriale ha, quindi, correttamente ritenuto la automatica ed immediata applicazione al caso di specie dell’art. 6, comma 6, secondo cui ‘in ogni caso, la sospensione cautelare dal servizio ha una durata massima complessiva di 180 giorni, salvo rinnovo o proroga in presenza di giustificati motivi’, ritenendo che il predetto termine massimo di durata della sospensione dal servizio della dott.sa AVV_NOTAIO decorreva, in ogni caso, dalla data di adozione della misura cautelare (15.06.2011).
Termine, peraltro, non ancora spirato alla data di entrata in vigore del regolamento (04.11.2011); il che avrebbe certamente consentito all’RAGIONE_SOCIALE di provvedere, in prossimità della
scadenza semestrale, al rinnovo o alla proroga della misura, ben potendo valutare la sussistenza o meno dei ‘giustificati motivi’. Tale iter ermeneutico è come detto conforme al principio già enunciato da questa Corte (Cass, 22550/2016) sul carattere attuativo dell’art. 55-octies cit. del suindicato regolamento. In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna alle spese secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al rimborso di € 4.500,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME