Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6170 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6170 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21713/2021 R.G. proposto da :
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA n. 176/2021 pubblicata il 28/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Caltanissetta, con la sentenza n.176/2001 pubblicata il 28/05/2021, ha rigettato il gravame proposto dal Ministero dell’interno nella controversia con NOME COGNOME
La controversia ha per oggetto l’accertamento della illegittimità della sanzione disciplinare della radiazione e cancellazione dall’elenco del personale volontario del comando provinciale di Enna dei Vigili del fuoco, oltre al risarcimento del danno subito in conseguenza della sospensione dai richiami nei servizi antincendio.
Il Tribunale di Enna annullava la sanzione disciplinare e condannava le parti convenute in quel giudizio al risarcimento del danno.
La corte territoriale ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva «degli enti diversi dal Ministero dell’interno» ed ha confermato nel resto la sentenza del primo giudice, condividendone l’impianto motivazionale, sia con riferimento alla illegittimità della sanzione disciplinare che con riferimento al risarcimento del danno.
Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero, con ricorso affidato a due motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art.55 bis comma 9 ter del d.lgs. n.165/2001, con riferimento alle forme e ai termini del procedimento disciplinare, e degli artt.1362 e segg. cod. civ. con riferimento all’art.37 del CCNL 1996, in relazione all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art.2043 cod. civ. e degli artt.6 e 11 del d.lgs.
n.139/2006, in relazione all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
3. Il primo motivo è inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La corte territoriale, così come il primo giudice, hanno ritenuto la illegittimità della sanzione disciplinare massima (la radiazione) quale conseguenza immediata e diretta della illegittimità del provvedimento di sospensione del procedimento disciplinare, disposto «dall’Ente datore di lavoro al di fuori dei casi consentiti» (pag.6 motivazione). Per effetto della illegittimità del provvedimento di sospensione doveva considerarsi che il periodo di sospensione del procedimento disciplinare fosse tamquam non esset, e dunque decorso inutilmente il termine di un anno tra la contestazione degli addebiti e la irrogazione della sanzione disciplinare: come ritenuto dalla corte territoriale «per sostenere la tesi della tempestiva conclusione del procedimento disciplinare gli appellanti avrebbero previamente dovuto sostenere la legittimità della sua sospensione» (pag.6 motivazione).
Il motivo di ricorso si risolve in una petizione di principio, sostenendosi che non fosse necessario fornire alcuna prova della legittimità della sospensione «in quanto intrinseca nel rapporto di servizio con i Vigili volontari» (pag.12 ricorso), e limitandosi alla laconica affermazione che sono state rispettate le disposizioni normative e le fonti contrattuali. Non viene però censurata in concreto la ratio decidendi, perché nessuna deduzione in concreto viene fatta circa la errata interpretazione o falsa applicazione dell’art.37 del CCNL pro tempore applicabile.
Le stesse considerazioni valgono anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, dove viene prospettata la violazione della fonte primaria in materia di responsabilità aquiliana (l’art.2043 cod. civ.), mentre il caso in esame riguarda una ipotesi di risarcimento del danno contrattuale, regolata da fattispecie affatto diverse. Anche in questo caso il motivo non censura la ratio
decidendi , che ha liquidato il danno in misura pari alla «privazione delle utilità economiche connesse ai richiami in servizio di cui il COGNOME avrebbe sicuramente fruito senza la suddetta surrettizia «sospensione cautelare»». Nessuna censura viene svolta con riferimento ai parametri della liquidazione, ovvero al ragionamento controfattuale fondato sull’apprezzamento della illegittimità della sospensione cautelare. E tanto basta per la inammissibilità del motivo.
Per questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza. La parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarre al procuratore che si dichiara antistatario.
7. non sussistono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non applicandosi la norma nei confronti delle amministrazioni dello Stato, che mediante il meccanismo della prenotazione a debito sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex aliis, Cass. 17361/2017).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarre al procuratore che si dichiara antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro