Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 989 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 989 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5521/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate,
domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura Generale dello Stato , che la rappresenta e difende ope legis
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5790/2017, depositata il 6.10.2017 della Corte d’Appello di Napoli;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente convenne in giudizio la datrice di lavoro Agenzia dele Entrate chiedendone la condanna al pagamento dei conguagli retributivi relativi al lungo periodo di tempo in cui egli aveva percepito solo l’assegno alimentare , pari alla metà dello stipendio, perché sottoposto a sospensione cautelare in pendenza di procedimento e poi di processo penale, conclusosi in secondo grado con sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.
Instauratosi il contraddittorio, la domanda venne accolta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in funzione di giudice del lavoro, che ritenne dovuto il conguaglio in base all’esito del processo penale e alla successiva archiviazione del riattivato procedimento disciplinare.
La sentenza di primo grado venne impugnata dall ‘Agenzia delle Entrate davanti alla Corte d’Appello di Napoli, la quale, in accoglimento del l’ impugnazione, rigettò la domanda del ricorrente.
Contro la sentenza della C orte d’ Appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. L ‘Agenzia delle entrate si è difesa con controricorso. Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia « violazione dell’ art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione agli artt. 434, 414 e 342 c.p.c. -Error in procedendo con riferimento alla violazione e falsa applicazione di norme processuali».
Il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato e accolto la sua eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di una specifica censura contro la motivazione della sentenza del Tribunale, diversa dalla mera ripetizione delle medesime ragioni già svolte in primo grado.
1.1. Questo primo motivo è inammissibile, perché il contenuto della sentenza di primo grado, dell’atto d’appello e della memoria di costituzione in appello non viene riportato e descritto con il grado di chiarezza e completezza necessario per valutare la sussistenza effettiva della denunciata carenza di formacontenuto dell’ impugnazione.
Del resto, la Corte d’Appello ha riassunto in motivazione la doglianza dell’Agenzia delle Entrate, concernente «l’errata interpretazione dell’art. 27, comma 7, del CCNL Comparto Ministeri» che è la medesima censura ora svolta dal lavoratore, ovviamente in senso opposto, con il secondo motivo di ricorso per cassazione.
Con tale secondo motivo si censura, infatti, la « violazione dell’art. 360, n. 3, c.p.c. in relazione agli artt. 27 del CCNL Comparto Ministeri del 1995 come modificato dall’art. 15, comma 9, del CCNL Comparto Ministeri del 12.6.2003 -nonché degli artt. 91, 92, 96 e 97 del T.U. n. 3 del 1957 -Error in judicando con riferimento alla violazione e falsa applicazione di disposizioni di contratto collettivo e norme di diritto».
Il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale si sia fermata all’interpretazione letterale dell’art. 27, comma 7, del CCNL Comparto Ministeri del 16.5.1995 (il quale prevede il ripristino dell’obbligo retributivo solo «In caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena»),
senza considerare che la funzione meramente cautelare della sospensione, vieta di trasformarla in una definitiva sanzione, in mancanza di condanna penale o disciplinare.
2.1. Il motivo è fondato, in conformità a quanto già statuito nei più recenti precedenti in cui questa Corte ha affrontato la medesima questione.
2.1.1. L a Corte d’Appello ha innanzitutto preso atto che il ricorrente era stato penalmente condannato in primo grado e poi in appello è stata dichiarat a l’improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, ovverosia senza accertamento della sua innocenza. Ha quindi statuito «l’impossibilità di un’interpretazione estensiva» dell ‘art. 27, comma 7, del CCNL, che -come sopra riportato -prevede il diritto al pagamento delle differenze retributive sul trattamento alimentare solo «In caso di sentenza definitiva di assoluzione o proscioglimento con formula piena ».
2.1.2. In tal modo la Corte territoriale ha errato, perché sull’interpretazione meramente letterale deve prevalere quella estensiva o integrativa che è necessaria per rispettare la funzione meramente cautelare, e non sanzionatoria, della sospensione dal servizio in pendenza del procedimento e del processo penale (v. Cass. nn. 24117/2022, 4411/2021, 11381/2020, 19106/2017, 9304/2017, 5147/2013).
La sanzione nei confronti del lavoratore, dopo il proscioglimento in sede penale ovvero una dichiarazione d estinzione del reato per prescrizione, può scaturire solo all’esito del procedimento disciplinare, che non è vincolato al rispetto di un giudicato penale che non esclude né l’esistenza del fatto, né che l’impiegato l’abbia commesso . Tuttavia, qualora la sanzione
disciplinare sia meno afflittiva rispetto alla sospensione cautelare -oppure qualora, come nel caso in esame, il procedimento disciplinare si concl uda con un’archiviazione -il periodo di sospensione cautelare non ha più giustificazione (in tutto o in parte) e con esso anche il dimezzamento della retribuzione che alla sospensione cautelare è abbinato.
Tale principio vale sicuramente per la sospensione facoltativa, ovverosia con riguardo ai periodi in cui la prestazione del lavoratore non viene eseguita per una scelta discrezionale in tal senso del datore di lavoro. Ma, anche con riferimento alla sospensione obbligatoria, vale quanto considerato dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto infondato il dubbio di illegittimità costituzionale dell’ obbligatorietà della misura sospensiva (come prevista dalle leggi n. 55 del 1990 e n. 97 del 2001), proprio evidenziando che non si tratta di una sanzione, ma di una misura cautelare, per la quale l ‘ esigenza di proporzionalità si misura soltanto rispetto al pregiudizio che può subire l ‘ interesse pubblico per la permanenza in servizio dell ‘ impiegato nonostante la pendenza dell ‘ accusa penale (Corte cost. nn. 145/2002, 206/1999, 184/1994). Con il corollario che, una volta definito il processo penale, spetta al procedimento disciplinare stabilire la sanzione da applicare al lavoratore e verificare se e in che misura la sospensione cautelare risulti coerente con la sanzione applicata e sia, quindi, da questa assorbita.
« In sostanza, la natura cautelare della misura della sospensione comporta la sua provvisorietà e rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l ‘ esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva
applicata resti giustificata ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti » (Cass. n. 4411/2021, cit.).
2.1.3. La regola soffre eccezione solo per la sospensione resa obbligatoria dalla custodia cautelare in carcere, perché in quel caso « la perdita della retribuzione si riconnette ad un provvedimento necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale del dipendente » (ancora Cass. n. 4411/2021, cit.; conf. Cass. nn. 24117/2022, 9095/2020, 31502/2018, 20708/2018, 10137/2018, 20321/2016).
L’errore della Corte d’Appello è dunque consistito nell’avere applicato indifferentemente a tutto il tempo della sospensione cautelare dal servizio del ricorrente una regola valida solo per il periodo in cui egli rimase sospeso perché sottoposto a custodia cautelare che gli impediva di rendere la prestazione lavorativa.
2.1.4. Si osserva, per concludere, che né le parti, né la Corte d’Appello hanno dubitato dell’applicabilità nel caso di specie del CCNL Comparto Ministeri del 16.5.1995, quantunque la prima sospensione cautelare dal servizio risalga al 1993, quando nei confronti del ricorrente venne eseguita l ‘ordinanza di custodia cautelare in carcere. Ciò nonostante, il ricorrente ha prudentemente denunciato, nella rubrica del motivo, anche la violazione degli articoli del Testo Unico del Pubblico Impiego (d.P.R. n. 3 del 1957) che disciplinavano la sospensione cautelare prima dell’avvento della contrattazione collettiva.
Ad ogni modo, l ‘individuazione delle norme di diritto (tali dovendosi considerare anche quelle contenute nei contratti collettivi nazionali, ai fini del l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) applicabili ratione temporis non influisce sulla decisione, perché
i medesimi principi qui affermati valgono anche per la disciplina del Testo Unico del Pubblico Impiego, come a suo tempo stabilito dal Consiglio di Stato (Ad. Plen. n. 2/2002). Anzi, anche l ‘orientamento giurisprudenziale che, in passato, preferì l’interpretazione restrittiva dell’art. 27 CCNL qui rifiutata, ne evidenziò il carattere innovativo rispetto alla disciplina previgente, sottolineando che « A norma del capoverso del cit. D.P.R. n. 3, art. 96, se la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio viene inflitta all’impiegato per durata inferiore alla sospensione cautelare sofferta o se viene inflitta una sanzione minore o se il procedimento disciplinare si concluda con il proscioglimento dell’impiegato, l ‘ Amministrazione deve corrispondere tutti gli assegni non percepiti, per il tempo eccedente la durata della punizione » (Cass. n. 4061/2012).
3. Occorre pertanto cassare la sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d’Appello di Napoli, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del presente grado di legittimità, attenendosi al seguente principio di diritto: « l’art. 27, comma 7, del CCNL Comparto Ministeri del 16.5.1995, si deve interpretare nel senso che il lavoratore sospeso dal servizio in via cautelare in pendenza del processo penale ha diritto alla reintegrazione del trattamento economico ivi prevista in ogni caso in cui, terminato il processo penale, venga inflitta una sanzione disciplinare che non comporti la cessazione o la sospensione dal servizio o che comporti una sospensione disciplinare di durata inferiore a quella cautelare; ciò a prescindere dal carattere obbligatorio o facoltativo della sospensione cautelare, con la sola eccezione della sospensione cautelare resa necessaria dalla custodia cautelare in carcere o
comunque da una misura cautelare personale che renda impossibile la prestazione del lavoratore ».
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19.10.2023.