Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7657 Anno 2019
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Civile Sent. Sez. L Num. 7657 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2019
SENTENZA
sul ricorso 20695-2013 proposto da: NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende; da in ROMA ,
– ricorrente –
contro
REGIONE CAMPANIA;
– intimata – avverso la sentenza n. 1001/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata 1’11/03/2013, R.G.N. 4954/2009;
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2019 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME; pubblica NOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per accoglimento parziale del terzo motivo, rigetto nel resto; concluso rigetto
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello di NOME COGNOME avverso l sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti della Regione Campania, volta ad ottenere la condanna dell’ente convenuto al pagamento delle differenze fra il trattamento retributivo dovuto in relazione alla qua ricoperta e l’assegno alimentare corrisposto durante la sospensione cautelare dal servizi protrattasi dal 27 maggio 1994 al 26 maggio 2003 in pendenza di procedimento penale.
2. La Corte, rilevato che per il periodo antecedente al lio 1998 era passata in 10 lug giudicato .1a statuizione di primo grado che aveva dichiarato il difetto di giurisdizion premesso in punto di fatto che il Demitry, era stato sospeso vizio ai sensi degli artt. 91 aal ser e 92 del d.P.R. n. 3 del 1957 con delibera della Giunta Regionale del 27 maggio 1994. processi penali avviati a suo carico erano stati definiti con sentenza del Tribunale di Napo 3103/1999, di estinzione del reato per prescrizione, e con sentenza n. 31402/2003, con l quale la Corte di Cassazione l’aveva assolto da altro titolo di reato. Aveva, quindi, domanda la riammissione in servizio e l’istanza era stata accolta dall’amministrazione che, però, av rigettato la richiesta di restitutio in integrum.
3. Il giudice d’appello ha ritenuto che correttamente il primo giudice aveva «evidenziato difetto di un comportamento collaborativo del dipendente, il quale non aveva notizia tempestivamente l’amministrazione della causa di cessazione della sospensione, cioè l’emissione della sentenza del Tribunale di Napoli (con cui era stato dichiarato estinto il per prescrizione), sebbene divenuta irrevocabile sin dal 25.11.1999». Ne ha tratto conseguenza che non poteva essere imputata «alla sola Amministrazione la mancata corresponsione della retribuzione, stante la concorrente inerzia del lavoratore nel comunicare venir meno dell’ostacolo al regolare svolgimento del rapporto e nell’offrire la pro prestazione sinallagmatica».
4. Quanto poi all’istanza del 27 aprile 1995, con cui il COGNOME aveva richiest riammissione in servizio per cessazione della misura cautelare, la Corte ha evidenziato che s trattava di un fatto non prospettato in primo grado né tempestivamente documentato in quella fase processuale e che comunque negli anni successivi e fino al 2003 il ricorrente aveva tenut un comportamento concludente incompatibile con la richiesta, non avendo coltivato in alcun modo l’istanza.
5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di un unico motivo, articolato in più punti, al quale la Regione Campania non ha opposto difese rimanendo intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso denuncia con un unico motivo, formulato ex art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. c ed articolato in una pluralità di censure, «violazione e/o falsa applicazione artt. 112 c.p.c.; nonché: art. 97, III e IV c. D.P.R. n. 3/1957; nonché: artt. 24 e 27, c. 8, CCN locali; nonché: art. 97, I c., Cost., art. 1 I. n. 241/1990; motivazione insuffi contraddittoria circa un fatto decisivo per il giudizio». Il ricorrente addebita innanzit Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto nuova e inammissibile la prospettazio relativa alla costituzione in mora dell’Amministrazione, avvenuta con l’istanza del 27 ap 1995. Richiama giurisprudenza di questa Corte per sostenere che, al contrario, doveva essere ammessa la produzione documentale, Perché nel rito del lavoro è consentita al giudice d’appello l’acquisizione di documenti, allorquando gli stessi siano indispensabili ai fini decisione della causa.
1.1. Aggiunge che, in ogni caso, non poteva essere ritenuta tardiva l’istanza riammissione in servizio dell’agosto 2003, in quanto la sospensione facoltativa era sta disposta in relazione alla pendenza di più procedimenti penali e solo il 6 giugno 2003 la Co di Cassazione aveva definito il processo iniziato dinanzi al Tribunale di Salerno, assolve l’imputato dal reato ascrittogli per insussistenza del fatto.
1.2. Addebita, inoltre, al giudice d’appello di avere violato l’art. 97, commi 3 e d.P.R. n. 3/1957 e l’art. 24 del CCNL 1995 per il personale del comparto degli enti loca rileva che il datore di lavoro pubblico è tenuto ad attivare il procedimento disciplina rispetto dei termini perentori previsti dal legislatore e dalla contrattazione collettiva, mancata attivazione non può certo essere addebitata al dipendente e legittima la richiesta restitutio in integrum.
Sottolinea al riguardo che “in virtù dei principi costituzionali di legalità de amministrativa e di buon andamento che presiede all’organizzazione, nonché all’attività deg uffici amministrativi (art. 97 Cost.), deve assumersi, da un alto, che l’amministrazio appartenenza debba attivarsi ai fini del tempestivo esercizio dell’azione disciplinare e possa far ricadere sul dipendente le conseguenze della propria inerzia; dall’altro, l’amministrazione della giustizia sia tenuta a trasmettere alla prima la notizia dell’irrevoc delle sentenze di proscioglimento, ciò proprio nello stesso interesse della stessa titolar potere-dovere di esercizio dell’azione disciplinare”.
2. La prima censura è inammissibile, perché non coglie l’effettiva lla decisione e, ratio de quindi, svolge argomentazioni non specificamente riferibili al decisum.
La Corte territoriale, infatti, non ha escluso la decisività della documentazi tardivamente prodotta in grado di appello né ha ritenuto che nel rito del lavoro debba essere i ogni caso negata la possibilità di un’integrazione istruttoria in sede di impugnazione, avendo invece, affermato, che detta integrazione non può mai essere finalizzata ad «ampliare la materia del contendere introducendo un elemento nuovo del tutto estraneo al contraddittorio», evenienza, questa, verificatasi nella fattispecie, in quanto il ricorso introduttivo del giud primo grado non faceva cenno ad un’offerta della prestazione lavorativa, antecedente all’atto di messa in mora del 2003.
La pronuncia gravata è conforme sul punto all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui nel rito del lavoro, poiché occorre contemperare il principio dispositivo con quel di verità, il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggett preclusione assoluta ed «il giudice può ammettere, anche d’ufficio, detti documenti ove l ritenga indispensabili ai fini della decisione, in quanto idonei a superare l’incertezza dei costitutivi dei diritti in contestazione, purché allegati nell’atto introduttivo, implicitamente, e sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado» ( Cass. n. 11845/2018). L’acquisizione non invece, consentita allorquando la stessa sia finalizzata ad ampliare il thema probandum in relazione a fatti non allegati nel giudizio di primo grado e non oggetto in quella sed contraddittorio fra le parti ( cfr. fra le tante Cass. n. 9226/2018; Cass. n. 23652/2016).
Il ricorso fa leva sull’efficacia dimostrativa della produzione e sulla necessità di scongiu il contrasto tra decisione e verità materiale, ma non svolge argomenti idonei a contrastare l ritenuta novità dell’allegazione del fatto, sufficiente ad escludere l’ammissibilità produzione.
3. E’ invece fondata la censura con la quale si assume che il diritto alla restitutio in integrum, in relazione al periodo di sospensione facoltativa, non poteva essere negato a fronte della pacifica mancata riattivazione del procedimento disciplinare, dopo la definizione di que penale.
Questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciare sulla natura della sospensione cautelare (fra le più recenti Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017, 18849/2017, 10137/2018, 20708/2018) e, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, ha evidenziato che la sospensione, in quanto misura cautelare e interinale, «ha il carattere della provvisorietà e della rivedibilità, nel che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire s sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nel retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti» ( Corte Cost. 6.2. 1973 n. 16
.,
Si è sottolineato in relazione alla sospensione facoltativa che la stessa è solo finalizza impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’amministrazione di appartenenza, quale, quindi, è tenuta a valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le qual procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato.
Ove l’amministrazione, valutati i contrapposti interessi in gioco, opti per la sospensione difetto di una diversa espressa previsione di legge o di contratto, opera il principio gene secondo cui « quando la mancata prestazione dipenda dall’iniziativa del datore di lavoro grava su quest’ultimo soggetto l’alea conseguente all’accertamento della ragione che ha giustificat la sospensione » ( Corte Cost. n. 168/1973).
La verifica dell’effettiva sussistenza di ragioni idonee a giustificare l’immed allontanamento è indissolubilmente legata all’esito del procedimento disciplinare, perché sol qualora quest’ultimo si concluda validamente con una sanzione di carattere espulsivo potrà dirsi giustificata la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in dell’accertamento della responsabilità penale e disciplinare.
Sulla base di detti principi il diritto alla restitutio in integrum è stato riconosciuto nell’ipotesi di annullamento della sanzione inflitta (Cass.n. 26287/2013), di mancat conclusione del procedimento disciplinare a causa del decesso del dipendente (Cass. n. 13160/2015), di irrogazione di una sanzione meno afflittiva rispetto alla sospensione cautelar sofferta ( Cass. nn. 5147/2013 e 9304/2017), di omessa riattivazione del procedimento in conseguenza delle dimissioni ( Cass. n. 20708/2018) o del pensionamento (Cass. n. 18849/2017) e ciò a prescindere dalla espressa previsione della legge o della contrattazione collettiva.
3.1. Alle medesime conclusioni è pervenuta la giurisprudenza amministrativa nel suo massimo consesso ( Cons. Stato Ad. Plen. 28.2.2002 n. 2) che, evidenziata la necessità di interpretare gli artt. 96 e 97 del d.P.R. n. 3/1957 alla luce dei principi affermati dalla Costituzionale sulla natura della sospensione, ha ritenuto che in caso di omissione de procedimento disciplinare, anche l’eventuale condanna penale, intervenuta nei confronti dell’impiegato, non è suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizi disposta in corso di procedimento penale e stabilita dall’amministrazione in via discrezional non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.
Si è aggiunto che essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione (con eccezione della ipotesi della emissione del mandato o ordine di cattura nei confronti del dipendente) non è corretto ritenere la no imputabilità dell’interruzione del rapporto sinallagmatico all’Amministrazione medesima, posto che è la stessa Amministrazione che valuta i presupposti per l’adozione della misura e ne
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determina i contenuti. Quando poi nella sede propria degli accertamenti definitivi emerga che la sospensione non era giustificata, in tutto o in parte, non può essere addebitabile dipendente l’interruzione del rapporto di servizio ed il mancato adempimento della prestazione (Cons. Stato Ad. plen. 2.5.2002 n. 4).
3.2. Ai richiamati principi, qui ribaditi perché condivisi dal Collegio, si deve aggiungere il diritto alla restitutio in integrum ha natura retributiva e non risarcitoria.
Il potere del datore di lavoro di estromettere temporaneamente dall’azienda o dall’ufficio dipendente sottoposto a procedimento penale è espressione del generale potere organizzativo e direttivo e trova fondamento costituzionale, quanto all’impiego privato, nell’art. 41 Cost. relazione all’impiego pubblico nell’art. 97 Cost., perché finalizzato a garantire, in pendenza procedimento penale, la corretta gestione dell’impresa o l’efficienza e l’imparzialità d Pubblica Amministrazione.
La misura cautelare, per il suo carattere unilaterale, non fa venir meno l’obbligazio retributiva che, nei casi in cui la stessa sia oggetto di disciplina da parte della legge contrattazione collettiva, è solo in tutto o in parte sospesa ed è sottoposta alla condiz dell’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente.
Solo qualora il procedimento si concluda sfavorevolmente per il dipendente con la sanzione del licenziamento, il diritto alla retribuzione viene definitivamente meno, in quanto effetti della sanzione retroagiscono al momento dell’adozione della misura cautelare; viceversa qualora la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura tale da non giustificar sospensione sofferta, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso, co obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni arretrate, dalle quali dov essere detratte solo quelle relative al periodo di privazione della libertà personale perché i caso, anche in assenza dell’atto datoriale, il dipendente non sarebbe stato in grado di render la prestazione.
3.3. Occorre ancora aggiungere che il legislatore, prima, e le parti collettive, poi, prevedere la tempestiva riattivazione del procedimento disciplinare, all’esito della definizion quello penale che ha dato causa alla misura cautelare, ha posto un preciso onere a carico delle amministrazioni, che, una volta fatto ricorso alla misura cautelare, non possono rimanere inert e devono sollecitamente adottare tutte le iniziative necessarie a consentire una tempestiv ripresa del procedimento.
I rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare nell’impiego pubblico contrattualizzato nel tempo sono stati disciplinati dall’art. 97 del d.P.R. n. 3/1957, contrattazione collettiva, dalla legge n. 97/2001, dall’art. 55 ter del d.lgs. n. 165/2001, i dal d.lgs. n. 150/2009 e recentemente modificato dal d.lgs. n. 75/2017. Il legislatore, al fi consentire alle Pubbliche Amministrazioni di avere tempestiva notizia dei processi penali avviat
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a carico di dipendenti pubblici e del loro esito, ha imposto precisi oneri di comunicazion carico del Pubblico Ministero ( art. 129 disp. att. cod. proc. pen.) e della cancelleria del g che ha emesso il provvedimento ( art. 154 ter disp. att. cod. proc. pen.) e con l’art. 97 av anche attribuito all’impiegato pubblico il potere di far decorrere termini sensibilmente ri per la riattivazione, provvedendo egli alla notifica della sentenza stessa all’amministrazione.
Né il legislatore nei diversi interventi normativi né, tanto meno, le parti collettive mai previsto a carico del dipendente sottoposto a processo penale e sospeso dal servizio, un obbligo di collaborazione e un dovere di comunicazione delle sentenze penali, a prescindere dalla natura e dal contenuto di dette decisioni.
Ha osservato al riguardo la Corte Costituzionale che la facoltà concessa all’impiegato di attivarsi per far cessare lo stato di sospensione non può essere trasformata in un obbligo o un onere, «peraltro a rischio di colui a carico del quale tale onere verrebbe imposto, sollecitare l’apertura o la prosecuzione del procedimento stesso che potrebbe risolversi i senso a lui sfavorevole. Non sarebbe difatti ragionevole che, per far cessare una situazione d incertezza che il legislatore ha ancorato al trascorrere di un termine congruo, si deb accollare, a colui che ha un interesse addirittura contrapposto all’esercizio del pot disciplinare, l’onere di sollecitarlo, tenuto conto che l’ordinamento, per esigenze di certezza tutto analoghe, già conosce ipotesi, come quelle attinenti alla prescrizione di reati, nelle l’estinzione del potere punitivo in relazione al mero trascorrere del tempo non è subordinata a alcun onere da parte del soggetto che ne beneficia, ne’, tantomeno, alla conoscibilità del fa illecito » ( Corte Cost. n. 264/1990).
3.5. Ai principi di diritto sopra richiamati non si è attenuta la Corte territoriale che evidenziato nello storico di lite, ha ritenuto di dover respingere la domanda per il solo fatt il NOME non avesse tempestivamente notiziato l’amministrazione dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 3103/1999, con la quale il Tribunale di Napoli aveva dichiarat estinto per prescrizione uno dei reati in relazione ai quali la sospensione dal servizio era s disposta.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame, limitatamen alla pretesa retributiva fatta valere per il periodo successivo al 30 giugno 1998, attenendos principi di diritto richiamati nei punti che precedono e che di seguito si sintetiz «nell’impiego pubblico contrattualizzato la sospensione facoltativa del dipendente sottoposto a procedimento penale, in quanto misura cautelare e interinale, diviene priva di titolo qualo all’esito del procedimento penale quello disciplinare non venga attivato. Il diritt dipendente alla restitutio in integrum, che ha natura retributiva e non risarcitoria, sorge ogniqualvolta la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tal
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non giustificare la sospensione sofferta. L’onere di attivarsi per consentire la tempest ripresa del procedimento disciplinare, una volta definito quello penale, gra sull’amministrazione e non sul dipendente pubblico, sicché non rileva, né può fare escludere i diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte durante il periodo di sospensio facoltativa, la circostanza che l’incolpato non abbia tempestivamente comunicato al datore d lavoro la sentenza passato in giudicato di definizione del processo penale pregiudicante».
Al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
L’accoglimento del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n 115/2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello d Napoli, in diversa composizione, alla quale demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 13 febbraio 2019
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