Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4917 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 4917  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso 4718-2019 proposto da:
NOME COGNOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi da ll’AVV_NOTAIO e  domiciliati  presso  la  cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrenti – contro
COGNOME  NOME  e  COGNOME,  rappresentate  e  difese dall’AVV_NOTAIO e  domiciliate  presso  la  cancelleria  della Corte di Cassazione
– controricorrenti –
avverso  la  sentenza  n.  1478/2018  della  CORTE  DI  APPELLO  di CATANIA, depositata il 26/06/2018;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  in  camera  di  consiglio  dal Consigliere COGNOME;
udito  il  Procuratore  Generale,  nella  persona  del  Sostituto  dott. NOME COGNOME;
udito l’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’AVV_NOTAIO, costituitasi come nuovo difensore della parte controricorrente giusta atto datato 15.5.2024, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
Con  atto  di  citazione  notificato  il  20.8.1982  COGNOME  NOME  e COGNOME  NOME  evocavano  in  giudizio  NOME  innanzi  il Tribunale  di  Catania,  sezione  distaccata  di  Paternò,  invocandone  la condanna a demolire il fabbricato dal medesimo eretto sul suo terreno, di un solo piano fuori terra, perché realizzato in violazione delle norme in tema di distanze tra costruzioni.
Con sentenza del 3.2.1989, resa nella resistenza del convenuto e passata in giudicato, il Tribunale rigettava la domanda.
Con successivo atto di citazione notificato il 27.4.2001 le medesime COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME  evocavano  in  giudizio  COGNOME NOME innanzi lo stesso Tribunale, invocandone la condanna a demolire la sopraelevazione, dallo stesso realizzata sull’edificio già oggetto della prima  controversia,  o  comunque  ad  arretrarla  sino  al  rispetto  delle norme in tema di distanze, anche perché la stessa costituiva illegittime
vedute a carico del fondo delle attrici, o ancora ad eliminare le vedute e regolarizzare le luci aperte sul fondo predetto.
Con  sentenza  n.  144/2003  il  Tribunale  di  Catania,  in  parziale accoglimento della domanda attrice, ordinava al COGNOME di collocare dei pannelli  in  vetro  opaco  di  metri  2  di  altezza  su  tutti  i  balconi  ed  i prospetti della sopraelevazione, rigettando nel resto la domanda delle COGNOME.
Queste ultime interponevano appello avverso detta decisione e la Corte di Appello di Catania, con la sentenza n. 1133/2009, riformava la  sentenza  di  primo  grado,  accogliendo  la  domanda  attorea  e condannando il COGNOME ad arretrare la sopraelevazione di cui è causa sino alla distanza di 5 metri dal confine.
Avverso  la  pronuncia  di  seconda  istanza  proponeva  ricorso  per Cassazione  il  NOME  e  la  Corte  di  Cassazione,  con  ordinanza  del 17.12.2010, accoglieva l’impugnazione, rilevando il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME, comproprietaria del fondo nel quale era stata realizzata la sopraelevazione contestata dalle COGNOME.
Il giudizio veniva riassunto davanti al Tribunale di Catania, il quale, con la sentenza n. 4462/2016, accoglieva la domanda delle originarie attrici,  condannando  il  NOME  e  la  COGNOME  ad  arretrare  la sopraelevazione  sino  al  rispetto  della  distanza  di  cinque  metri  dal confine e compensando le spese dell’intero giudizio, incluse quelle di C.T.U.
Con la sentenza oggi impugnata, n. 1478/2018, la Corte di Appello di Catania ha rigettato il gravame principale interposto dai soccombenti avverso la decisione del Tribunale, accogliendo invece l’impugnazione incidentale delle COGNOME, relativo al governo delle spese operato dal
giudice di prime cure, e ponendo le stesse integralmente a carico dei predetti soccombenti, COGNOME e COGNOME.
Questi  ultimi  propongono  ricorso  per  la  cassazione  di  detta decisione, affidandosi a sette motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con atto in data 15.5.2024, cui è allegata procura speciale in pari data, queste ultime hanno conferito mandato all’AVV_NOTAIO, in sostituzione del precedente difensore AVV_NOTAIO.
In prossimità dell’adunanza camerale, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso, ed ambedue le parti hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica l’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso, e l’AVV_NOTAIO, per la parte controricorrente, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, dev’essere dichiarata la nullità della costituzione del  nuovo  difensore  della  parte  controricorrente,  per  difetto  della procura  notarile,  richiesta  per  i  giudizi  introdotti  prima  del  2009. All’atto in esame, infatti è acclusa una procura autenticata nella firma dal difensore, in violazione della norma applicabile ratione temporis al ricorso in esame. Di conseguenza, la memoria depositata dalla parte controricorrente in prossimità dell’udienza pubblica è inammissibile.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione  con  cui  COGNOME  e  COGNOME  avevano  contestato  la natura emulativa dell’azione delle COGNOME, in quanto la particella di loro
proprietà confinante con quella degli odierni ricorrenti non presentava alcuna costruzione, onde la fabbrica realizzata da questi ultimi avrebbe dovuto  essere ritenuta legittima in funzione del principio della prevenzione.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
La Corte di Appello ha esaminato la doglianza con la quale gli odierni ricorrenti avevano impugnato la decisione di prime cure, lamentando la scorretta interpretazione delle norme urbanistiche locali applicabili alla fattispecie, affermando espressamente che ‘… nel caso in esame, la sopraelevazione del fabbricato preesistente -realizzato negli anni ’80, successivamente all’immobile delle COGNOME, risalente agli anni ’70- costruita anch’essa sul confine con la proprietà COGNOME nel 1999 dagli appellanti è stata posta in essere in violazione del citato art. 15, che non consente la costruzione sul confine’ (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Vi è dunque un accertamento di fatto sulla risalenza delle varie costruzioni, in base al quale la Corte di merito ha ravvisato che il primo di essi ad essere realizzato non fosse quello degli odierni appellanti, bensì quello delle COGNOME. Il principio della prevenzione, dunque, è stato correttamente ignorato dalla Corte distrettuale, non sussistendone i presupposti temporali. Né occorreva, a fronte dell’accertamento di cui anzidetto, una specifica pronuncia sull’eccezione sollevata dagli odierni ricorrenti, posto il principio, che merita di essere ribadito, secondo cui ‘Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una
statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011, Rv. 619134; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21612 del 20/09/2013, Rv. 628031; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17956 del 11/09/2015, Rv. 636771; nonché Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290; Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019, Rv. 654304; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 7662 del 02/04/2020, Rv. 657462 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2151 del 29/01/2021, Rv. 660437). Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha condotto un accertamento di fatto, circa la risalenza delle varie edificazioni realizzate dalle parti, evidentemente incompatibile con l’applicazione della prevenzione in favore degli odierni ricorrenti.
Da quanto precede deriva l’infondatezza della prima doglianza, quanto alla dedotta natura emulativa dell’azione svolta dalle COGNOME. Si deve infatti ribadire, al riguardo, che la domanda con la quale una parte invochi l’arretramento di una costruzione realizzata in violazione delle distanze legali non ha contenuto emulativo, in quanto è diretta ad assicurare la libertà del fondo e a rimuovere una situazione di illegalità pregiudizievole per gli interessi del suo proprietario (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11852 del 26/11/1997, Rv. 510398; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4803 del 22/04/1992, Rv. 476896; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3275 del 03/04/1999, Rv. 524943; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6949 del 05/07/1999, Rv. 528295; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27916 del 31/10/2018, Rv. 651036, che ha escluso la natura emulativa delle azioni a tutela di un diritto reale, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1267 del 19/02/1996, Rv. 495903, Cass. Sez. 2, Sentenza
n. 9001 del 11/09/1998, Rv. 518803 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4636 del 29/03/2001, Rv. 545314, secondo le quali va esclusa la possibilità di ritenere emulativa la domanda con la quale si invochi il rispetto di una distanza stabilita per convenzione, anche in assenza della prova di un danno attuale.
La seconda parte del primo motivo, con il quale si introduce la deduzione secondo cui il fondo di proprietà COGNOME non sarebbe edificato, oltre ad essere insanabilmente in contrasto con quanto sostenuto dagli odierni ricorrenti con il terzo motivo -nel cui svolgimento si sostiene, al contrario, che sul fondo di cui sopra esiste un edificio posto a 12 metri dal confine- è anche inammissibile perché si risolve nell’allegazione di un fatto nuovo, mai discusso nel corso del giudizio di merito.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché  la  Corte  di  Appello  avrebbe  trascurato  di  considerare  i  fatti idonei  a  dimostrare  la  natura  emulativa  dell’azione  delle  COGNOME,  e l’inapplicabilità  alla  fattispecie  dell’art.  15  delle  norme  urbanistiche locali.
La censura è inammissibile, in quanto nella fattispecie si configura, sulla  domanda  di  arretramento  della  fabbrica  del  RAGIONE_SOCIALE  e  della COGNOME, una ipotesi di cd. doppia conforme, avendo la Corte di Appello riformato la decisione di prime cure soltanto in relazione al capo attinente al governo delle spese di lite.
Con  il  terzo  motivo,  i  ricorrenti  si  dolgono  della  violazione  del principio del bis in idem e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe omesso di ravvisare il giudicato esterno derivante dalla sentenza del Tribunale di Catania n. 218 del 1989, la quale conteneva l’accertamento della
collocazione dell’edificio delle COGNOME ad una distanza di 12 metri dal confine,  con  conseguente  diritto  del  NOME  e  della  COGNOME  a costruire sul confine, essendo così comunque rispettata la distanza di 10 metri tra le costruzioni.
La censura è infondata.
La Corte di Appello, esaminando il dictum della sentenza del Tribunale di Catania n. 218/1989, ha evidenziato che essa si riferiva al piano terreno dell’edificio NOMEINDIRIZZOCOGNOME (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) anche perché la sopraelevazione di cui oggi si discute, in altro passaggio della decisione di seconde cure, viene collocata temporalmente nel 1999, ovverosia in un momento successivo al deposito della pronuncia del 1989 (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). La Corte catanese ha poi ritenuto che, poiché la sopraelevazione di un preesistente edificio costituisce nuova costruzione, implicando aumento di sagoma e volumetria della fabbrica preesistente, l’effetto della decisione del 1989 fosse limitato al solo primo piano, all’epoca esistente, e non anche a quello superiore edificato nel 1999 (cfr. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata). La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato peraltro anche dalla Corte distrettuale, secondo cui ‘In tema di rispetto delle distanze legali tra costruzioni, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando un incremento della volumetria del fabbricato, va qualificata come nuova costruzione, sicché deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il completamento, strutturale e funzionale, di quest’ultima’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9646 del 11/05/2016, Rv. 639697; conf. Cass.
Sez. 2, Sentenza n. 74 del 03/01/2011, Rv. 615695, che esclude
l’applicabilità alla sopraelevazione del criterio della prevenzione legato al momento della realizzazione della fabbrica originaria; criterio, quest’ultimo, confermato anche da Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14705 del 29/05/2019, Rv. 654186, secondo cui ‘ In tema di distanze legali, con riferimento alla sopraelevazione di un edificio preesistente, il criterio della prevenzione va applicato avendo riguardo all’epoca della sopraelevazione e non a quella della realizzazione della costruzione originaria’ ).
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano ancora la violazione degli artt. 873 c.c. e 15 del P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di Ramacca, anche in relazione alla disciplina delle misure di salvaguardia di cui alla legge 1902 del 1952, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 15 delle norme urbanistiche locali, anche se la concessione edilizia in base alla quale è stata realizzata la sopraelevazione di cui è causa era stata rilasciata nel 1998 e rinnovata nel 1999, mentre il P.R.G. risulta approvato soltanto nel 2002.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha preso in esame sia l’art. 15 dell’ultimo P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di Ramacca, sia l’art. 33 di quello precedentemente in vigore, affermando che ‘… il Piano Regolatore Generale del RAGIONE_SOCIALE Ramacca, approvato nel 1997 ed applicabile al caso di specie, disciplina le distanze tra edifici ed attribuisce, coll’art. 15 -diversamente da quanto disposto coll’art. 33 del previgente regolamento- a chi costruisca successivamente al confinante due sole possibilità: la costruzione in aderenza ovvero ad una distanza minima di metri cinque dal confine con la vicina proprietà’ (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).
La Corte distrettuale, dunque, ha applicato -correttamente- la norma in vigore nel 1997, ovverosia all’epoca del rilascio della concessione edilizia sulla cui base la sopraelevazione oggetto di causa risulta realizzata. La denunciata violazione di legge, dunque, non sussiste in concreto, posto che il giudice di merito ha individuato, ed applicato, la norma in vigore al momento dell’edificazione contestata ed ha specificato che essa prescriveva in ogni caso, per le fabbriche non realizzate in aderenza rispetto a preesistenti edifici, l’obbligo di rispettare la distanza minima dal confine tra i fondi di cinque metri, che nella specie non risultava rispettata.
Con il quinto motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 873, 874, 875, 877 c.c. e 15 del P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di Ramacca, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contenuto della disposizione urbanistica locale. Secondo i ricorrenti, l’art. 15 costituirebbe una ‘sostanziale reiterazione del previgente art. 33 del regolamento edilizio del RAGIONE_SOCIALE di Ramacca’ (cfr. pag. 16 del ricorso) e consentirebbe non soltanto l’edificazione in aderenza, ma anche quella sul confine.
La censura è infondata.
L’art. 15 delle norme del P.R.G. del RAGIONE_SOCIALE di Ramacca, il cui testo è riportato anche a pag. 16 del ricorso, prevede testualmente: ‘Distanze e distacchi: sono ammesse costruzioni in aderenza. I fabbricati non in aderenza devono osservare in assoluto i seguenti minimi: distacco dal confine mt. 5,00; distanze tra pareti di edifici fronteggianti finestrate e non finestrate ml. 10,00’ . La Corte di Appello ha correttamente applicato detta disposizione, evidenziando che nella specie, non essendo configurabile una costruzione in aderenza, gli
odierni ricorrenti dovevano comunque rispettare la distanza minima di 5 metri dal confine, che nella specie non risultava osservata.
Con  il  sesto  motivo,  i  ricorrenti  si  dolgono  della  violazione  e mancata applicazione dell’art. 833 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe ravvisato la natura emulativa della domanda delle COGNOME, disapplicando in tal modo la disposizione di cui all’art. 833 c.c.
La censura è infondata.
La  domanda  delle  COGNOME  è  stata  accolta,  sia  in  primo  che  in secondo grado, avendo la Corte distrettuale riformato la decisione di prime cure soltanto limitatamente al capo concernente il governo delle spese di lite. In presenza di domanda fondata, non vi è spazio alcuno per l’applicazione della disposizione di cui all’art. 833 c.c.
Inoltre, va ribadito che l’apprezzamento della sussistenza di atti emulativi costituisce quaestio facti riservata al giudice di merito. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘Un atto si considera emulativo ove sia volto al precipuo fine di ledere un diritto altrui, il che implica, necessariamente, che quest’ultima posizione soggettiva debba essere preventivamente accertata e riconosciuta dal giudice di merito’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. del 08/02/2023, Rv. 666850). Nel caso di specie, manca il presupposto per la configurazione dell’emulatività dell’azione proposta dalle COGNOME, poiché il diritto dei COGNOME di sopraelevare il loro edificio non risulta accertato.
Inoltre, sul punto, si ribadisce quanto già esposto in occasione dello scrutinio del primo motivo di ricorso, secondo cui, come insegnano i numerosi  precedenti  di  questa  Corte  ivi  richiamati,  la  domanda proposta a difesa della proprietà, e finalizzata al rispetto delle distanze,
legali  o  convenzionali,  non  può  mai  essere  ritenuta  a  contenuto emulativo.
Con il settimo ed ultimo motivo, infine, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente riformato la decisione di prime cure in punto di spese, ponendo queste ultime a totale carico del COGNOME e della COGNOME, senza considerare che le COGNOME avevano iniziato, e proseguito, il giudizio in violazione del contraddittorio, non avendo ab origine evocato la litisconsorte necessaria COGNOME.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha posto le spese di lite a carico degli odierni ricorrenti in applicazione del principio generale della soccombenza. Né sussiste alcuna violazione delle disposizioni indicate nell’epigrafe del motivo in esame, posto il principio, che merita qui di essere ribadito, secondo cui le spese di lite vanno regolate tenendo conto dell’esito complessivo e finale della lite (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6522 del 20/03/2014, Rv. 630212; cfr. anche, in termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9587 del 12/05/2015, Rv. 635269; Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 18125 del 21/07/2017, Rv. 645057; Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 16431 del 19/06/2019, Rv. 654608; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24482 del 09/08/2022, Rv. 665389).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le  spese  del  presente  giudizio  di  legittimità,  liquidate  come  da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater ,  del  D.P .R.  n.  115  del  2002-  della  sussistenza  dei presupposti  processuali  per  il  versamento  di  un  ulteriore  importo  a
titolo  contributo  unificato,  pari  a  quello  previsto  per  la  proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  la  parte  ricorrente  al pagamento,  in  favore  di  quella  controricorrente,  delle  spese  del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda