Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25842 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19861/2021 R.G. proposto da: COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa d all’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 972/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 09/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 2.10.1998 COGNOME NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Siracusa, esponendo di essere proprietario di un immobile in Palazzolo Acreide, sottostante a quello della convenuta, lamentando che la stessa aveva realizzato opere non autorizzate, sopraelevando parzialmente ed ampliando la sua proprietà, ed invocava la condanna della stessa alla rimozione di dette opere, o in difetto al pagamento dell’indennità ex art. 1127 c.c.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda e deducendo che gli interventi erano stati realizzati in conformità al titolo autorizzativo rilasciatole dall’ente locale. Nelle more del giudizio, poi, le opere venivano proseguite ed ultimate.
Con sentenza n. 802/2018 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di € 3.440 a titolo di indennità da sopraelevazione.
Con la sentenza impugnata, n. 972/2020, la Corte di Appello di Catania rigettava l’appello principale proposto dagli odierni ricorrenti, eredi dell’originario attore, accogliendo invece quello incidentale spiegato dalla Lamesa, e riformava la decisione di prime cure, riducendo la condanna della stessa alle spese del primo grado e condannando invece gli appellanti principali alla refusione, in favore dell’appellante incidentale, delle spese del grado di appello.
Propongono ricorso per la cassazione di detta pronuncia COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOMECOGNOME
A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la parte ricorrente ha presentato istanza di decisione.
In prossimità dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667), non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
P assando all’esame dei motivi di impugnazione, con il primo di essi viene denunziata la violaz ione dell’art. 345 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la produzione, avvenuta in seconde cure, della concessione edilizia in sanatoria conseguita dalla Lamesa in corso di causa.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto che detto documento, con i relativi allegati, fosse rilevante per la decisione, e che la sua
produzione in seconde cure fosse ammissibile, in quanto formatosi dopo il deposito della sentenza di prime cure. In effetti, dalle verifiche eseguite dal Collegio mediante accesso al fascicolo di ufficio, consentito in presenza della deduzione di un vizio di carattere processuale, la sentenza del Tribunale di Siracusa è stata depositata il 27.4.2018 (come risulta, peraltro, anche da quanto riportato a pag. 2 della sentenza impugnata) e la concessione in sanatoria n. 3/2018 risulta rilasciata il 19.7.2918 (cfr. pag. 3 del controricorso) e quindi in epoca successiva alla conclusione del giudizio di prima istanza. Tale documento, quindi, non poteva essere materialmente prodotto in prime cure, poiché non ancora esistente nel momento in cui il primo grado è stato definito. Né vi sono dubbi sulla sua rilevanza ai fini della decisione, poiché la Corte distrettuale ha ritenuto che le opere in sopraelevazione eseguite dalla Lamesa avessero migliorato la statica complessiva dell’edificio, valorizzando, al riguardo, la relazione del tecnico incaricato dal Comune, ing. COGNOME, datata 16.5.2018 e dunque essa pure formatasi successivamente al deposito della decisione di prime cure.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1122 c.c., 33 del D. Lgs. n. 380 del 2001, 9, 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che le opere eseguite dalla Lamesa non avessero pregiudicato la statica dell’edificio. Ad avviso dei ricorrenti, la natura abusiva di detti interventi ed il pregiudizio per la statica dell’edificio che da essi sarebbe derivata emergerebbero dal complesso degli elementi istruttori acquisiti agli atti del giudizio di
merito. Pertanto, il giudice di seconda istanza avrebbe dovuto, sempre secondo i ricorrenti, ordinare la demolizione di quanto realizzato dalla Lamesa.
Con il terzo motivo, invece, i ricorrenti si dolgono della falsa applicazione degli artt. 1122 c.c., 31 del D. Lgs. n. 380 del 2001 e 31 della legge n. 47 del 1985, nonché del vizio della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di rilevare se la consulenza tecnica redatta dall’ing. COGNOME , acquisita agli atti del giudizio di seconde cure, contenesse rilievi tecnici corrispondenti al contenuto delle consulenze tecniche di ufficio redatte in prime cure. Queste ultime infatti, secondo i ricorrenti, avrebbero confermato l ‘irregolarità delle opere eseguite dalla Lamesa e la loro pericolosità per la statica dell’edificio , con conseguente configurabilità di un cd. abuso insanabile.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili.
La Corte distrettuale ha ritenuto che, all’esito della sanatoria rilasciata dal Comune, sul presupposto dell’accertata assenza di pericoli per la statica dell’edificio, non potesse essere accolta la domanda di demolizione, che gli odierni ricorrenti avevano proposto proprio in relazione alla dedotta violazione della normativa antisismica e, quindi, sul presupposto che l’intervento edificatorio della Lamesa avesse causato pregiudizi alla statica dello stabile (cfr. pagg. 5 e s. della sentenza impugnata). La parte ricorrente contrappone, a tale ricostruzione del fatto e delle prove, una lettura alternativa del compendio istruttorio, sostenendo che le opere della RAGIONE_SOCIALE non avrebbero potuto essere ritenute sanabili, ma non tiene conto che il motivo di ricorso non può mai
risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812). Né si configura alcun vizio della motivazione, poiché la stessa non è apparente, né affetta da irriducibile contrasto logico, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez.
U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono poi della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., del D.M. n. 55 del 2014 e dell’art. 2233 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente regolato le spese di lite.
La censura è infondata.
La Corte siciliana, accogliendo solo in punto di spese il gravame incidentale proposto dalla COGNOME, ha ridotto la condanna della stessa operata dal Tribunale, parametrandola al decisum e dunque all’importo di € 3.440, al cui pagamento la stessa COGNOME è stata condannata, all’esito del doppio grado del giudizio di merito, a titolo di indennità di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. Quindi, valutando l’esito complessivo del giudizio, ha com pensato le spese di primo e secondo grado in ragione dei 2/3 ed ha condannato la COGNOME al saldo del terzo residuo. Gli odierni ricorrenti sostengono, quanto al primo profilo, che la maggior somma che era stata liquidata, in loro favore, dal Tribunale avrebbe dovuto essere ritenuta congrua, in ragione dell’attività processuale da essi svolta e della durata del processo di primo grado. Ed inoltre, sostengono che, in assenza di reciproca soccombenza, la compensazione non avrebbe potuto essere operata, neppure parzialmente.
Sotto il primo aspetto, la censura non si confronta con la ratio della decisione, poiché la riduzione operata dal giudice di appello non è fondata sulla valutazione della durata, o alla difficoltà, del processo, né all’attività difensiva in esso svolta, ma esclusivamente sulla base dell ‘ adozione del criterio del decisum , in luogo di quello
del disputatum . Criterio, questo, che appare corretto, essendo stata la domanda degli odierni ricorrenti accolta soltanto in parte, ovverosia limitatamente all’indennità ex art. 1127 c.c. , e nella sola misura di € 3.440.
Sotto il secondo aspetto, invece, la Corte distrettuale ha correttamente ravvisato la soccombenza reciproca, avendo disatteso totalmente l’appello principale ed accolto solo in parte quello incidentale. Peraltro, come già detto, all’esito del doppio grado di merito le domande degli odierni ricorrenti sono risultate accolte soltanto in relazione all’indennità ex art. 1127 c.c., onde la configurazione di una reciproca soccombenza è del tutto corretta.
La misura della compensazione operata dalla Corte di Appello, invece, non è sindacabile in sede di legittimità, poiché va ribadito, al riguardo, il principio secondo cui ‘ La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente’ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014 Rv. 629389; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30592 del 20/12/2017, Rv. 646611; nonché Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1703 del 24/01/2013, Rv. 624926 e Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017, Rv. 643477) .
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite, regolate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. , con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge -in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME