Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 788/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp. p.t., domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ope legis.
-ricorrente-
contro
REGIONE EMILIA-ROMAGNA, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME come da procura speciale in atti. -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1321/2022 depositata il 15/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSSO
Con atto di citazione notificato in data 12.04.2014, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna la REGIONE EMILIA ROMAGNA per sentirla condannare al pagamento in suo favore del complessivo importo di euro 126.256,97, oltre interessi di mora decorrenti dalla data del 01.04.2014.
Premetteva in fatto l’attrice a sostegno delle proprie domande di aver concesso al Consorzio Fiume Marecchia in data 27.07.1979 e in data 29.10.1982 due mutui per lavori di sistemazione idraulica del Marecchia, rispettivamente di euro 25.882,84 (£ 50.000.000) e di euro 35.635,53 (£ 69.000.000), con oneri di ammortamento a carico del Consorzio medesimo.
Riferiva, altresì, che con legge 18.05.1989 n. 183 (art. 34 comma 1) era stata dichiarata la soppressione dei Consorzi idraulici di terza categoria e, a seguire, con legge 16.12.1993 n. 520 era stato stabilito che le funzioni dei soppressi Consorzi sarebbero state trasferite allo Stato ed alle Regioni con apposito Regolamento attuativo. Nelle more dell’emanazione del Regolamento attuativo previsto dalla legge n. 520/1993, l’Ispettorato generale per gli affari e la gestione del patrimonio degli enti disciolti provvedeva a trasferire le disponibilità finanziarie alle Regioni competenti. Precisava, ancora, che alla prima semestralità di ammortamento del 1995, la Cassa Risparmio di Rimini, tesoriere del Consorzio Fiume Marecchia, sospendeva il pagamento delle rate di ammortamento dei mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. per assoluta mancanza di fondi in capo al soppresso Consorzio.
A seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 112/1998 tutte le funzioni amministrative inerenti alla materia delle risorse idriche e difesa del suolo venivano devolute alle Regioni e agli Enti Locali,
senza provvedere all’emanazione del Regolamento attuativo previsto dall’art. 1 della legge n. 520/1993.
Alla data del 31.03.2014 la situazione debitoria dell’ex Consorzio ammontava ad euro 126.256,97.
Deduceva poi, in diritto, a sostegno delle proprie domande, che la Regione Emilia -Romagna era tenuta a ripianare i debiti contratti dal soppresso Consorzio Fiume Marecchia in quanto, pur essendo rimasta inattuata la legge n. 520/1993, la Regione era comunque subentrata al Consorzio e dunque succeduta nella posizione debitoria. La Regione si costituiva nel giudizio eccependo la prescrizione e contestando sotto diversi profili la fondatezza della domanda di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza n. 457 del 01.02.2017, pubblicata il 08.03.2017, il Tribunale di Bologna rigettava la domanda attorea, compensando integralmente le spese di lite.
Proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE chiedendo la riforma della sentenza impugnata, svolgendo in grado di appello le medesime difese già articolate in primo grado, nella resistenza della Regione.
La Corte di appello di Bologna ha respinto l’appello e condannato la Regione Emilia -Romagna al pagamento delle spese di lite.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso chiedendo la cassazione della sentenza della Corte di appello in epigrafe indicata con due mezzi illustrati con memoria. La Regione Emilia -Romagna ha replicato con controricorso seguito da memoria.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. -Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c.).
La ricorrente deduce che la Corte di merito ha concluso per il rigetto dell’appello per difetto di legittimazione passiva della Regione all’uopo affermando che ‘ in attesa dell’emanazione del regolamento attuativo ‘ della legge 16 dicembre 1993 n. 520, l’adempimento delle obbligazioni del Consorzio Fiume di Marecchia avrebbe dovuto essere chiesta all’IGED (cui è subentrata, nel 2002, RAGIONE_SOCIALE), alla quale, ai sensi del DM 11 ottobre 1957, sarebbe stata conferita la rappresentanza in giudizio degli enti disciolti e la relativa liquidazione.
Secondo la ricorrente, la Corte sembra svolgere un ragionamento sillogistico fondato sulla premessa per cui, in assenza del regolamento attuativo della legge n. 520/1993 (che deferiva al regolamento il compito di attribuire alle Regioni ‘ le funzioni esercitate dai predetti consorzi nonché, a trasferire i rispettivi uffici e beni ‘), unico responsabile per le obbligazioni contratte dal Consorzio avrebbe dovuto essere l’IGED, con la conseguenza che, solo ove fosse stato emanato il regolamento deferente alle Regioni le funzioni, i beni e gli uffici dei Consorzi, allora avrebbe potuto predicarsi la responsabilità della Regione Emilia-Romagna per le obbligazioni del Consorzio Fiume Marecchia.
A parere della ricorrente la Corte d’appello ha ritenuto dirimente la mancata attuazione del regolamento solo perché analogamente a quanto fatto dal Giudice di prime cure – non ha tenuto conto della circostanza, illustrata in fase di merito, per cui: i. in un primo momento, il vuoto normativo era stato colmato dall’art. 13 del D. L. 22 agosto 1994, n. 507 (convertito in legge 21 ottobre 1994 n. 584) che aveva previsto che ‘in attesa della emanazione del regolamento di cui all’art. 1, comma 2, della legge 16 dicembre 1993, n. 520, le funzioni dei soppressi consorzi idraulici di terza categoria sono esercitate dal Ministero dei lavori pubblici e dalle regioni (…) a tal fine le predette amministrazioni si avvalgono delle unità di personale degli stessi consorzi’; ii. in
seguito, il Legislatore aveva inteso porre fine definitivamente al vuoto normativo creatosi, prevedendo, all’art. 86 del D. Lgs. 112/1998, che ‘lla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio. I proventi ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla regione’, rendendo pertanto superflua l’emanazione del più volte menzionato regolamento (avendo risolto in via primaria ciò che inizialmente era stato demandato alla fonte secondaria).
La ricorrente lamenta che il Giudice d’appello richiami il decreto legislativo n.112/1998 nella parte descrittiva del contenuto dell’atto di appello, nelle premesse in fatto, salvo poi omettere totalmente di interrogarsi sulla sua pertinenza e rilevanza nella parte motiva della sentenza.
Deduce, quindi l’erroneità della conclusione secondo la quale la liquidazione del Consorzio sarebbe stata rimessa all’IGED, alla quale CDP si sarebbe dovuta rivolgere per l’adempimento delle obbligazioni derivanti dai finanziamenti, perché non tiene conto della circostanza espressa a pag. 16 dell’atto di appello – per cui pur essendo l’IGED (cui è succeduta RAGIONE_SOCIALE nel 2002) preposto alla soppressione e messa in liquidazione degli enti pubblici ai sensi della legge n. 1404/1956, tale attività liquidatoria richiedeva la previa emanazione di un provvedimento in tal senso da parte del (allora) Ministero del Tesoro che, tuttavia, per i consorzi idraulici non è mai stato emanato.
A parere della ricorrente l’omesso esame di queste due circostanze ha comportato l’erronea decisione della Corte di appello in merito alla legittimazione passiva della convenuta che avrebbe dovuto, invece, essere riconosciuta.
3.- Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 86, 88 e 89 del D. Lgs. n. 112/1998, dell’art. 34 comma 1 della L. n. 183/1989, dell’art. 1 della L. n. 520/1993 e dell’art. 13
comma 1 del d.l. n. 507/1994, in combinato disposto tra loro (art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.).
Come accennato nella sintesi dei motivi di gravame, alla omissione censurata con il primo motivo è logicamente conseguita, per la ricorrente, la violazione delle norme in rubrica.
4.- Il primo motivo è inammissibile.
Il mezzo proposto ex art.360, primo comma, n.5, c.p.c. presuppone l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
Inoltre: i) non costituiscono, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); ii) il ‘fatto’ il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere ‘decisivo’, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poiché l’attributo si riferisce al
‘fatto’ in sé, la ‘decisività’ asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di ‘certezza’ della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015); iii) lo stesso deve essere stato ‘oggetto di discussione tra le parti’: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto ‘controverso’, contestato, non dato per pacifico tra le parti; iv) la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. e 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
La ricorrente non indica alcun fatto storico non esaminato dal giudice del merito, ma deduce l’omesso esame di norme di legge e ciò non rientra nel modello di vizio denunciato.
5.1.- Il secondo motivo è infondato, in condivisione con le conclusioni rassegnate dal P.G.
5.2.- A differenza di quanto sostiene la ricorrente le disposizioni normative da questa invocate, segnatamente gli artt. 86, 88 e 89 del D. Lgs. n. 112/1998, l’art. 34, comma 1, della L. n. 183/1989, l’ art. 1 della L. n. 520/1993 e l’art. 13 comma 1 del d.l. n. 507/1994, in combinato disposto tra loro, non confermano affatto la tesi propugnata dalla ricorrente, perché nessuna di queste disposizioni ha sancito il subentro della Regione Emilia Romagna
nella integrale posizione giuridica dell’ente soppresso, disponendo la successione della Regione rispetto alle obbligazioni contratte dal Consorzio di Fiume Marecchia o ha, anche solo, sancito l’assunzione da parte dell’Amministrazione regionale della veste di coobbligato solidale nella esposizione debitoria del Consorzio.
5.3. La decisione risulta, invero, conforme all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte in tema di soppressione di enti pubblici, al quale va dato continuità, secondo il quale il fenomeno successorio si attua in maniera diversa a seconda che la legge o l’atto amministrativo, che hanno disposto la soppressione abbiano considerato il permanere delle finalità dell’ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al passaggio sia pure parziale delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche già facenti capo al primo ente, ovvero abbiano disposto la soppressione ‘previa liquidazione’. È stato precisato che, nel primo caso, la successione si attua in universum ius , con la conseguenza che tutti i rapporti giuridici che facevano capo all’ente soppresso passano all’ente sottentrante, mentre nel secondo caso, difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell’ente soppresso, non avrebbe senso una successione a titolo universale nelle strutture organizzative, che fosse attuata ai soli fini del loro dissolvimento, e che, pertanto, la successione avviene a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l’ente liquidatore non solo non si sostituisce nella titolarità della sfera giuridica originaria, ma non assume, neppure, alcuna diretta responsabilità patrimoniale per le obbligazioni contratte dall’ente estinto e che già risultavano all’atto della liquidazione (Cass. nn. 8377/2016, 535/2002, 5971/1983).
5.3.- In proposito, è opportuno precisare, sul piano normativo, che:
l’art.34, comma 1, della legge n. 183/1989 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) ha
stabilito esclusivamente che i consorzi idraulici di terza categoria erano soppressi ed ha abrogato le disposizioni relative alla costituzione degli stessi, dando termine al Governo per emanare le norme dirette a disciplinare il trasferimento (comma 2);
ii) l’art.1 della legge 16.12.1993 n. 520 (Soppressione dei consorzi idraulici di terza categoria) vi ha dato attuazione ed ha disposto, al comma 1, che «I consorzi idraulici di terza categoria sono soppressi alla chiusura dei rispettivi esercizi finanziari in corso alla data di entrata in vigore della presente legge. A far tempo dalla data di soppressione cessa la potestà impositiva dei predetti consorzi, venendo pertanto meno qualunque obbligo di pagamento di contributi riferiti a periodi successivi alla medesima data di soppressione.», prevedendo, inoltre, al comma 2, il successivo trasferimento, con regolamento da adottarsi entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, allo Stato e alle Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze funzionali, operative e territoriali, delle funzioni dei soppressi consorzi, nonché degli uffici, dei beni e del personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato in servizio alla data del 1 gennaio 1992.
Cosi delimitato l’ambito del futuro trasferimento allo Stato o alle Regioni, la medesima norma, tuttavia, al comma 4, ha distintamente previsto, senza alcun riferimento alla necessaria emanazione di un regolamento di prossima adozione ( a differenza di quanto prospetta la ricorrente con il primo motivo), che «Entro trenta giorni dalla soppressione, gli amministratori dei consorzi idraulici di terza categoria sono tenuti a consegnare le attività esistenti, i libri contabili, gli inventari ed il rendiconto con gli allegati analitici relativi all’intera gestione al Ministero del Tesoro Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti.» (art. 1, comma 4): da ciò la Corte di appello ha rettamente dedotto che era stata disposta l’apertura della fase liquidatoria dei Consorzi, demandando a tale scopo la procedura
all’I.G.E.D. (ISPETTORATO GENERALE PER GLI AFFARI E LA GESTIONE DEL PATRIMONIO DEGLI ENTI DISCIOLTI), denominazione che l’Ufficio speciale liquidazione degli enti soppressi, di cui alla legge 4 dicembre 1956, n. 1404, e successive modificazioni , aveva assunto, ai sensi dell’art.3 del d.P.R. n.396/1988, e che, ai sensi del DM 11 ottobre 1957 aveva la rappresentanza in giudizio degli enti, le cui liquidazioni gli erano state affidate;
iii) l’art.13 del d.l. n.507/1994, conv. con modificazione nella legge n.584/1994, conferma tale conclusione, atteso che la previsione secondo la quale «1. In attesa, della emanazione del regolamento di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 16 dicembre 1993, n. 520, le funzioni dei soppressi consorzi idraulici di terza categoria sono esercitate dal Ministero dei lavori pubblici e dalle regioni, secondo le rispettive competenze funzionali, operative e territoriali, in base ai criteri di riparto fissati dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni ed integrazioni. A tal fine le predette amministrazioni si avvalgono delle unità di personale degli stessi consorzi in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 1, comma 2, della citata legge n. 520 del 1993, nei limiti numerici di assunzione previsti per le regioni dalla normativa vigente.» , è chiaramente e esclusivamente riferita al comma 2 dell’art.1 della legge n.520/1993 e non interferisce con l’applicazione del comma 4, che ha una propria scansione temporale e che riguarda, per le ragioni anzidette, le attività liquidatorie;
iv) l’art.86, comma 1, del d.lgs. n.112/1998 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) stabilisce che «Alla gestione dei beni del demanio idrico provvedono le regioni e gli enti locali competenti per territorio.» e gli artt. 88 e 89 fissano «i compiti di rilievo nazionale» e «le funzioni conferite alle regioni ed agli enti locali» , senza tuttavia
sancire il subentro della Regione nella posizione giuridica degli enti soppressi, né disponendo la successione della Regione o l’assunzione da parte di questa della veste di coobbligata solidale rispetto alle obbligazioni contratte dagli enti prima della soppressione.
5.4.Alla luce del quadro normativo, risulta palese l’autonomia riservata dal legislatore alla vicenda liquidatoria del disciolto consorzio, che rende ininfluente e priva di diretto rilievo la vicenda relativa all’avvenuta attuazione del trasferimento delle funzioni alla Regione, su cui la ricorrente si sofferma lungamente, posto che non risulta da alcuna disposizione che questo trasferimento abbia ricompreso la posizione debitoria dell’ente disciolto.
La decisione impugnata risulta, quindi, immune da vizi nella parte in cui afferma che «la gestione della liquidazione degli enti soppressi, come anche dei Consorzi idraulici di terza categoria ivi compreso il Consorzio Fiume Marecchia, deve ritenersi in capo all’Ispettorato generale per gli affari e per la gestione del patrimonio degli enti disciolti (I.G.E.D.), e, a seguire, alla subentrata RAGIONE_SOCIALE ferma restando la titolarità in capo al Ministero dell’economia e delle finanze dei rapporti giuridici attivi e passivi.» (fol. 6 della sent. imp.).
6. -In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso;
-Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in relazione alla parte resistente in euro 5.000,00=, oltre euro 200,00 per spese generali;
-Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater , del d.P .R. 30 maggio 2002, nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima