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Somme in conciliazione: quando sono esenti contributi?

La Corte di Cassazione ha stabilito che le somme corrisposte da un’azienda a un ex dipendente in sede di conciliazione giudiziale, a fronte della rinuncia di quest’ultimo a impugnare il licenziamento, non hanno natura retributiva e sono quindi esenti da obblighi contributivi. L’Ente previdenziale aveva richiesto il versamento dei contributi su tali importi, ma il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la valutazione della natura di tali somme, basata sull’interpretazione dell’accordo, spetta al giudice di merito e non può essere ridiscussa in sede di legittimità.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Somme in conciliazione: quando non si pagano i contributi INPS? L’analisi della Cassazione

L’interpretazione della natura delle somme erogate a seguito di un accordo transattivo è un tema cruciale nel diritto del lavoro, con importanti ricadute fiscali e previdenziali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: le somme in conciliazione pagate al lavoratore come corrispettivo per la rinuncia a impugnare un licenziamento non hanno natura retributiva e, di conseguenza, sono esenti dall’obbligo di versamento dei contributi. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti di causa: dalla conciliazione al ricorso in Cassazione

La controversia nasce a seguito di un accordo di conciliazione giudiziale tra un istituto bancario e un suo ex dipendente. L’accordo poneva fine a una lite sorta dopo l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore. In base a tale accordo, la banca aveva corrisposto al lavoratore una somma lorda di circa 139.000 euro.

L’ente previdenziale nazionale, ritenendo che tale somma avesse natura retributiva, ne richiedeva l’assoggettamento a contribuzione. La banca si opponeva, sostenendo la natura risarcitoria e non retributiva dell’importo, e otteneva ragione sia in primo grado presso il Tribunale di Perugia, sia in secondo grado davanti alla Corte d’Appello.

L’ente previdenziale, non soddisfatto, proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’errata applicazione della normativa che disciplina la base imponibile per i contributi previdenziali.

La questione giuridica: le somme in conciliazione sono retribuzione?

Il cuore della disputa legale risiede nella qualificazione giuridica della somma pagata. Secondo l’ente ricorrente, ogni somma corrisposta nell’ambito di un rapporto di lavoro, anche se a titolo transattivo, dovrebbe essere considerata retribuzione imponibile, a meno che non rientri in specifiche eccezioni.

Di contro, la tesi della banca, accolta dai giudici di merito, era che l’importo non fosse legato alla prestazione lavorativa, ma rappresentasse unicamente il “prezzo” della rinuncia del lavoratore a proseguire la causa contro il licenziamento. In questa veste, la somma non sarebbe un “emolumento retributivo”, bensì un importo con finalità transattiva, escluso dalla base imponibile contributiva ai sensi dell’art. 12, comma 4, lettera b) della legge n. 153/1969, che esenta le somme erogate per incentivare l’esodo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’ente previdenziale inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni si fondano su un consolidato principio processuale: l’interpretazione di un contratto o di un accordo, come quello di conciliazione, costituisce un accertamento di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito.

La Corte Suprema ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di sostituire la propria interpretazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il sindacato della Cassazione è limitato alla verifica che il giudice di merito abbia:
1. Rispettato i canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1361 e segg. del codice civile).
2. Fornito una motivazione logica, coerente e non contraddittoria.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva attentamente analizzato le clausole dell’accordo di conciliazione, concludendo che la volontà delle parti era quella di attribuire alla somma una natura novativa e transattiva, come “corrispettivo della rinuncia all’impugnazione del licenziamento”. Di fronte a questa motivazione, l’ente previdenziale si era limitato a contrapporre la propria interpretazione, senza però denunciare una specifica violazione delle regole di ermeneutica contrattuale o un vizio logico nel ragionamento del giudice d’appello. Tale approccio rende il ricorso generico e, pertanto, inammissibile.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Questa ordinanza rafforza un orientamento giurisprudenziale stabile e offre importanti indicazioni pratiche per datori di lavoro e lavoratori nella redazione degli accordi di conciliazione. La qualificazione delle somme in conciliazione come esenti da contribuzione dipende in modo cruciale dalla chiara esplicitazione, all’interno dell’accordo stesso, della loro finalità. Se l’importo è chiaramente definito come contropartita per la rinuncia a un’azione legale (in questo caso, l’impugnazione del licenziamento), e non come erogazione a saldo di pregresse spettanze retributive, sarà possibile sostenerne l’esenzione contributiva.

La decisione sottolinea inoltre i limiti del giudizio di cassazione, ribadendo che la valutazione del contenuto e della volontà negoziale espressa in un accordo è un’attività sovrana del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivata.

Le somme pagate da un’azienda a un ex dipendente in base a un accordo di conciliazione per chiudere una causa sul licenziamento sono soggette a contributi INPS?
No, secondo la decisione in esame, se tali somme sono il corrispettivo per la rinuncia del lavoratore a proseguire l’azione legale contro il licenziamento, non hanno natura retributiva e quindi sono esenti da contribuzione.

Qual è la differenza tra un emolumento retributivo e un importo transattivo in questo contesto?
Un emolumento retributivo è una somma pagata come corrispettivo della prestazione lavorativa. Un importo transattivo, nel contesto di questa ordinanza, è una somma pagata per risolvere una lite, specificamente per compensare la rinuncia a un’azione legale, e non ha legame diretto con il lavoro svolto.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Ente previdenziale?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’Ente ha cercato di ottenere un nuovo esame dei fatti e dell’interpretazione del contratto di conciliazione, attività che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione può giudicare solo su errori di diritto, non sull’interpretazione della volontà delle parti, se questa è stata motivata logicamente dal giudice precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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