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Socio Occulto Fallimento: Senza Limiti di Tempo?

Un’ordinanza della Cassazione esamina il caso dell’estensione del fallimento a un socio accomandante che, dopo il recesso formale, ha continuato a ingerirsi nella gestione societaria. La Corte d’Appello aveva stabilito che per il socio occulto fallimento non si applica il termine annuale di prescrizione, poiché la sua responsabilità illimitata deriva dalla gestione di fatto e non dalla qualifica formale. La Suprema Corte ha rinviato la decisione per trattative tra le parti, ma il principio resta cruciale.

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Socio Occulto Fallimento: Quando la Responsabilità è Senza Limiti Temporali

L’estensione del fallimento societario ai soci è una delle questioni più delicate del diritto fallimentare. Un recente caso giunto all’attenzione della Corte di Cassazione fa luce su una figura particolare: il socio occulto. Quando un socio, pur avendo cessato formalmente il suo rapporto con l’azienda, continua a gestirla di fatto, può essere dichiarato fallito senza limiti di tempo? Analizziamo questa interessante ordinanza interlocutoria.

I Fatti del Caso: L’ingerenza del Socio Accomandante

Il caso riguarda un soggetto che era stato dichiarato fallito in estensione del fallimento di una società in accomandita semplice (s.a.s.). Inizialmente socio accomandatario, era poi diventato socio accomandante e, infine, aveva formalmente recesso dalla società, con iscrizione del recesso nel registro delle imprese.

Tuttavia, secondo le ricostruzioni dei giudici di merito, anche dopo il recesso, egli aveva continuato a comportarsi come un amministratore di fatto. Si era ingerito nella gestione quotidiana, intrattenendo rapporti con dipendenti, fornitori e banche, effettuando versamenti sul conto corrente societario e, in generale, adottando scelte proprie degli amministratori. Di fatto, era diventato un socio occulto, la cui partecipazione non era palese ma sostanziale.

La Decisione sul Socio Occulto e Fallimento

La Corte d’Appello aveva respinto il reclamo del socio, confermando l’estensione del fallimento nei suoi confronti. La difesa del socio si basava principalmente sull’articolo 10 della Legge Fallimentare, che prevede un termine di un anno dalla cessazione della qualità di socio per poter essere dichiarati falliti.

I giudici di secondo grado hanno però stabilito un principio fondamentale: questo termine non si applica in caso di socio occulto fallimento. Il limite temporale annuale, infatti, è pensato per chi cessa formalmente e realmente la propria partecipazione, non per chi, dietro uno schermo formale, continua a esercitare un potere gestorio. Per il socio occulto, la responsabilità illimitata non cessa mai finché la società è in vita, e di conseguenza non esiste un termine annuale per l’estensione del fallimento dopo che la società stessa è stata dichiarata fallita.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte d’Appello si fondano sulla prevalenza della sostanza sulla forma. Non è sufficiente registrare un recesso per liberarsi dalla responsabilità illimitata se, nei fatti, si continua a gestire l’impresa. L’ingerenza nell’amministrazione trasforma il socio accomandante (che dovrebbe avere responsabilità limitata) in un socio a responsabilità illimitata, equiparato all’accomandatario.

Le prove di tale ingerenza erano schiaccianti: la continuità dei versamenti in contanti sul conto societario, le testimonianze che lo vedevano quotidianamente nei locali commerciali a gestire la cassa, e il fatto che avesse mantenuto la delega a operare sul conto corrente senza mai restituire gli strumenti di pagamento. L’assenza di operazioni bancarie nel periodo successivo al recesso è stata considerata irrilevante, dato che l’attività ordinaria dell’impresa era ormai compromessa.

Le Conclusioni

Sebbene la Corte di Cassazione, con questa ordinanza interlocutoria, si sia limitata a rinviare la causa a nuovo ruolo a seguito di una richiesta congiunta delle parti per trattative in corso, i principi affermati dalla Corte d’Appello restano un monito importante. La vicenda evidenzia come la responsabilità illimitata non derivi solo dalla qualifica formale, ma soprattutto dal comportamento concreto tenuto nella vita aziendale. Chiunque si ingerisca nella gestione di una società di persone, anche se formalmente non ne avrebbe il potere o il titolo, si espone al rischio di essere considerato socio di fatto o occulto e, in caso di insolvenza, di subire l’estensione del fallimento senza poter invocare il limite temporale di un anno dalla formale cessazione del rapporto.

Il termine di un anno per la dichiarazione di fallimento di un ex socio si applica anche al socio occulto?
No. Secondo la Corte d’Appello, il termine annuale previsto dall’art. 10 della legge fallimentare non si applica al socio occulto, per il quale non è previsto alcun limite temporale per l’estensione del fallimento una volta fallita la società.

Cosa succede se un socio accomandante si ingerisce nella gestione della società?
Se un socio accomandante si ingerisce nell’amministrazione, perde il beneficio della responsabilità limitata e diventa illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni sociali, esattamente come un socio accomandatario. Di conseguenza, può essere dichiarato fallito in estensione.

La registrazione del recesso dal registro delle imprese è sufficiente a escludere la responsabilità se il socio continua a gestire l’azienda?
No. La decisione della Corte d’Appello chiarisce che il recesso formale, anche se iscritto nel registro delle imprese, è inefficace a limitare la responsabilità se il socio continua di fatto a ingerirsi nella gestione della società. In tal caso, la sostanza prevale sulla forma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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