Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32531 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32531 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25100/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in Palermo, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in Palermo, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1888/2023 depositata il 9/11/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/9/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 90/2023, in accoglimento del ricorso proposto dal curatore del Fallimento di DRS Mode di
COGNOME RAGIONE_SOCIALE dichiarava il fallimento in estensione di NOME COGNOME ritenendo che la stessa, formalmente socia accomandante della società , l’avesse in realtà gestita, assumendo responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali.
Il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto da COGNOME contro la decisione veniva rigettato dall a Corte d’appello di Palermo con sentenza del 9/11/2023.
La corte territoriale: i) rilevava che la reclamante non aveva mai contestato l’effettiva sussistenza di una delega ad operare sul conto della società; ii) escludeva che i bonifici disposti da RAGIONE_SOCIALE in favore di tre diversi creditori della s.a.s. fossero stati effettuati nella veste di mera esecutrice degli incarichi conferitile dalla socia accomandataria, NOME COGNOME che in realtà (come dichiarato al curatore) non si era mai occupata della gestione della DRS Mode, avendo già compiuto 85 anni quando, a partire dal 2020, aveva assunto tale carica; iii) riteneva infine pienamente utilizzabile, al fine di decidere, il verbale d ell’ interrogatorio ex art. 49 l. fall. della reclamante, nel corso del quale questa, assistita da un legale, aveva reso dichiarazioni aventi valenza di confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 c od. civ., ammettendo di avere personalmente gestito, insieme al legale della società, i piani di rientro con alcuni creditori: osservava al riguardo che rientrava nel potere-dovere del curatore acquisire le informazioni rilevanti per procedere a una corretta e pronta gestione della procedura fallimentare e che l’ampia formulazione della norma lasciava intendere che i poteri ispettivi conferitigli prescindessero dalla qualifica ricoperta dal soggetto a cui le informazioni venivano richieste.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE e dei soci illimitatamente responsabili.
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 18 l. fall. . La ricorrente lamenta che la corte distrettuale abbia ritenuto inammissibile il motivo di reclamo con cui ella aveva contestato l’effettiva sussistenza della delega ad operare per conto della società, evidenziando che il documento prodotto (denominato ‘riepilogo rapporti’) consisteva in un mero pdf nativo privo di ogni qualsiasi forma di sottoscrizione, vidimazione, certificazione da parte dell’istituto bancario. Osserva in contrario che il giudice a quo , considerato che le parti sono abilitate a proporre, in sede di reclamo, anche questioni non affrontate nel giudizio innanzi al tribunale, stante l’effetto devolutivo pieno dell’impugnazione, non poteva astenersi dal ravvisare l’assenza di ogni requisito l egale e giuridico all’interno del documento qualificato dal curatore come delega bancaria, appurando così l’inesistenza, oltre che dei minimi requisiti giuridici, anche di qualsivoglia riferimento all’estensione della delega e dei poteri da essa conferiti e valutando, di conseguenza, la sua condotta i (cioè i bonifici da lei disposti sul conto corrente della società) non come violazione dell’art. 2320 cod. civ., bensì come mera esecuzione di obbligazioni contratte, sin dal proprio momento genetico fino alla loro definizione, dal l’avvocato della società incaricato dal legale rappresentante della stessa.
Il motivo è inammissibile.
Al di là dell’ irrilevanza della questione dedotta nel motivo, posto che è pacifico che la ricorrente abbia disposto i bonifici e che pertanto l’ assenza di una delega ad hoc costituirebbe circostanza a suo sfavore, in quanto se ne dovrebbe ricavare che ella poteva liberamente operare sul conto, va osservato che la c orte d’appello, laddove ha rilevato che ‘ la COGNOME non ha mai contestato nel corso giudizio di primo grado l’effettiva sussistenza della delega ad operare sul conto della società, avendolo sempre dato per presupposto ‘, non ha certo inteso smentire il principio secondo cui il reclamo avverso
la sentenza dichiarativa di fallimento è caratterizzato da un effetto devolutivo pieno, con conseguente inapplicabilità dei limiti previsti dagli artt. 342 e 345 cod. proc. civ., bensì (e ben diversamente) fare applicazione della regola prevista dall’art. 115, comma 1, cod. proc. civ. secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non contestati dalla parte costituita.
In altri termini, un conto è riconoscere che le parti sono abilitate a proporre con il reclamo ex art. 18 l. fall. anche questioni non affrontate nel giudizio innanzi al tribunale, un altro è ritenere inammissibile la contestazione di fatti già allegati in sede prefallimentare dall’istante, mai ivi non specificamente contestati dal fallendo ritualmente costituito nel senso imposto dall’art. 115, comma 1, cod. proc. civ. ed anzi da questi dati per presupposti all’interno delle proprie difese (come del resto riconosce la stessa ricorrente nel punto in cui ammette l’esistenza di ‘ bonifici eseguiti per conto della RAGIONE_SOCIALE‘ ).
La censura in esame risulta dunque inammissibile, perché, lungi dal contestare specificamente la reale ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, adduce una critica priva del carattere di riferibilità alla stessa.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 l. fall., perché le dichiarazioni rese dall’COGNOME sarebbero state raccolte dal curatore in violazione del disposto della norma, che abilita l’organo della procedura a interrogare l’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento ma non soggetti differenti.
La c orte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il disposto dell’art. 49 l. fall. legittimi una condotta ispettiva del curatore e gli attribuisca un potere di tipo inquirente; nella specie, peraltro, le ammonizioni date all’interrogata sulle responsabilità civili e penali derivanti da mendaci e/o omesse dichiarazioni non erano supportate da alcuna
norma sanzionatoria, mentre COGNOME avrebbe dovuto essere avvisata della possibilità di tacere senza incorrere in alcuna conseguenza giuridica.
7. Il motivo non è fondato.
L’art. 33, comma 1, l. fall. prescrive al curatore di presentare al giudice delegato una relazione particolareggiata avente ad oggetto, fra l’altro, la responsabilità del fallito o di altri.
Dunque, rientra fra i compiti del curatore quello di raccogliere informazioni, rivolgendosi ai sensi dell’art. 49 l. fall. non solo a chi formalmente abbia ricoperto la carica di amministratore, ma anche a chi (abbia motivo di ritenere che) abbia rivestito di fatto tale ruolo, ai fini della puntuale ricostruzione della dinamica gestionale dell’impresa dichiarata fallita e della conseguente assunzione delle più opportune iniziative nella gestione della procedura fallimentare. Correttamente, pertanto, il curatore ha assunto informazioni dal socio accomandante al fine di verificare l’eventuale operatività, nel caso di specie, del disposto dell’art. 2320, comma 1, cod. civ..
E’ vero che n essuna norma prevede un obbligo di rispondere alle richieste di informazioni avanzate dal curatore; tuttavia le dichiarazioni, una volta che siano state rese, sono pienamente utilizzabili, anche in sede di richiesta di estensione del fallimento nei confronti del dichiarante, giacché non v’è alcuna disposizione normativa che stabilisca che quanto volontariamente affermato dal dichiarante interrogato ai sensi dell’art. 49 l. fall. non possa far prova nei suoi confronti.
È opportuno aggiungere, infine, che l’art. 49, comma 2, l. fall . non prescrive alcun obbligo di ammonimento; ne discende che ogni avviso dato (o non dato) al soggetto invitato a presentarsi risulta pleonastico e non inficia l’utilizzabilità delle dichiarazioni da questi spontaneamente rese.
8. Il terzo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o l’errata e falsa applicazione
dell’art. 2320 cod. civ. e della conseguente estensione del fallimento ex art. 137 ( rectius 147) l. fall., in quanto l’accertamento della violazione dell’art. 2320 cod. civ. da parte della ricorrente si è basato su due atti privi di ogni valenza giuridica e probatoria (ovvero il documento in formato pdf considerato prova dell’esistenza di una delega bancaria e il verbale di audizione assunto contra legem , dal quale la corte distrettuale ha fatto discendere la confessione di condotte di ingerenza societarie).
Il motivo, sostanzialmente ripetitivo delle censure già esaminate e respinte con i primi due mezzi, è assorbito dal loro rigetto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 24 settembre 2024.