Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8048 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8048 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20846/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliata per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di MILANO n. 2160/2022 depositata il 21/06/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Su ricorso di NOME COGNOME, il Tribunale di Pavia con decreto n. 1423/2018 ingiungeva a NOME COGNOME, socia accomandante della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, Silver), il pagamento in favore della prima della somma di euro 99.159,00. A fondamento del ricorso la COGNOME aveva dedotto le seguenti circostanze: a) aveva effettuato finanziamenti alla società Silver per un totale di €. 198.318,00; b) per effetto di scrittura privata intercorsa in data 09/2/16, i soci di detta società (NOME COGNOME socia accomandante – e NOME COGNOME – socio accomandatario) si erano impegnati, in via solidale, a restituirle la somma <>; c) tale cessione era avvenuta in data 21/7/2016; d) i soci COGNOME e COGNOME non avevano onorato l’impegno assunto, ragion per cui era sua intenzione procedere contro la COGNOME pro-quota per il recupero del 50% del suo credito, pari ad €. 99.159,00.
Il decreto ingiuntivo veniva opposto dalla COGNOME, con domanda di accertamento di nulla dovere in ordine al decreto ingiuntivo e di revoca del medesimo. A sostegno del proprio assunto, la COGNOME deduceva che lei, sottoscrivendo l’accordo 09/02/2016, lungi dall’impegnarsi personalmente, si era limitata ad impegnarsi a ripianare le perdite al momento della cessione delle quote societarie a terzi.
Costituitasi in giudizio, la COGNOME chiedeva il rigetto dell’opposizione, con conferma del decreto ingiuntivo e, in ogni caso, la condanna della opponente al pagamento del credito vantato con ricorso monitorio.
Il Tribunale di Pavia, istruita documentalmente la causa, con sentenza n. 189/2020, in accoglimento dell’opposizione, rigettava la domanda di pagamento della COGNOME (non essendo applicabili nei confronti della Domanico le sanzioni di cui all’art. 2320 c.c.).
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello la COGNOME, articolando quattro motivi.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2160/2022, confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la Cavazzoni.
Ha resistito con controricorso la Domanico.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Il Difensore della ricorrente ha depositato memoria a sostegno dell’accoglimento del ricorso.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME – dopo aver premesso che <> – articola in ricorso quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo la COGNOME denuncia: <>, nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto in fatto essere intervenuto un riconoscimento di debito con promessa di ripianare le perdite sottoscritto dal socio accomandante e non ha applicato la conseguente sanzione della responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per l’obbligazione sociale contratta con scrittura privata 09/02/2016, <>.
In definitiva, secondo la ricorrente, la COGNOME, con la sottoscrizione della scrittura 09/02/2016, ha riconosciuto un debito
della società impegnandosi a ripianare i debiti, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere accordata, in applicazione dell’art. 2320 c.c., la sanzione della responsabilità illimitata per essere stato effettuato un atto di ingerenza nell’amministrazione.
1.2. Con il secondo motivo la COGNOME denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale – a fronte della sottoscrizione del riconoscimento di debito, vincolante per la società, nonché dell’obbligazione di ripianare le perdite da parte dell’accomandante, con scrittura 09/02/2016 – con motivazione apodittica (‘giammai potrebbe avere caratteristiche di atto di amministrazione o gestorio’) ha ritenuto di non accordare a detto fatto la valenza di atto di immistione nella gestione della società in accomandita e conseguentemente ha ritenuto di disapplicare le sanzioni conseguenti.
In definitiva, secondo la ricorrente, ricorrerebbe nella specie una vera e propria violazione al patto sociale data dall’ingerenza operata dalla Domanico al momento della sottoscrizione del riconoscimento di debito.
1.3. Con il terzo motivo la COGNOME denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale non ha ritenuto la sussistenza di una fonte di obbligazione di pagamento in capo alla Domanico a fronte dell’art. 3 della scrittura 09/02/2016, che riporta ai fini dell’autosufficienza del ricorso, con il quale la stessa aveva promesso di ripianare le perdite della Silver.
In definitiva, secondo la ricorrente: a) i soci, attraverso la sottoscrizione della clausola n. 3 della scrittura 09/02/2016, avrebbero realizzato una vera e propria espromissione, assumendosi in proprio l’obbligo solidale del pagamento del debito, con conseguente insorgere
in capo ai soci di una autonoma obbligazione solidale; b) la corte di merito, sarebbe incorsa in anomalia motivazionale nella parte in cui, da un lato <>.
1.4. Con il quarto motivo denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale – ritenuta in fatto la presenza di due scritture private rispettivamente del 10/09/2015 e del 09/02/2016 con cui la socia accomandante si era impegnata a pagare i debiti della società, riconoscendoli anche come propri – ha omesso di conceder loro la valenza e gli effetti della ricognizione di debito e promessa di pagamento da parte della COGNOME, con conseguente <>.
In definitiva, secondo la ricorrente, la corte di merito avrebbe erroneamente escluso <>.
2.Il ricorso non è fondato.
2.1. Non fondato è il primo motivo.
Risulta dal giudizio di merito che, all’epoca dei fatti, la Silver era una società in accomandata semplice, di cui il COGNOME (figlio della COGNOME) era socio accomandatario e la COGNOME (all’epoca dei fatti compagna del COGNOME) era socia accomandante.
Come è noto, coessenziale alla struttura della società in accomandita semplice è il principio (stabilito dall’art. 2318 comma 2
c.c.) per cui l’amministrazione della società può essere conferita solo a soci accomandatari.
L’ingerenza nell’amministrazione è rigorosamente vietata ai soci accomandanti dall’art. 2320 c.c., il quale, al comma 2, aggiunge che <>.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 11250/2016 e Cass. n. 4498/2018) che il socio accomandante assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, a norma dell’art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società, o di compiere <>. Alla luce del suddetto principio è stata cassata la sentenza di merito che aveva ritenuto finalizzata alla cogestione dell’amministrazione sociale la mera presenza nella rivendita commerciale della socia accomandante, senza procedere all’ulteriore disamina della natura dell’attività esercitata; mentre è stata confermata la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la mera ‘presa di contatto’ del socio con un’altra società, tesa a sondarne le intenzioni ‘transattive’, non comportasse violazione del divieto di ingerenza.
È, altresì, principio consolidato (già affermato, ad es., da Cass. n. 3563/1979 e da Cass. n. 172/1987) quello per cui, per aversi ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione della società in accomandita semplice, non è sufficiente il compimento, da parte dell’accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l’accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa.
In applicazione di tali consolidati principi, per rimeditare i quali non si ravvisa alcun elemento, correttamente, contrariamente a quanto affermato in ricorso, la corte di merito ha concluso che con la sottoscrizione della scrittura 09/02/2016 la socia accomandante Domanico – nel riconoscere un debito della società e nell’impegnarsi a ripianarlo -non aveva posto in essere un atto di ingerenza nell’amministrazione e non era, pertanto, divenuta illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali.
Peraltro, al riguardo – ed è questo un rilievo che potrebbe financo colorare di inammissibilità l’intero ricorso – la corte di merito ha indubbiamente escluso che nella Domanico vi fosse la volontà di rinunciare alla limitazione di responsabilità, inerente alla sua condizione di socia accomandante della RAGIONE_SOCIALE E detta ratio non risulta adeguatamente censurata in ricorso.
2.2. I motivi secondo e terzo – che vengono qui trattati congiuntamente, in quanto entrambi formulati ai sensi dell’art. 360 comma 1 (e non 2, come indicato in ricorso), n. 5 c.p.c. – sono inammissibili.
Ormai da oltre un decennio le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che (cfr. SU n. 8053/2014) l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d. l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Costituisce, pertanto, un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio
fenomenico rilevante (cfr., tra le tante, Cass. n. 29883/2017); mentre, non costituiscono ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: né le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr., tra le tante, Cass. n. 14802/2017); né gli elementi istruttori (cfr., tra le tante, Cass. n. 21439/2015); e neppure le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito (cfr., tra le tante, Cass. n. 1539/2018).
Nel caso di specie, parte ricorrente non ha specificamente indicato alcun fatto storico, avente le caratteristiche sopra indicate, del quale sia stato omesso l’esame da parte del giudice di merito.
Donde l’inammissibilità dei motivi in esame.
2.3. Inammissibile è anche il quarto motivo.
Nella impugnata sentenza, la corte di merito ha ritenuto che da entrambe le scritture private azionate dalla COGNOME non si evinca la sussistenza di alcuna obbligazione di pagamento della COGNOME nei confronti della stessa.
Invero, nell’esaminare la scrittura privata 9 febbraio 2016 partendo dal dato letterale, ha ritenuto indubbio (p. 4) che: a) la COGNOME aveva effettuato finanziamenti alla Silver per la complessiva somma di euro 198.318; b) i soci della società avevano espressamente riconosciuto che questa aveva un debito di euro 198.318 nei confronti della COGNOME e che <>; b) detto debito sarebbe stato pagato all’atto della stipula dell’atto notarile di cessione delle quote sociali della società; c) <>.
Ad esito della suddetta disamina, la corte ha concluso: <>.
Richiamando principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di legittimità (e, in particolare affermati da Cass. n. 23701/2016 e da Cass. n. 16181/2017) la corte di merito ha anche correttamente dato atto che, in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, per quanto centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, non ha valore assoluto, per cui l’indagine va estesa ai criteri logici, teleologici e sistematici nel caso in cui il testo dell’accordo sia chiaro, ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
Tuttavia, anche alla luce di detti principi, ha rilevato che: <>.
Quanto poi alla scrittura intercorsa tra le parti, riportata alla p. 6 della sentenza impugnata, la corte di merito, dopo aver rilevato che tutti i finanziamenti/versamenti della COGNOME erano stati dalla stessa effettuati o direttamente ai terzi creditori della Silver o al socio accomandatario, ha ritenuto che la scrittura privata del 10/09/2015 (tenuto anche conto del fatto che la COGNOME è la madre del COGNOME e la COGNOME era all’epoca compagna di quest’ultimo) non poteva essere interpretata come preteso ‘prestito ai soci’ o come ‘pretesa dazione di denaro’ alla RAGIONE_SOCIALE e neppure come ‘atto di amministrazione o gestorio’ tale da far perdere alla RAGIONE_SOCIALE il beneficio della responsabilità limitata connessa allo status di socia accomandante.
Tanto precisato, occorre qui ribadire che l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509/ 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito.
Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646/2014), nel caso in cui , contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683; n. 18375 e n. 1754 del 2006).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché quando di una scrittura contrattuale siano
possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10466/2017; n. 8909/2013; n. 24539/2009; n. 15604 e n. 4178 del 2007; n. 17248/2003).
Essendo altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054/2014).
In definitiva, l’inammissibilità del motivo in esame consegue al fatto che non si ravvisano ragioni per ritenere implausibile l’interpretazione offerta dalla corte di merito (peraltro, a conferma di quella resa dal giudice di primo grado; e, in estrema sintesi, ravvisabile nella non configurabilità di un’assunzione diretta di un debito sociale in caso di riconoscimento, ad opera del socio, della sussistenza di quello).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese della ricorrente in favore della controparte e la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell ‘ importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte resistente, delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro
5900 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2025, nella camera di consiglio