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Società partecipate: stop unilaterale stipendi illegittimo

Una società a totale partecipazione pubblica aveva negato a una dipendente gli aumenti contrattuali previsti dal CCNL, giustificandosi con la necessità di contenere la spesa pubblica. La Corte di Cassazione ha stabilito che tale decisione unilaterale è illegittima. Per le società partecipate, qualsiasi misura di contenimento dei costi del personale deve essere negoziata tramite la contrattazione collettiva di secondo livello e non può essere imposta dall’azienda o dall’ente controllante, confermando così il diritto della lavoratrice agli aumenti retributivi.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Società Partecipate: Illegittimo lo Stop Unilaterale agli Stipendi

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per i dipendenti delle società partecipate da enti pubblici. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: l’esigenza di contenere la spesa pubblica non autorizza le aziende a disapplicare unilateralmente gli aumenti retributivi previsti dai contratti collettivi. Qualsiasi deroga deve passare necessariamente attraverso un accordo sindacale di secondo livello.

I fatti del caso: Aumenti negati in nome della spesa pubblica

Il caso ha origine dalla richiesta di una dipendente di una società di servizi, interamente controllata da un ente comunale. La lavoratrice lamentava il mancato pagamento degli aumenti contrattuali maturati tra il 2015 e il 2018, come previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del settore commercio.

La società si era difesa sostenendo di essere vincolata, in qualità di ente strumentale del Comune, alle norme sul contenimento della spesa pubblica e, di conseguenza, al cosiddetto “blocco degli stipendi”. La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le ragioni della lavoratrice, riconoscendo gli aumenti solo a partire dal 1° gennaio 2016. Insoddisfatta, la società ha proposto ricorso in Cassazione.

Società Partecipate e Diritto Privato: Un Principio Cardine

La Suprema Corte ha innanzitutto ribadito un punto fermo: il rapporto di lavoro dei dipendenti delle società partecipate è disciplinato dal diritto privato, dal Codice Civile e dai contratti collettivi di settore, non dalle norme sul pubblico impiego.

La partecipazione pubblica non trasforma la natura privatistica della società né del rapporto di lavoro. Questo significa che le regole, i diritti e i doveri sono quelli tipici di un’azienda privata, salvo espresse deroghe di legge.

L’evoluzione normativa sul contenimento dei costi

La Corte ha poi ricostruito la complessa evoluzione legislativa in materia di contenimento dei costi del personale per queste società. Le norme, in particolare l’art. 19 del D.Lgs. 175/2016 (Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica), hanno progressivamente spostato il focus dalla semplice imposizione di vincoli alla necessità di un percorso condiviso.

Il Ruolo Decisivo della Contrattazione di Secondo Livello

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della normativa vigente. La Cassazione ha chiarito che gli obiettivi di contenimento dei costi fissati dall’ente pubblico controllante non possono tradursi in una compressione automatica dei diritti dei lavoratori. La legge prevede uno strumento specifico per raggiungere questi obiettivi: la contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale).

È in questa sede che l’azienda deve cercare un accordo con le organizzazioni sindacali per recepire le direttive dell’ente pubblico, trovando un equilibrio tra esigenze di bilancio e tutela dei diritti retributivi. Un atto unilaterale del datore di lavoro o dell’ente controllante è, pertanto, illegittimo.

L’interpretazione dell’inciso “ove possibile”

La norma (art. 19, comma 6, D.Lgs. 175/2016) specifica che le misure di contenimento dei costi devono essere recepite in un accordo sindacale “ove possibile”. La Corte ha spiegato che questa espressione non rende facoltativo il ricorso alla contrattazione. Significa, piuttosto, che gli amministratori hanno l’obbligo di tentare attivamente di raggiungere un accordo. Se, nonostante gli sforzi, l’accordo non si trova, i diritti derivanti dal contratto individuale e collettivo restano pienamente validi e non possono essere violati.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi di ricorso della società. Ha affermato che il sistema normativo, a partire dalla L. 147/2013, ha chiaramente scelto la via della contrattazione collettiva come strumento per adeguare i trattamenti economici nelle società partecipate. In assenza di un accordo di secondo livello che modifichi o sospenda gli aumenti, l’azienda è tenuta ad applicare integralmente il CCNL. Il richiamo della società alle norme sul blocco retributivo del pubblico impiego è stato considerato errato, poiché tali norme si applicano a un contesto giuridico diverso e non sono estensibili ai rapporti di lavoro privati delle società controllate, se non in casi specifici e normativamente previsti, non ricorrenti nella fattispecie.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza ha rigettato il ricorso della società, confermando che il diritto della lavoratrice agli aumenti contrattuali non poteva essere negato unilateralmente. Questa pronuncia rafforza la natura privatistica del rapporto di lavoro nelle società partecipate e sancisce l’imprescindibilità del dialogo sindacale come strumento per gestire le esigenze di bilancio. Le aziende non possono semplicemente “scaricare” sui dipendenti i vincoli di spesa imposti dall’ente pubblico, ma devono ricercare soluzioni negoziate nel rispetto dei contratti e dei diritti acquisiti.

Una società partecipata da un ente pubblico può rifiutarsi di applicare gli aumenti previsti dal contratto collettivo nazionale per contenere i costi?
No, non può farlo unilateralmente. La Corte di Cassazione ha stabilito che la necessità di contenere la spesa pubblica non giustifica la violazione dei diritti derivanti dal contratto collettivo. Qualsiasi deroga deve essere concordata tramite la contrattazione di secondo livello.

Qual è lo strumento corretto per le società partecipate per ridurre il costo del personale?
Lo strumento designato dalla legge è la contrattazione collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale). L’azienda deve negoziare con i sindacati per trovare un accordo che contemperi le esigenze di bilancio con la tutela dei diritti dei lavoratori.

Il rapporto di lavoro dei dipendenti di società partecipate è regolato dal diritto pubblico o privato?
È regolato dal diritto privato. Salvo specifiche eccezioni di legge, si applicano il Codice Civile, le leggi sul lavoro subordinato e i contratti collettivi del settore privato di riferimento, anche se la società è interamente controllata da un ente pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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