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Società partecipate: no al blocco stipendi unilaterale

Una lavoratrice di una società partecipata ha rivendicato il diritto agli aumenti salariali previsti dal rinnovo del CCNL. L’azienda si opponeva, richiamando le norme sul contenimento dei costi del settore pubblico. La Corte di Cassazione ha stabilito che le società partecipate sono soggette al diritto privato e non possono disapplicare unilateralmente il CCNL. Qualsiasi deroga ai trattamenti economici deve passare obbligatoriamente attraverso una contrattazione di secondo livello, respingendo l’idea che il blocco stipendi del pubblico impiego si estenda a queste realtà.

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Società Partecipate e Stipendi: No al Blocco Unilaterale

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta sulla gestione del personale delle società partecipate da enti pubblici. Il principio affermato è chiaro: i rapporti di lavoro in queste aziende sono disciplinati dal diritto privato e non è possibile applicare unilateralmente il blocco degli stipendi previsto per il settore pubblico. Qualsiasi modifica peggiorativa dei trattamenti economici deve essere il risultato di un accordo sindacale.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Adeguamento Retributivo

Il caso nasce dalla richiesta di una dipendente di una società in house, interamente controllata da un ente metropolitano. La lavoratrice rivendicava le differenze retributive maturate a seguito del rinnovo del CCNL del settore terziario tra il 2015 e il 2018. L’azienda si era rifiutata di corrispondere gli aumenti, sostenendo di dover rispettare i vincoli di contenimento della spesa pubblica, analogamente a quanto accade per le pubbliche amministrazioni.
La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto la domanda, riconoscendo gli aumenti solo a partire dal 1° gennaio 2016, basandosi su un’interpretazione analogica di una sentenza della Corte Costituzionale (n. 178/2015) che aveva dichiarato illegittimo il prolungamento del blocco della contrattazione nel pubblico impiego.

La Decisione della Cassazione sulle Società Partecipate

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda, chiarendo in modo definitivo la disciplina applicabile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: la natura pubblica del socio non trasforma la natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società partecipate.

La Distinzione Fondamentale: Regime Privato vs. Pubblico Impiego

La Cassazione ha sottolineato che, salvo deroghe espresse, a queste società si applicano le norme del codice civile e le leggi sul lavoro subordinato nell’impresa. Ciò significa che la fonte principale di regolamentazione del rapporto è il contratto individuale e, soprattutto, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore. Le normative sul pubblico impiego, come il D.Lgs. 165/2001 e le relative misure di blocco stipendiale, non sono direttamente estensibili.

Il Ruolo Cruciale della Contrattazione di Secondo Livello

La legislazione più recente, in particolare il D.Lgs. 175/2016 (Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica), prevede che gli enti pubblici debbano fissare obiettivi di contenimento dei costi per le loro controllate. Tuttavia, la stessa normativa indica lo strumento per raggiungere tali obiettivi in materia di personale: la contrattazione di secondo livello. È solo attraverso un accordo aziendale o territoriale che è possibile introdurre deroghe, anche peggiorative, rispetto a quanto previsto dal CCNL. In assenza di tale accordo, l’azienda non ha il potere di negare unilateralmente i diritti economici derivanti dal contratto nazionale.

Blocco Stipendi Pubblico: Perché non si Applica alle Società Partecipate

Uno dei punti più importanti della sentenza riguarda l’inapplicabilità del cosiddetto “blocco stipendiale” ai dipendenti delle società partecipate. La Corte ha chiarito che le leggi che hanno imposto il congelamento delle retribuzioni e della contrattazione (come il D.L. 78/2010) erano destinate esclusivamente al personale delle pubbliche amministrazioni inserite nell’elenco ISTAT, ovvero ai dipendenti in regime di diritto pubblico.

L’Erroneo Riferimento alla Sentenza della Corte Costituzionale

I giudici di legittimità hanno definito errato il ragionamento della Corte d’Appello, che aveva applicato per analogia i principi della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale. Quella pronuncia riguardava il diverso tema del blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, un contesto giuridico del tutto distinto da quello delle società partecipate che applicano CCNL di diritto privato.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione ricostruendo l’evoluzione normativa in materia. Si è passati da un sistema che imponeva un rigido allineamento delle politiche del personale delle partecipate a quelle delle amministrazioni controllanti, a un modello più flessibile. L’attuale disciplina, pur ponendo obiettivi di sostenibilità finanziaria, riconosce l’autonomia del sistema privatistico e individua nella negoziazione sindacale lo strumento privilegiato per bilanciare le esigenze di contenimento dei costi con la tutela dei diritti dei lavoratori. Il rifiuto unilaterale di adeguare le retribuzioni costituisce un inadempimento contrattuale, poiché i diritti nascenti dal CCNL non sono derogabili per volontà unilaterale del datore di lavoro, anche se a partecipazione pubblica.

Le Conclusioni: Implicazioni per Lavoratori e Aziende

La sentenza consolida un orientamento fondamentale: i lavoratori delle società partecipate godono delle tutele previste dal diritto del lavoro privato. Le aziende, d’altro canto, non possono invocare la loro natura pubblica per sottrarsi agli obblighi derivanti dai contratti collettivi. Per gestire eventuali crisi o per perseguire obiettivi di efficienza, la via maestra non è l’atto d’imperio, ma il dialogo sociale e la stipula di accordi sindacali di secondo livello, che rappresentano l’unico meccanismo legittimo per adattare la normativa nazionale alle specifiche esigenze aziendali.

Una società partecipata da un ente pubblico può rifiutarsi di applicare gli aumenti previsti dal CCNL del settore privato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il rapporto di lavoro in una società partecipata è di natura privatistica. Pertanto, l’azienda è obbligata ad applicare il CCNL di settore e non può unilateralmente rifiutare gli aumenti retributivi previsti dal suo rinnovo.

Il blocco degli stipendi previsto per i dipendenti pubblici si applica anche ai lavoratori delle società partecipate?
No. La sentenza chiarisce che le normative sul blocco stipendiale e contrattuale sono destinate esclusivamente ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni in regime di diritto pubblico. Tali misure non si estendono automaticamente ai lavoratori delle società partecipate, il cui rapporto è regolato dal diritto privato.

In quali condizioni una società partecipata può modificare i trattamenti economici previsti dal contratto nazionale?
L’unico strumento legittimo per modificare, anche in senso peggiorativo, i diritti economici stabiliti dal CCNL è la contrattazione di secondo livello. Ciò significa che è necessario stipulare un accordo specifico a livello aziendale o territoriale con le organizzazioni sindacali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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