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Società Partecipate: No al blocco stipendi unilaterale

La Corte di Cassazione, con la sentenza 25707/2025, ha stabilito un principio fondamentale per i dipendenti delle società partecipate. Un’azienda a controllo pubblico non può rifiutarsi unilateralmente di applicare gli aumenti retributivi previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), anche se deve rispettare vincoli di spesa. La Corte ha chiarito che il rapporto di lavoro in queste società è di natura privatistica e qualsiasi modifica ai diritti economici dei lavoratori deve passare obbligatoriamente attraverso una contrattazione di secondo livello con i sindacati, non potendo essere imposta da un atto unilaterale dell’azienda o dell’ente pubblico controllante.

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Società Partecipate: il CCNL non si tocca senza accordo sindacale

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale per migliaia di lavoratori in Italia: i diritti retributivi dei dipendenti delle società partecipate dagli enti pubblici. Con la sentenza in esame, viene ribadito un principio cardine: l’azienda non può unilateralmente disapplicare gli aumenti previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per rispettare i vincoli di bilancio imposti dall’ente controllante. L’unica via per derogare al contratto nazionale è quella della contrattazione di secondo livello.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di una lavoratrice, dipendente di una società ‘in house’ di un’importante Città Metropolitana, di ottenere le differenze retributive maturate a seguito del rinnovo del CCNL del settore terziario. La società si era rifiutata di corrispondere tali aumenti, sostenendo di essere vincolata alle norme sul contenimento della spesa pubblica che avevano imposto un blocco delle retribuzioni nel pubblico impiego.

La Corte d’Appello aveva parzialmente accolto le ragioni della lavoratrice, riconoscendo il suo diritto agli aumenti solo a partire dal 1° gennaio 2016. I giudici di secondo grado avevano fondato la loro decisione sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015, che aveva dichiarato illegittima la proroga del blocco della contrattazione nel settore pubblico. Contro questa decisione, la società ha presentato ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte: Società Partecipate e Diritto Privato

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso dell’azienda, corregge l’impostazione giuridica della Corte d’Appello e chiarisce in modo definitivo la natura dei rapporti di lavoro nelle società partecipate. Il punto centrale è che, salvo espresse deroghe di legge, a tali rapporti si applica la disciplina del Codice Civile e, di conseguenza, la contrattazione collettiva di diritto privato.

Le norme sul blocco degli stipendi e della contrattazione, concepite per le Pubbliche Amministrazioni, non possono essere automaticamente estese a questi soggetti. La natura societaria e privatistica del rapporto di lavoro prevale, garantendo ai dipendenti i diritti che scaturiscono dal CCNL di settore applicato.

Il Ruolo Cruciale della Contrattazione di Secondo Livello

La Cassazione si sofferma poi sull’interpretazione delle norme specifiche per le società partecipate, in particolare l’art. 19 del D.Lgs. n. 175/2016 (Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica). Questa norma prevede che le amministrazioni pubbliche socie fissino degli obiettivi di contenimento dei costi, inclusi quelli per il personale.

Tuttavia, la legge stessa stabilisce il percorso per raggiungere tali obiettivi: la società deve garantire il loro perseguimento tramite ‘propri provvedimenti da recepire, ove possibile, … in sede di contrattazione di secondo livello’. La Corte sottolinea che questa previsione non è una mera facoltà, ma un obbligo procedurale. L’azienda non può semplicemente imporre un blocco salariale con un atto unilaterale; deve invece attivarsi per raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali. L’espressione ‘ove possibile’ non significa che se l’accordo non si trova si può agire da soli, ma indica che il raggiungimento dell’accordo non è un risultato coercibile, fermo restando l’obbligo di negoziare.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda sulla netta distinzione tra il regime del pubblico impiego e quello privatistico delle società partecipate. I giudici hanno chiarito che il richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015, operato dalla Corte d’Appello, era errato, poiché quella pronuncia riguardava il blocco della contrattazione per i dipendenti pubblici, una categoria giuridica differente.

Per i lavoratori delle società a controllo pubblico, i diritti derivanti dal CCNL sono pienamente esigibili. L’esigenza di contenimento della spesa pubblica, pur legittima, non può tradursi in una violazione delle fonti contrattuali che regolano il rapporto di lavoro. L’ordinamento ha previsto uno strumento specifico per bilanciare queste esigenze: la contrattazione aziendale. In assenza di un accordo sindacale che modifichi i trattamenti economici, il datore di lavoro è tenuto ad applicare integralmente il contratto collettivo nazionale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale a tutela dei lavoratori delle società partecipate. Le implicazioni pratiche sono significative:
1. Piena Efficacia del CCNL: I diritti economici previsti dai CCNL applicati non possono essere compressi da decisioni unilaterali del datore di lavoro o da direttive dell’ente pubblico controllante.
2. Obbligo di Negoziazione: Le aziende che necessitano di contenere i costi del personale devono obbligatoriamente percorrere la via del dialogo sindacale e della contrattazione di secondo livello.
3. Tutela dei Diritti: I lavoratori possono agire in giudizio per rivendicare le differenze retributive non corrisposte in violazione del CCNL, senza che la società possa validamente opporre generiche esigenze di bilancio pubblico.

Una società partecipata può rifiutarsi di applicare gli aumenti previsti dal CCNL invocando limiti di spesa pubblica?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i rapporti di lavoro in queste società sono di natura privatistica. Pertanto, la società non può unilateralmente disapplicare gli aumenti salariali previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), anche se persegue obiettivi di contenimento dei costi imposti dall’ente pubblico controllante.

Qual è lo strumento corretto per una società partecipata per contenere il costo del personale?
Lo strumento corretto è la contrattazione collettiva di secondo livello. La legge prevede che eventuali deroghe o modifiche ai trattamenti economici stabiliti dal CCNL debbano essere concordate con le organizzazioni sindacali attraverso un accordo aziendale o territoriale. Un atto unilaterale del datore di lavoro o dell’ente controllante non è sufficiente.

Le norme sul blocco degli stipendi per i dipendenti pubblici si applicano anche ai dipendenti delle società partecipate?
No. La sentenza chiarisce che la disciplina del blocco della contrattazione e delle retribuzioni prevista per le pubbliche amministrazioni non è estensibile ai dipendenti delle società partecipate, il cui rapporto di lavoro è regolato dal codice civile e dalla contrattazione collettiva di diritto privato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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