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Società di fatto tra coniugi: liquidazione e recesso

La Corte di Cassazione interviene sul caso di una società di fatto tra coniugi per la gestione di una farmacia. La sentenza chiarisce che l’allontanamento di un socio dall’attività non determina automaticamente lo scioglimento della società, ma configura un recesso. Di conseguenza, la liquidazione della sua quota deve essere calcolata al momento della manifestazione formale della volontà di recedere (come la notifica di un atto di citazione) e non al momento dell’abbandono fisico. La Corte ha cassato la decisione precedente per aver confuso lo scioglimento della società con il recesso del singolo socio, incorrendo nel vizio di extra petizione.

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Società di fatto tra coniugi: recesso e liquidazione della quota

La gestione di un’attività economica comune può creare complessi intrecci legali, specialmente nel contesto di una società di fatto tra coniugi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali sulla distinzione tra il recesso di un socio e lo scioglimento dell’intera società, con importanti conseguenze sulla liquidazione della quota. Il caso analizzato riguarda due ex coniugi che gestivano insieme una farmacia e si sono trovati in disaccordo sulle modalità di divisione del patrimonio aziendale dopo la fine della loro collaborazione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla separazione di due coniugi che, per anni, avevano gestito una farmacia in regime di società di fatto. Nel 1996, la moglie si era allontanata dall’attività farmaceutica. Anni dopo, era sorta una controversia legale per determinare il valore della sua quota societaria.

La Corte d’Appello aveva stabilito che la società si era sciolta nel 1996, momento dell’allontanamento della moglie, a causa della “sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale”. Di conseguenza, aveva calcolato il valore della quota della ex socia basandosi sul patrimonio della farmacia a quella data.

La donna, ritenendo questa decisione penalizzante, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua richiesta fosse di liquidazione della quota per recesso, non di accertamento dello scioglimento della società, e che la data di riferimento per la valutazione dovesse essere molto più recente.

La disciplina della società di fatto tra coniugi e la decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto le ragioni della ricorrente, ribaltando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito un punto fondamentale: la richiesta di liquidazione della propria quota da parte di un socio non equivale a una richiesta di scioglimento della società. Si tratta, invece, di una manifestazione di volontà di recedere dal rapporto sociale.

Il recesso è un atto unilaterale che riguarda esclusivamente il socio uscente e non pone fine alla società, che può continuare la sua attività con i soci rimanenti. Lo scioglimento, al contrario, è un evento che estingue l’intera compagine sociale.

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha stabilito che la Corte d’Appello aveva commesso un errore di extra petizione (art. 112 c.p.c.), pronunciandosi su una questione – lo scioglimento della società – che nessuna delle parti aveva sollevato. La domanda della moglie era chiara: ottenere la liquidazione della sua quota.

Le motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano sulla corretta applicazione delle norme del Codice Civile in materia di società semplici, applicabili anche alle società di fatto. L’art. 2285 c.c. disciplina il recesso del socio, mentre l’art. 2289 c.c. ne regola la liquidazione della quota. Lo scioglimento della società, invece, è previsto da cause tassative elencate all’art. 2272 c.c.

La Corte ha specificato che l’allontanamento fisico della moglie dalla farmacia nel 1996 non poteva essere interpretato come causa di scioglimento della società per impossibilità di raggiungere l’oggetto sociale, dato che l’attività era di fatto proseguita e aveva continuato a produrre utili. Piuttosto, il recesso si è perfezionato nel momento in cui la socia ha manifestato in modo formale la sua volontà di uscire dalla società, ovvero con la notifica dell’atto di citazione per ottenere la liquidazione della quota, avvenuta nel 2003.

Di conseguenza, la valutazione del patrimonio sociale per calcolare il valore della sua quota deve essere effettuata con riferimento a quella data, non al 1996. La socia ha inoltre diritto agli utili maturati fino al momento del recesso.

Le conclusioni

Questa sentenza stabilisce un principio di diritto di grande importanza pratica per le controversie relative alla società di fatto tra coniugi e, in generale, a tutte le società di persone. La volontà di un socio di uscire dalla compagine sociale deve essere trattata come recesso, e la liquidazione della sua quota va calcolata al momento in cui tale volontà viene formalmente comunicata. Confondere il recesso del singolo con lo scioglimento dell’intera società costituisce un errore procedurale che può alterare significativamente gli esiti economici della controversia, come dimostrato in questo caso. La decisione della Cassazione garantisce una tutela più equa al socio uscente, ancorando la valutazione del suo apporto a un momento certo e formale.

Quando si considera effettivo il recesso di un socio da una società di fatto?
Secondo la Corte, il recesso non coincide con il semplice allontanamento fisico dall’attività, ma si perfeziona nel momento in cui il socio manifesta formalmente la sua volontà di uscire dalla società. In questo caso, tale momento è stato identificato nella notifica dell’atto di citazione volto a ottenere la liquidazione della quota.

Qual è la differenza tra recesso del socio e scioglimento della società?
Il recesso è un atto unilaterale che scioglie il rapporto sociale limitatamente al socio che lo esercita, il quale ha diritto alla liquidazione della propria quota, mentre la società può continuare ad esistere. Lo scioglimento, invece, è un evento che pone fine all’intera società e avvia la fase di liquidazione totale del patrimonio sociale per tutti i soci.

Può un giudice dichiarare lo scioglimento di una società se la parte ha chiesto solo la liquidazione della sua quota?
No. Secondo la Cassazione, se un giudice si pronuncia sullo scioglimento della società quando le parti hanno unicamente dibattuto sulla liquidazione della quota di un socio receduto, incorre nel vizio di ‘extra petizione’, ovvero decide su una domanda mai proposta, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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