Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28930 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28930 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29976/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME, COGNOME COGNOME, COGNOME COGNOME, COGNOME COGNOME, NOME COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2405/2020 depositata il 14/09/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza n. 2405/2020 la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato estinto il giudizio quanto al rapporto processuale B
RAGIONE_SOCIALE da una parte e NOME COGNOME e NOME NOME, dall’altra, con integrale compensazione tra le parti le spese del procedimento; ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alle domande di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME con condanna dell’impugnante RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali.
2. – Per quanto rileva la Corte d’appello ha rilevato che RAGIONE_SOCIALE aveva notificato a NOME e NOME ed a COGNOME NOME e COGNOME NOME nonché a COGNOME NOME NOME di rinuncia agli atti e alle domande aventi ad oggetto l’impugnativa di due lodi arbitrali, uno non definitivo e l’altro definitivo, resi tra le parti, aggiungendo che la rinuncia era stata accettata da NOME e NOME, sicché il giudizio doveva considerarsi estinto nei loro confronti.
Quanto alla rinuncia di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME NOME ed COGNOME NOME nonché di COGNOME NOME la sentenza impugnata ha osservato che la rinuncia era stata formalizzata a spese compensate, così motivando in proposito: « Orbene, se deve considerarsi pacifico che non si sia perfezionato l’accordo estintivo del procedimento, disciplinato dall’art. 306 cpc, in ragione della mancata accettazione, da parte dei convenuti predetti, della rinuncia agli atti, questioni più complesse si pongono con riferimento all’efficacia della rinuncia all’impugnazione e alle domande tutte, in ragione dell’inciso “a spese compensate”, inserito da RAGIONE_SOCIALE nel contesto della rinuncia ora in esame. In proposito, è opportuno ricordare, innanzitutto, che, nel giudizio di appello, la rinuncia all’ impugnazione, da parte dell’appellante, equivale a rinuncia all’azione e pertanto non necessita, a differenza della rinuncia agli atti, di accettazione da parte dell’appellato. La rinuncia all’impugnazione determina – come
la rinuncia agli atti del giudizio di appello – il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. L’identità degli effetti, tuttavia, non comporta la piena corrispondenza dei due istituti perché mentre la rinuncia agli atti del giudizio di appello è efficace in quanto accettata o in quanto non richieda accettazione, la rinuncia alla impugnazione fa venire meno il potere-dovere del giudice di pronunciare con efficacia immediata, senza bisogno di accettazione (vedi Cassazione civile, sez. I, 05/03/2014, n. 5112; Cassazione Civile Sez. VI 6/3/2018 n.5250). La rinuncia all’azione -a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, che, per avere efficacia, deve essere accettata nei modi prescritti dal codice di rito (art. 306) -preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall’accettazione dell’altra parte, perché, estinguendo l’azione stessa, assume l’efficacia di una pronuncia di rigetto, nel merito, della domanda e fa, quindi, venir meno l’interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio, al fine di ottenere una pronuncia negativa sull’azione proposta (vedi Cassazione Civile Sez. I 10/9/2004 n.18255). Orbene, la natura giuridica della rinuncia all’impugnazione e alle domande di merito, delineata sulla scorta dei principi sopra espressi, applicabili, come pare evidente, anche in tema di impugnazione di lodo arbitrale rituale, esclude che possa conferirsi rilevanza alla richiesta del rinunciante di compensazione delle spese, posto che si è in presenza di NOME unilaterale che esonera immediatamente il Giudice dalla decisione sul merito della controversia (vedi in termini Cassazione Civile Sez. III 10 aprile 1998 n. 3734). Del resto, il complessivo tenore letterale della specifica rinuncia in esame induce al convincimento che all’inciso “a spese compensate”, in ragione della sua genericità, non possa che attribuirsi il significato di mera sollecitazione alle controparti e al Giudice a tenere nella dovuta considerazione tale comportamento processuale. L’interpretazione degli atti unilaterali – ai quali si applica, ai sensi
dell’arto 1324 c.c., la disciplina dettata in tema di contratti consiste, invero, nell’accertamento dell’intento proprio del soggetto che ha posto in essere l’NOME unilaterale e si risolve in un’indagine di fNOME riservata al giudice di merito, la cui valutazione è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche (vedi Cassazione Civile sez. un., 29/01/2007, n. 1820). Nell’interpretazione dei negozi unilaterali, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362, primo comma c.c., impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, anche servendosi dei nessi grammaticali e sintattici di cui all’art. 1363 c.c., dovendosi escludere, di contro, per l’unilateralità che connota il negozio, che possa farsi ricorso al canone ermeneutico della comune intenzione delle parti. Né può indagarsi, per ricostruire la volontà negoziali e unilaterale, oltre il senso letterale delle parole adoperate, dando rilievo ad atti esterni del negozio, non spiegando rilevanza, a tal fine, il contesto in cui si sia prevalentemente formata la volontà negoziale, ove non incorporato nel documento scritto, o la valutazione del comportamento dei destinatari dell’NOME (vedi Cassazione civile, sez. lav., 27/09/2011, n. 19709). Orbene, nel caso che ci occupa, il senso letterale delle parole adoperate da RAGIONE_SOCIALE, nell’NOME di rinuncia notificato alle controparti il 23 giugno 2015, esclude che la società attrice abbia voluto limitarsi alla mera formulazione di una proposta transattiva, prevedente soltanto un suo impegno alla rinuncia all’impugnazione e alle domande proposte in giudizio, nel caso in cui le controparti rinunciassero, a loro volta, al rimborso delle spese sostenute in conseguenza dell’ attività processuale resa necessaria dall’impugnazione in esame. Si vuole, invero, evidenziare che è proprio la natura di NOME unilaterale, immediatamente efficace, a prescindere dalla accettazione delle controparti, della rinuncia all’impugnazione e alla domanda a richiedere a colui che intenda
abbandonare il giudizio di esplicitare, in maniera inequivocabile, se, con la sua manifestazione di volontà, abbia inteso sottoporre alle controparti una mera proposta conciliativa. Alla luce delle considerazioni svolte, deve considerarsi priva di qualsiasi valore la dichiarazione unilaterale di inefficacia o di revoca della rinuncia che ci occupa, notificata da RAGIONE_SOCIALE alle controparti, a mezzo PEC, in data 23 settembre 2015. 4- La rinuncia all’impugnazione e alle domande di RAGIONE_SOCIALE comporta che debba essere dichiarata cessata la materia del contendere quanto all’azione intentata dalla società predetta nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ».
Quanto al governo delle spese di lite la corte d’appello osservato: « La società attrice deve essere condannata al rimborso delle spese del presente procedimento. La rinuncia all’impugnazione e alle domande ha, da un lato, efficacia di rigetto delle richieste NOMEree e non vale, dall’altro, evidentemente ad escludere che, in base al criterio di causalità nella lite, di cui costituisce corollario quello di soccombenza posto a fondamento dell’art. 91 c.p.c., RAGIONE_SOCIALE abbia, instaurando il processo, determinato l’esigenza delle altre parti di costituirsi e di svolgere le rispettive difese e, quindi, l’attività processuale sin qui posta in essere » .
3. – Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria cui hanno resistito con distinti ricorsi da un lato NOME COGNOME e dall’altro NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. – Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonché dell’art 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. per non avere la Corte di appello tenuto conto, in sede di decisione, degli
effetti dell’ordinanza n. 4394/2016 passata in giudicato che aveva già definito la portata della rinuncia che costituiva una questione preliminare di merito rispetto al tema della competenza.
Con un secondo motivo RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per non avere la Corte di appello considerato, pur avendo pendente un oggetto diverso da quello del regolamento di competenza, che sulla questione degli effetti e della portata della rinuncia era già intervenuta con autorità di giudicato l’ordinanza della Cassazione la quale in sede di regolamento di competenza aveva affermato che la dicitura « spese compensate » non impedisce l’estinzione del giudizio.
Con un terzo motivo RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg c.c. e dei principi elaborati dalla cassazione in tale materia anche in relazione agli articoli 306 e 390 c.p.c. (art 30, primo comma, n. 3 c.p.c.) per avere ritenuto che l’espressione «spese compensate» desse luogo ad una rinuncia «condizionata» e quindi inefficace.
Con un quarto motivo denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 306 c.p.c. e dell’art. 91 c.p.c. per avere la Corte di appello emesso una statuizione di condanna a carico dell’odierna ricorrente dopo aver dichiarato cessata la materia del contendere senza procedere all’esame della soccombenza virtuale.
– Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
5.1. – I primi due motivi che meritano un vaglio congiunto in quanto investono sia pure sotto profili diversi la medesima questione afferente agli effetti dell’ordinanza nr 4394 del 2016 resa da questa Corte sul presente giudizio, sono infondati.
È scontato, come sostiene la società ricorrente, che il giudicato esterno, qualora siasi effettivamente formato, è sia rilevabile
d’ufficio, secondo un indirizzo giurisprudenziale datato e talmente consolidato da non richiedere neppure di essere rammentato.
Ma il rilievo d’ufficio richiede appunto che un giudicato si sia effettivamente formato.
Nel nostro caso è agevole ed assorbente la constatazione della totale infondatezza della tesi della società ricorrente che invoca la formazione di un giudicato, esterno, concernente il significato da ascrivere alla rinuncia agli atti e alle domande di cui si discorre in questa sede, ossia la rinuncia manifestata nel giudizio di impugnazione per nullità dei lodi arbitrali conclusosi con la sentenza della corte d’appello di Bologna impugnata in questa sede, in dipendenza della pronuncia dell’ordinanza numero 4394 del 2016 di questa Corte, resa in sede di regolamento di competenza avverso decisione del tribunale di Milano, che adito da RAGIONE_SOCIALE con sentenza del 27 novembre 2014 ha declinato la propria competenza in favore dell’arbitro sulla domanda ivi spiegata, sostanzialmente sovrapponibile a quella dalla medesima società già introdotta in sede arbitrale, volta al risarcimento del danno ad essa società asseritamente cagionato in conseguenza di un aumento di capitale di RAGIONE_SOCIALE da NOME COGNOME e NOME COGNOME, da una parte, ed NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dall’altra, rispettivamente amministratori e sindaci di tale ultima società.
La totale infondatezza della tesi discende infatti dalla elementare ragione che le due decisioni, quella della corte d’appello e quella della Corte di cassazione, sono state rese su due distinte rinunce, prese in distinti giudizi, sicché viene a mancare il presupposto di base tale da giustificare il rilievo officioso del giudicato, quale l’identità, negli elementi distintivi, dei rapporti (in questo caso processuali) controversi.
Insomma, l’ordinanza di questa Corte è stata resa nell’ambito del giudizio di regolamento di competenza e la rinuncia al ricorso
pronunciata da RAGIONE_SOCIALE in quel processo era riferita unicamente all’istanza di regolamento di competenza e non anche all’impugnativa del lodo arbitrale oggetto del presente procedimento.
Ciò esime dall’osservare che:
-) la dedotta violazione dell’articolo 112 c.p.c. è palesemente fuori bersaglio, dal momento che essa ricorre soltanto quando il giudice alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fNOME valere in giudizio dall’NOMEre, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo ( causa petendi ) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19 giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868): mentre, nel caso in esame, il giudice di merito ha debitamente scrutinato le richieste di parte impugnante delle ha motivatamente respinte;
-) altrettanto fuori bersaglio è la violazione dell’articolo 132 c.p.c., per l’ovvia considerazione che la decisione della corte territoriale è stata motivata, tanto più ove si consideri che, come è noto, la riforma del giudizio di cassazione del 2012 ha ridotto al « minimo costituzionale » l’esigenza motivazionale (è superfluo rammentare per tutte la decisione delle sezioni unite numero 8053 del 2014);
-) la deduzione di violazione dell’articolo 2909 c.c. è priva di alcun fondamento per la ragione già indicata, e cioè perché la statuizione della Corte di cassazione ha avuto ad oggetto una rinuncia diversa da quella di cui si contende in questa sede, diversità nient’affNOME
esclusa dalla circostanza della sovrapponibilità del testo delle due rinunce.
5.2. – Palesemente inammissibile è poi il terzo mezzo.
È difatti cosa nota che, in tema di interpretazione del contrNOME, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fNOME riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fNOME da questi esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355). In particolare, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (Cass. 15 novembre 2013, n. 25728). D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contrNOME non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astrNOME, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fNOME che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125).
Nel caso di specie dunque sufficiente osservare che la ricorrente neppure indica quali sarebbero stati i criteri ermeneutici violati, ma, in buona sostanza, si limita a sostenere che la corte d’appello avrebbe adottato un’interpretazione dell’NOME di rinuncia difforme da quella accolta da questa Corte: il che, in punto di diritto, non possiede alcun rilievo, non senza aggiungere che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, le due decisioni sono esattamente coincidenti, per il fNOME che entrambe pervengono alla condanna di RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese di lite in favore delle persone fisiche dei sindaci convenuti per risarcimento danni nel giudizio arbitrale.
5.3. – È invece senz’altro fondato il quarto mezzo.
È cosa nota che il giudice può, in qualsiasi stato e grado del processo, dare NOME d’ufficio della cessazione della materia del contendere intervenuta nel corso del giudizio se ne riscontri i presupposti, e cioè se risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti, a ciò non ostando la perdurante esistenza di una situazione di conflittualità in ordine alle spese, dovendosi provvedere sulle stesse secondo il principio della soccombenza virtuale. (Cass. n. 271 del 11/01/2006).
Giova cioè evidenziare come spetti al giudice del merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della soccombenza virtuale, decidere, cioè, se la domanda avrebbe dovuto essere accolta o rigettata nel caso in cui non fosse intervenuta la cessazione della materia del contendere, con apprezzamento di fNOME la cui motivazione non postula certo di dar conto di tutte le risultanze probatorie, e che è sindacabile in cassazione sol quando, a sua giustificazione, siano enunciati motivi formalmente illogici o giuridicamente erronei (Cass. 27/09/2002, n.
14023; Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421).
Nel caso di specie la corte d’appello, tenendo conto della motivazione poc’anzi trascritta, ha evidentemente del tutto omesso di procedere all’analisi della soccombenza virtuale: consistente cioè nello stabilire quale delle parti avrebbe vinto se il contrasto tra di esse non fosse medio tempore venuto meno.
Né l’esigenza di osservanza del precetto stabilito dall’articolo 91 c.p.c. è nel caso di specie soddisfNOME dal generico riferimento contenuto in sentenza al principio di causalità. In generale, una rilettura del principio della soccombenza, considerato nella sua oggettività, è stata proposta in un primo tempo dalla dottrina e quindi recepita dalla giurisprudenza attraverso l’introduzione -principalmente, nella pratica, in quelle ipotesi che non si prestano all’applicazione della regola della soccombenza intesa in senso stretto -del principio di causalità, con il quale si pone l’accento, più che sull’esito finale della lite, sulla condotta causativa di essa. In tal modo, la parte onerata del carico delle spese viene individuata in chi, lasciando insoddisfatta una pretesa fondata o avanzando una pretesa infondata, ha dato causa alla lite.
E cioè, è pur vero che, ai fini del regolamento delle spese del giudizio la parte soccombente va identificata, in base al principio della « causalità », in quella che lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata, o azionando una pretesa accertata come infondata, ha dato causa al processo, e che tale accertamento va compiuto dal giudice di merito nell’ambito di una valutazione globale ed unitaria rapportata al risultato finale della lite e non alle singole questioni trattate (Cass. 9 novembre 1981, n. 5914; Cass., 3 sez., 10 settembre 1986, n. 5539; Cass., 3 sez., 30 maggio 2000, n. 7182; Cass., 3 sez., 27 novembre 2006, n. 25141). Ma è altrettanto vero che per stabilire chi sia che, lasciando insoddisfatta una pretesa fondata o avanzando una pretesa infondata, ha dato
causa alla lite, non può farsi a meno di delibare il merito della controversia, stabilendo in fin dei conti se la domanda, come proposta, ed indipendentemente dal venir meno del contrasto tra le parti, dovesse o no essere accolta.
La sentenza va cassata limitatamente al quarto motivo e rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione anche per le spese di questa fase.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta i primi due e dichiara inammissibile il terzo, cassa la decisione impugnata limitatamente al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione anche per le spese di questa fase.
Così deciso in Roma, il 23/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME