Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4860 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4860  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1881/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, in qualità di titolare dell’omonima farmacia, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale p.t.,  rappresentata  e  difesa  dall’AVV_NOTAIO,  con  domicilio  in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione; -controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 539/20, depositata il 3 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, in qualità di titolare dell’omonima farmacia, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 8810/10, emesso il 22 novembre 2010, con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE le aveva intimato il pagamento della somma di Euro 32.186,57, oltre interessi moratori al tasso previsto dal d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, a titolo di corrispettivo per forniture di medicinali effettuate nel mese di settembre 2010 in favore degli assistiti dal RAGIONE_SOCIALE Sanitario Nazionale.
A sostegno dell’opposizione, l’attrice eccepì l’inapplicabilità del tasso d’interesse previsto dal d.lgs. n. 231 del 2002, affermando che il rapporto intercorrente tra le RAGIONE_SOCIALE e i farmacisti ha natura concessoria ed è disciplinato dallo Accordo Collettivo Nazionale approvato con il d.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, il quale esclude l’applicabilità d’interessi superiori alla misura legale, ed aggiungendo che il d.lgs. n. 231 cit. non trova applicazione ai contratti conclusi in data anteriore all’8 agosto 2002.
Si costituì il COGNOME, e resistette all’opposizione, facendo valere il giudicato esterno derivante dalla mancata proposizione dell’opposizione avverso un altro decreto ingiuntivo e della mancata impugnazione di un’altra sentenza, con cui era stata riconosciuta l’applicabilità del tasso d’interesse previsto dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 231 del 2002.
1.1. Con sentenza del 30 dicembre 2014, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettò l’opposizione.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che con sentenza del 3 giugno 2020 ha revocato il decreto ingiuntivo, condannando l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento degl’interessi legali sulla somma di Euro 32.186,57, con decorrenza dalla domanda, ed il COGNOME al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.235,00 per compensi.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso l’intervenuta cessazione della materia del contendere, per effetto di una transazione stipulata tra le parti, rilevando che la stessa riguardava soltanto la sorte capitale, mentre la controversia aveva ad oggetto la misura degl’interessi, e limitandosi pertanto a dare atto dell’avvenuto pagamento della somma con-
cordata.
Ha ritenuto poi irrilevante la mancata allegazione della delibera di autorizzazione a proporre l’appello, reputandola superflua, in considerazione della natura monocratica dell’organo rappresentativo dell’RAGIONE_SOCIALE, ed ha escluso la genericità del gravame, recante la chiara indicazione della parte della motivazione censurata e delle ragioni del dissenso.
Ha dichiarato invece inammissibile la riproposizione in appello dell’eccezione di giudicato esterno sollevata in primo grado dal convenuto, rilevando che quest’ultimo si era limitato a ribadire le argomentazioni svolte nella fase precedente, senza curarsi di confutare le ragioni addotte dal Tribunale a sostegno della ritenuta inoperatività dell’effetto preclusivo del giudicato.
Nel merito, la Corte ha escluso l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002, osservando che il rapporto intercorrente tra il RAGIONE_SOCIALE e le farmacie, tutte convenzionate ai sensi dell’art. 28 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non ha natura di transazione commerciale, dal momento che la relativa disciplina è affidata alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l’Accordo Collettivo Nazionale stipulato ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per averlo condannato al pagamento delle spese processuali, senza tenere conto dell’esito del giudizio, contrassegnato dall’accoglimento del gravame nella sola parte riguardante la misura degl’interessi. Premesso che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva mai contestato il credito azionato per sorte capitale, avendo anzi provveduto al pagamento del relativo importo, sostiene che il riconoscimento della fondatezza della pretesa comportava la soccombenza dell’RAGIONE_SOCIALE o quanto meno una soccombenza reciproca, idonea a giustificare la compensazione delle spese, in applicazione del principio di causalità.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 e 2967 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.,
osservando che, nel dichiarare inammissibile la riproposizione dell’eccezione di giudicato esterno, da lui sollevata in relazione alla sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 1263/99, la Corte territoriale non ha tenuto conto della unitarietà del rapporto intercorrente tra il farmacista e il SSN e della conseguente identità della causa petendi dei giudizi aventi ad oggetto il pagamento dei corrispettivi dovuti per le singole mensilità, non avendo considerato che la predetta sentenza aveva riconosciuto l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 alle convenzioni farmaceutiche.
Il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente rispetto al primo, in quanto riguardante il merito della controversia, è inammissibile, per difetto di pertinenza.
In quanto imperniate sulla sussistenza dei presupposti necessari per l’operatività della preclusione derivante dal giudicato esterno, le censure proposte dal ricorrente non attingono infatti la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha preso in esame la relativa eccezione, ma si è limitata a dichiararne inammissibile la riproposizione in sede di gravame, in quanto non sorretta da argomentazioni volte a confutare la motivazione della sentenza impugnata, ma fondata sulla mera reiterazione delle ragioni addotte in primo grado. A ciò si aggiunga che, avendo il Tribunale rigettato espressamente l’eccezione di giudicato esterno, la riproposizione della stessa in sede di gravame non avrebbe potuto aver luogo nelle forme di cui all’art. 346 cod. proc. civ., riservate all’ipotesi in cui un’eccezione sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado non sia stata esaminata o sia rimasta assorbita, risultando invece necessaria la proposizione dell’appello incidentale (cfr. Cass., Sez. Un., 12/05/2017, n. 11799; Cass., Sez. II, 280/03/2022, n. 9844).
E’ invece fondato il primo motivo, avente ad oggetto il regolamento delle spese processuali.
La sentenza impugnata, pur avendo riformato quella di primo grado, nella parte riguardante la misura degl’interessi, non ha rigettato integralmente la domanda proposta dal ricorrente nel procedimento monitorio, ma ha dato atto dell’intervenuta corresponsione della somma dovuta a titolo di corrispettivo per le prestazioni farmaceutiche, a seguito della transazione conclusa tra le parti nel corso del giudizio, e per tale ragione si è astenuta dal pronunciare
in ordine al pagamento della sorte capitale, limitandosi a revocare il decreto ingiuntivo ed a condannare l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento degl’interessi legali.
L’accoglimento parziale della domanda, comportando pur sempre la soccombenza dell’opponente, non avrebbe consentito di porre neppure in parte le spese processuali a carico del ricorrente, risultato comunque vittorioso, non potendo ravvisarsi nel caso in esame una soccombenza reciproca, configurabile soltanto in presenza di una pluralità di domande contrapposte o di un’unica domanda articolata in più capi (cfr. Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061), e non assumendo alcun rilievo, in contrario, l’intervenuta revoca del decreto ingiuntivo: anche nel giudizio di cui all’art. 645 cod. proc. civ., la valutazione della soccombenza, ai fini della condanna alle spese, dev’essere infatti compiuta in rapporto all’esito finale della lite, sicché il creditore opposto che veda conclusivamente riconosciuto, sebbene in parte (quand’anche minima) rispetto a quanto richiesto ed ottenuto col monitorio, il proprio credito, se legittimamente subisce la revoca integrale del decreto ingiuntivo, non può essere tuttavia ritenuto soccombente e condannato neppure in parte al pagamento delle spese processuali, ferma restando la facoltà del giudice di disporne la compensazione (cfr. Cass., Sez. lav., 1/ 08/2023, n. 23434; Cass., Sez. VI, 26/05/2022, n. 17137; Cass., Sez. III, 12/05/2015, n. 9587).
5. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del primo motivo d’impugnazione, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la rinnovazione del regolamento delle spese del giudizio di appello, che vanno compensate per la metà, avuto riguardo all’accoglimento dell’unico motivo di opposizione formulato dall’RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo, e per il residuo vanno poste a carico dell’opponente, in qualità di parte soccombente, con liquidazione come dal dispositivo. Nulla va invece disposto in ordine alle spese del giudizio di primo grado, essendo rimasta incensurata la sentenza di appello, nella parte in cui ha omesso di provvedere nuovamente al regolamento delle stesse, nonostante la riforma della sentenza impugnata.
L’esito del giudizio di legittimità, contrassegnato dall’accoglimento parziale del ricorso, giustifica inoltre la compensazione per la metà delle relative
spese, che per il  residuo vanno poste a carico della  controricorrente, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, compensa per la metà le spese del giudizio di appello, condannando la controricorrente al pagamento del residuo, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Compensa per la metà le spese del giudizio di legittimità, condannando la controricorrente al pagamento del residuo, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 28/11/2023