Soccombenza Virtuale e Rinuncia al Ricorso: Chi Paga le Spese?
Quando una parte decide di rinunciare a un ricorso, si potrebbe pensare che la questione si chiuda senza ulteriori conseguenze, specialmente per quanto riguarda le spese legali. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda l’importanza del principio di soccombenza virtuale, un meccanismo che garantisce equità nella ripartizione dei costi processuali anche quando il giudizio si estingue prematuramente. Analizziamo come questo principio ha trovato applicazione in un caso concreto.
I Fatti del Caso
Una nota società di trasporti aveva presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza emessa dalla Corte d’Appello. I lavoratori coinvolti si erano costituiti in giudizio per resistere al ricorso.
Durante il procedimento, alle parti è stata notificata una proposta di definizione anticipata della controversia. Inizialmente, la società si era opposta, chiedendo che la Corte si pronunciasse nel merito. Successivamente, però, la stessa società ha cambiato strategia, decidendo di rinunciare agli atti del giudizio. I lavoratori hanno accettato la rinuncia, ma hanno insistito per la condanna della controparte al pagamento delle spese legali, con distrazione in favore del proprio avvocato.
La Decisione della Corte e la Soccombenza Virtuale
La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, ha dichiarato estinto il giudizio. La questione centrale, tuttavia, rimaneva: chi doveva farsi carico delle spese legali maturate fino a quel momento? Per risolvere questo dilemma, i giudici hanno fatto ricorso al principio della soccombenza virtuale.
Questo criterio procedurale consente al giudice di decidere sulla ripartizione delle spese non sulla base di una sentenza finale di merito, che in questo caso mancava, ma su una valutazione prognostica dell’esito probabile della causa. In altre parole, la Corte si è chiesta: “Se il processo fosse andato avanti, chi avrebbe perso?”.
Le Motivazioni alla Base della Condanna alle Spese
La Corte ha ritenuto che la responsabilità per le spese dovesse ricadere sulla società ricorrente che aveva rinunciato all’impugnazione. La motivazione di tale decisione non è stata arbitraria, ma fondata su un’analisi oggettiva. I giudici hanno infatti richiamato le “precedenti decisioni prese da questa Corte in controversie analoghe”.
In passato, la stessa società era risultata soccombente in casi del tutto simili. Questo orientamento giurisprudenziale consolidato ha reso altamente probabile che anche il presente ricorso sarebbe stato rigettato. Di conseguenza, la società è stata identificata come la “parte virtualmente soccombente” e, come tale, è stata condannata a rimborsare le spese di lite alla controparte.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
La decisione in esame offre un importante insegnamento: la rinuncia agli atti non è una via di fuga per evitare la condanna alle spese. Il nostro ordinamento processuale, attraverso l’istituto della soccombenza virtuale, tutela la parte che, pur avendo ragione, si vede costretta a sostenere dei costi a causa di un’azione legale infondata e successivamente abbandonata. Prima di intraprendere o abbandonare un’azione legale, è fondamentale valutare attentamente non solo le proprie ragioni, ma anche l’orientamento della giurisprudenza su casi simili, poiché questo può influenzare pesantemente la decisione finale sulle spese, anche in caso di estinzione del giudizio.
Se una parte rinuncia al ricorso, deve comunque pagare le spese legali?
Sì, è possibile. Il giudice può decidere sulle spese applicando il principio della soccombenza virtuale, il quale comporta una valutazione su chi avrebbe probabilmente perso la causa se questa fosse proseguita fino alla sentenza.
Cos’è il principio della soccombenza virtuale?
È un criterio utilizzato dal giudice per attribuire le spese legali quando un processo si estingue prima di una decisione di merito. Il giudice valuta l’esito probabile della controversia per determinare quale parte sarebbe risultata “soccombente”, ovvero perdente.
In questo caso specifico, perché la società che ha rinunciato è stata condannata alle spese?
La Corte ha condannato la società perché ha considerato le precedenti decisioni emesse in casi analoghi, nelle quali la stessa società era risultata perdente. Questo ha portato a concludere che, molto probabilmente, anche in questo giudizio sarebbe stata la parte soccombente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21709 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23757/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 558/2023 depositata il 05/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Trenitalia impugnava la sentenza in epigrafe ed i lavoratori resistevano con controricorso.
Veniva quindi notificata alle parti proposta di definizione anticipata della controversia con il rigetto dello stesso. Trenitalia dapprima faceva opposizione instando per la decisione; successivamente rinunciava agli atti del giudizio, prendendo atto della conformità della proposta all’orientamento che si era consolidato in sede di legittimità. I lavoratori prendevano atto della rinuncia ed insistevano per la condanna alle spese di lite, con distrazione.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Deve dichiararsi estinto il giudizio all’esito della rinuncia agli at ti del ricorrente.
Sussiste la responsabilità per le spese della rinunciante, in applicazione del principio della soccombenza virtuale, in ragione delle precedenti decisioni prese da questa Corte in controversie analoghe, che hanno visto la soccombenza della rinunciante; le spese, liquidate come da dispositivo, devono essere distratte.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 1.500 per compensi professionali ed euro 200 per
esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge, con distrazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 giugno 2025.