Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34225 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34225 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
R.G.N. 10527/2021
C.C. 6/11/2024
DISTANZE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10527/2021 ) proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, alla INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
COGNOME
-intimato –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 167/2021, pubblicata il 12 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria depositata dalla ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Nel corso del 2013, il sig. COGNOME NOMECOGNOME quale proprietario di un terreno sito in Roma, alla INDIRIZZO convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la sig.ra COGNOME NOMECOGNOME proprietaria di un fondo confinante, deducendo che quest’ultima aveva costruito in aderenza al confine un manufatto in lamiere a tubi di ferro, con copertura in eternit; pertanto, chiedeva la condanna della citata convenuta alla rimozione o all’arretramento di tale manufatto nel rispetto delle distanze minime legali, oltre al risarcimento dei danni.
La COGNOME NOME si costituiva in giudizio, instando per il rigetto della domanda attorea e negando di aver costruito il manufatto dedotto in causa, del quale aveva chiesto solo il condono edilizio. La stessa dava atto di aver eliminato la copertura in eternit.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 15005/2014, dichiarava cessata la materia del contendere sulla parte della controversia inerente la copertura in eternit (siccome rimossa) e rigettava nel resto la domanda, compensando le spese giudiziali, sul presupposto che -pur avendo l’attore posto riferimento alla precedente sentenza definitiva del Tribunale di Roma n. 8660/2011 con la quale era stato determinato il confine tra i fondi in questione -lo stesso non aveva prodotto tale provvedimento.
Decidendo sull’appello formulato dal COGNOME, la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 167/2021, riformava parzialmente la sentenza impugnata e dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda di rimozione del manufatto proposta dal COGNOME nei confronti della COGNOME (essendo stato, nelle more, l’immobile demolito) , respingeva la correlata domanda di risarcimento dei danni e condannava l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
NOME COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza di appello, articolandolo in due motivi.
Il Consigliere delegato della Sezione, in persona del dr. NOME COGNOME ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., sul presupposto della ravvisata inammissibilità o, comunque, manifesta infondatezza di entrambi i motivi.
La citata ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso in virtù del comma 2 dell’indicato art. 380 -bis c.p.c.
Il giudizio è stato, conseguentemente, fissato per l’adunanza camerale nelle forme dell’art. 380 -bis.1. c.p.c., in prossimità della quale la difesa della ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 873 e ss. c.c., lamentando l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ‘aggira’ (come affermato a pag. 11
del ricorso) la duplice problematica costituita dalla mancata allegazione in primo grado della precedente sentenza del Tribunale di Roma n. 8660/2011 e dalla impossibilità di produrla ‘ex novo’ in appello, circoscrivendo la fattispecie nell’ambito generico del citato art. 873 c.c.
Tuttavia, osserva la ricorrente, sarebbe stato corretto applicare detta norma se il manufatto fosse stato realizzato dopo la demarcazione del confine, ma se la sua posizione era derivata -come, in effetti, era avvenuto dallo spostamento del confine imposto giudizialmente con la menzionata sentenza passata in giudicato, era questo titolo giudiziale ad essere diventato il fondamento della ‘causa petendi’ relativa alla pretesa di arretramento ed avrebbe dovuto essere prodotto in giudizio, ma in quello di primo grado.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., prospettando l’illegittimità della disposta condanna a suo carico del pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, nel mentre si sarebbe dovuta ravvisare, come già rilevato dal giudice di prime cure, la sussistenza delle condizioni per dichiarare la compensazione di dette spese, stante la parziale reciproca soccombenza, essendo stata comunque respinta la domanda risarcitoria formulata dal Persico.
In via pregiudiziale, occorre dare atto che non si pone una questione di inammissibilità del ricorso per intempestività della sua proposizione, dal momento che -per quanto attestato nella procura rilasciata in calce
allo stesso ricorso -la sentenza di appello non era stata notificata presso il difensore domiciliatario, la sola circostanza che avrebbe determinato il decorso del termine breve di sessanta giorni di cui all’art. 325 c.p.c. Il riferimento alla notificazione contenuto nell’epigrafe del ricorso si riferisce -per quanto emergente anche ex actis -all’avvenuta notificazione effettuata presso la parte personalmente seguita da quella del precetto, quali adempimenti preliminari e all’eventuale esecuzione forzata, evento, in quanto tale, irrilevante ai fini del decorso di detto termine, applicandosi, in tal caso, il termine c.d. lungo contemplato dall’art. 327 c.p.c. (cfr., ad es., Cass. n. 7197/2019), pacificamente rispettato (risultando la sentenza di appello pubblicata il 12 gennaio 2021 e il ricorso spedito per la notificazione il 9 aprile 2021).
Ciò premesso, il collegio rileva che il primo motivo è inammissibile perché, con esso, la ricorrente non censura l’unica e decisiva ratio adottata dalla Corte di appello nella sentenza qui impugnata, in virtù della quale, preso atto che l’intero manufatto della stessa Piazzolla era stato demolito nel corso del 2018 (ovvero durante la pendenza del giudizio di secondo grado), è stata dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento all’oggetto della domanda dedotta in controversia relativa all’accertamento o meno della violazione della distanza legale.
Anziché confutare tale motivazione, la ricorrente ha incentrato la sua doglianza sull’insussistenza di detta violazione, facendo leva sull’assunta efficacia di un pregresso giudicato con il quale era stata determinata giudizialmente la linea di confine, senza, tuttavia,
prendere in esame la suddetta ratio considerata in via esclusiva dalla Corte di appello per addivenire alla declaratoria della cessazione della materia del contendere, proprio perché era venuto meno -nelle more -l’oggetto della controversia, per effetto della sopravvenuta demolizione integrale del manufatto attraverso la cui edificazione il Persico aveva denunciato che non fosse stata rispettata la distanza legale. E la giurisprudenza di questa Corte sanziona appunto con la inammissibilità il motivo che non censura la ratio decidendi (cfr. Cass n. 19989/2017; v. anche Cass. n. 8247/2024)
5. E’, invece, fondato il secondo motivo.
Infatti, la Corte di appello ha illegittimamente applicato il principio della soccombenza virtuale totale sulle spese a carico dell’attuale ricorrente, malgrado – pur essendo stata dichiarata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per la ragione appena specificata rispetto alla domanda principale del Persico – la correlata domanda accessoria di risarcimento danni da quest’ultimo proposta fin dall’atto introduttivo fosse stata respinta con la sentenza di primo grado (tanto è vero che il Tribunale aveva compensato le relative spese giudiziali) e, a seguito della sua reiterazione con l’atto di appello, sia stata respinta anche all’esito del giudizio di secondo grado.
Pertanto, il Persico era da considerarsi soccombente in relazione alla esercitata pretesa risarcitoria (siccome ritenuta difettante di qualsiasi allegazione specifica e di idonea prova), costituente un capo ulteriore della complessiva domanda esercitata, donde si sarebbe
dovuta valutare quantomeno la sussistenza di una ipotesi di reciproca soccombenza parziale, come tale impeditiva della condanna della COGNOME al pagamento integrale delle spese del doppio grado di giudizio, quand’anche in base al criterio della soccombenza virtuale.
6. In definitiva, deve essere accolto il secondo motivo e dichiarato inammissibile il primo. Da ciò consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla doglianza ritenuta fondata, con derivante rinvio della causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che, oltre a rivalutare le complessive condizioni per la disciplina delle spese complessive dei gradi di merito in base al principio in precedenza evidenziato (dovendosi escludere la soccombenza totale della Piazzolla), provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, in data 6 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME