Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5356 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5356 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32739/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
(CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1732/2019 depositata il 27/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
– COGNOME NOME ricorre per tre mezzi, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, contro la sentenza del 27 agosto 2019 con cui la Corte d’appello di Bari, provvedendo in riforma di sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, confermata la revoca del decreto ingiuntivo già opposto dallo COGNOME, ha condannato il medesimo al pagamento, in favore della banca, della somma di € 288.100,52, oltre accessori, regolando le spese di lite.
– RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale per un mezzo.
– Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
4. – Il primo mezzo del ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione all’articolo 115, primo comma, c.p.c., stante l’omessa applicazione, da parte del giudice d’appello, del principio di non contestazione sancito in detta disposizione.
Il secondo mezzo denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 360, numero 4, c.p.c., in relazione all’articolo 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia su una domanda formulata nel
petitum di parte appellata del giudizio di secondo grado, ovverosia la pronuncia di inammissibilità dell’appello perché basato su una domanda nuova ai sensi dell’articolo 345 c.p.c.
Il terzo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione agli articoli 91 e 92 c.p.c., stante la parziale compensazione delle spese disposta dal giudice d’appello ed il conseguente rigetto dell’appello incidentale proposto.
5. – L’unico mezzo del ricorso incidentale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91, primo comma, e 92, secondo comma, c.p.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, numero 3, c.p.c.
RITENUTO CHE
6. – Il ricorso principale va respinto.
6.1. – Il primo mezzo è inammissibile.
Il tema del contendere è il seguente.
La banca ha chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo di pagamento del complessivo importo di € 319.660,87 quale saldo debitore di due conti correnti accesi dallo COGNOME, oltre interessi e spese. Lo COGNOME ha proposto opposizione deducendo l’illegittimità e nullità dei tassi e delle condizioni applicate nonché la violazione delle pattuizioni stabilite in sede stipulazione dei contratti di conto corrente, ed il carattere usurario degli interessi praticati.
Il giudice di primo grado, espletata consulenza tecnica d’ufficio, ha accolto l’opposizione, e, conformandosi alle risultanze dell’elaborato peritale, ha determinato in € 288.100,52 il debito dello COGNOME, da cui ha ritenuto di detrarre l’importo di € 245.000,00, che a dire dell’opponente sarebbe stato complessivamente – ed incontestatamente – versato alla banca al
fine di ripianare l’esposizione debitoria. Per l’effetto il Tribunale ha condannato lo COGNOME a pagare alla banca la somma di € 43.100,52. La banca ha impugnato la sentenza negando che dovesse essere detratto il menzionato importo, che derivava dalla sommatoria di rimesse già regolarmente man mano annotate sugli estratti conto, di modo che l’errore commesso dal Tribunale consisteva nell’aver considerato « due volte le registrazioni a deconto del debito » nonché nell’aver trasformato « le competenze a debito in un … credito ».
La Corte d’appello ha ritenuto che, con riguardo ai versamenti effettuati per ripianare l’esposizione debitoria, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, « vi è stata specifica contestazione da parte della creditrice opposta, la quale, nella comparsa di costituzione in primo grado, negò espressamente che le poste contestate dai coniugi COGNOME e COGNOME fossero illegittime. Ed è proprio per tale ragione che venne disposta la consulenza tecnica contabile allo scopo di rielaborare i movimenti dei conti correnti, espungendo dalla ricostruzione dei saldi finali le poste annotate indebitamente … Le competenze a debito da escludere nella rielaborazione dei due conti sono, dunque, quelle determinate dal c.t.u. nella relazione peritale integrativa e sul punto non si registra alcun contrasto tra le parti in sede di gravami, essendosi limitata l’appellante principale a censurare l’impugnata sentenza soltanto con riferimento alla erronea detrazione, dall’importo complessivo dei saldi finali dei conti correnti, della somma di € 245.000,00 ed avendo ad oggetto l’appello incidentale spiegato dagli opponenti (odierni appellati) unicamente il capo relativo alla regolamentazione delle spese di lite. Per quanto riguarda la somma di € 148.430,74, corrispondente all’importo totale dei versamenti che gli appellanti incidentali su uno di aver eseguito per ripianare
l’esposizione debitoria e pretendono di portare a deconto del complessivo ammontare dei saldi accertato dal c.t.u., pari a € 288.100,52, è sufficiente rilevare che si tratta di rimesse regolarmente registrate accredito sul conto corrente n. 122/682/05 e di cui l’ausiliare ha già tenuto conto nella rielaborazione dei dati, con la conseguenza che non si deve far luogo ad alcuna ulteriore detrazione. Ed infatti, l’importo di € 20.000,00 relativo a n. 4 assegni circolari registrato il 28 maggio 2008 risulta dall’estratto conto al 30 giugno 2008; gli importi di € 35.712,11 e € 90.779,63 … risultano accreditati il 12 settembre 2008, con la causale ‘vendita titoli per contanti’, e figurano annotati nell’estratto conto al 30 settembre 2008; la somma di € 1939,00 risulta accreditata l’11 novembre 2008, con la causale ‘valori diversi prelevamento da D/R a garanzia’ . ed è riportata nell’estratto conto al 31 dicembre 2008. I versamenti che, secondo la tesi dei debitori in giunti accolta dal primo giudice, sarebbero stati finalizzati al ripianamento dell’esposizione debitoria non sono altro che operazioni accredito intervenute prima della chiusura dei rapporti di conto corrente e regolarmente annotate negli estratti conti prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE opposta sin dall’introduzione del giudizio, e costituiscono semplicemente delle poste contabili già ricomprese nei conteggi operati dal c.t.u. per la ricostruzione dei saldi finali. Ne consegue che non ha alcun senso sul piano logico giuridico parlare, nella fattispecie in esame, di acquisizione della prova in forza del principio di non contestazione ».
Ciò premesso, è agevole ricordare che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490; ma si veda anche Cass. 31 marzo 2021, n. 8994, non massimata): nel caso di specie la motivazione che ha
escluso la non contestazione c’è, e, come sopra trascritta, supera senz’altro la soglia del « minimo costituzionale » (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
6.2.- Anche il secondo mezzo è inammissibile.
Esso muove dalla premessa secondo cui « l’avversa difesa, costituendosi in giudizio con comparsa di costituzione e risposta, non ha mosso alcuna contestazione in merito ai pagamenti effettuati da parte opponente per circa € 245.000,00 … Alla luce di ciò, in sede di costituzione in grado di appello questa difesa ha eccepito la tardività della contestazione dei pagamenti effettuati dagli appellati, ai fini del calcolo del dare/avere tra le parti, sostanziandosi tale contestazione in una domanda nuova, inammissibile ai sensi dell’articolo 345 c.p.c. »
Il motivo è infondato.
La banca non ha formulato difatti alcuna domanda nuova, ma si è limitata a denunciare l’errore commesso dal Tribunale del giudicare pacifici versamenti, ulteriori rispetto a quelli già annotati dalla banca, che pacifici non erano affatto, ed anzi il cui computo, in buona sostanza, dava luogo ad una duplicazione degli importi versati dallo COGNOME: è dunque del tutto evidente che la Corte territoriale, nell’accogliere l’appello e nel reputare che i pagamenti in discorso non fossero pacifici, ha con tutta evidenza, pur senza richiamare l’articolo 345 c.p.c., respinto l’eccezione formulata dall’allora appellato.
6.3. – Il terzo mezzo è infondato.
L’affermazione, effettuata dal ricorrente, secondo cui apparirebbe addirittura « chiaro come l’unica parte soccombente sia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE » (questo l’assunto sostenuto a fondamento della denuncia di erroneità del governo delle spese di lite, che, a dire dello COGNOME, avrebbero dovuto essere poste
integralmente a carico della banca), a fronte di una pronuncia che ha condannato il convenuto in senso sostanziale, opponente a decreto ingiuntivo, al pagamento, in sede di appello, di un importo di € 288.100,52, in luogo di quello minore di € 43.100,52, riconosciuto dal Tribunale, è spiegata contro l’evidenza.
La valutazione della soccombenza va infatti effettuata sulla base di una valutazione complessiva dell’esito della lite, che nel caso di specie ha visto accolta in parte, per € 288.100,52, la pretesa creditoria azionata dalla banca, all’origine quantificata in € 319.660,87. In particolare, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, va fatta applicazione del principio che segue: « In tema di spese legali del procedimento di ingiunzione, la revoca del decreto ingiuntivo in esito al giudizio di opposizione, non costituisce motivo sufficiente per rendere irripetibili dal creditore le spese della fase monitoria, occorrendo aver riguardo, invece, all’esito complessivo del giudizio, sicché la valutazione della soccombenza dovrà confrontarsi con il risultato finale della lite anche in relazione a tali spese » (p. es. Cass. 9 agosto 2022, n. 24482).
5.4. – Il ricorso incidentale, con cui la controricorrente si duole della compensazione di un terzo delle spese di lite, è infondato.
Nel nostro caso, la Corte d’appello ha così motivato: « Considerato che ricorrono gli estremi della soccombenza reciproca e valutata la sensibile maggiore entità del credito riconosciuto in capo alla banca, si ritiene di giustizia compensare per 1/3 le spese processuali, ponendo a carico degli appellati i restanti 2/3 ».
E cioè, il giudice di merito ha disposto la compensazione in ragione della reciproca soccombenza: presupposto della compensazione che è sempre rimasto fermo nella previsione dettata dal più volte novellato, ad altro riguardo, articolo 92 c.p.c., ivi compresa la versione, qui applicabile ratione temporis , avendo avuto inizio il processo il 28 maggio 2009, secondo cui: « Se vi è soccombenza
reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti ».
Ora, tale soccombenza effettivamente sussisteva, avendo lo COGNOME proposto una domanda volta ad accertare e dichiarare la nullità dei tassi e delle condizioni applicate ai contratti di conto corrente, domanda che i giudici di merito hanno in effetti accolto in parte, sia pure in fin dei conti marginale, riducendo l’entità del credito.
Sicché non rileva in questa sede l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte – concernente il caso in cui non vi sia una pluralità di domande – le quali hanno di recente chiarito che: « In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. » (Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2022, n. 32061).
Resta allora soltanto da aggiungere che nulla rileva il pur evidente divario tra la misura della reciproca soccombenza – nel caso in esame l’accoglimento parziale della domanda dello COGNOME ha condotto ad una riduzione dell’importo dovuto aggirantesi su poco più del 10% – e la misura della compensazione, operata per un terzo, giacché: « La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente » (Cass. 20 dicembre 2017, n. 30592, tra le tante).
7. – Le spese possono compensarsi per un terzo in considerazione dell’esito della lite, mentre i rimanenti due terzi seguono la soccombenza prevalente del ricorrente principale. Non sussistono i presupposti per l’applicazione, sollecitata dalla controricorrente, dell’articolo 96 c.p.c. Sussistono a carico di entrambe le parti i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente COGNOME NOME al rimborso, in favore della controricorrente, dei due terzi delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate, per l’intero, in complessivi € 9.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dichiarando compensato il rimanente terzo e dando atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis .
Così deciso in Roma, il 30 novembre 2023.