Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20889 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20889 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6938/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE, in persona del rappresentante legale, COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2871/2022, depositata in data 13/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
RAGIONE_SOCIALE citava innanzi al Tribunale di Milano la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che, previo accertamento dell’inadempimento degli obblighi assunti con il ‘mandato per servizi in funzione di apertura al mercato cinese dell’olio visagi’, fosse condannata a restituirle l’anticipo di euro 4.270,00 ed a risarcirle il danno, quantificato, complessivamente, in euro 14.000,00.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 6783/2020, accoglieva le domande di risoluzione e restitutoria e rigettava quella risarcitoria; per l’effetto, condannava la convenuta al pagamento, a titolo di spese di lite, di euro 4.150,00.
Per quanto ancora rileva in questa sede, con sentenza n. 2871/2022 depositata in data 13 settembre 2022, la Corte d’appello di Milano, investita dell’impugnazione da RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato il motivo di appello con cui, argomentando che, trattandosi di soccombenza reciproca – stante il rigetto integrale della più cospicua domanda di risarcimento – lo scaglione tariffario da applicare doveva essere quello da euro 1.101,00-5.200,00, era stata chiesta la riforma del capo della sentenza che aveva liquidato le spese di lite, ed ha condannato l’appellante alle spese del grado in base allo scaglione da euro 5.201,00-26.000,00.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione esclusivamente di detta statuizione della sentenza della Corte d’appello di Milano, affidandosi a due motivi.
Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da RAGIONE_SOCIALE, rimasta intimata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92 cod.proc.civ., degli artt.4-27 d.m. 55/2014, dell’art. 13 d.p.r. 115/02 nonché dell’omessa valutazione dell’esito complessivo e finale della lite (art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.).
Atteso che la domanda della società RAGIONE_SOCIALE era volta ad ottenere l’accertamento dell’inadempimento e la conseguente dichiarazione di intervenuta risoluzione del contratto con correlativa restituzione di euro 4.270,00 oltre agli interessi, nonché la condanna al risarcimento di tutti i danni quantificati nella somma di euro 4.000,00, per danno emergente, e di euro 10.000,00 per mancato guadagno, e che il Tribunale aveva ritenuto la richiesta di risarcimento sfornita di prova, accogliendo solo la domanda di risoluzione e di restituzione dell’anticipo di euro 4.270,00, la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso che il rigetto della domanda risarcitoria avesse inciso sulla qualità di soccombente dell’appellante. Sarebbe giunta a tale conclusione, omettendo sia di osservare che i ‘diritti azionati da RAGIONE_SOCIALE erano stati in maggior parte respinti’, sia di valutare il ‘complessivo esito del contenzioso’, condannandola al pagamento delle spese di lite come se la più corposa domanda della controparte fosse stata accolta.
La tesi della ricorrente è in sostanza che il giudice d’appello dovesse procedere alla riforma della sentenza di primo grado, applicando il principio della soccombenza reciproca ovvero parziale, così compensando le spese di lite .
Inoltre, la corte di merito avrebbe errato nel ritenere che la domanda di risarcimento non avesse comportato alcun aggravio degli oneri processuali, essendo, per contro, evidente che la domanda di risarcimento avesse determinato un aumento del valore della domanda introduttiva fino a euro 18.270,00 con le
conseguenze a ciò connesse, essendo la RAGIONE_SOCIALE delle spese rapportata al valore della lite.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 336, 14, 329 cod.proc.civ. e dell’art. 5 co.1 d.m. 55/2014 (art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.).
La sentenza del Tribunale aveva statuito che ‘Le spese seguono la soccombenza ex art.91 cpc e vengono liquidate ex D.M. 55/14 come in dispositivo, in relazione allo scaglione, ai valori minimi eccezion fatta per la fase di studio che viene liquidata al valore medio, attesa l’attività effettivamente svolta e la bassa complessità delle questioni giuridiche trattate, con aumento a carico del soccombente per manifesta fondatezza delle ragioni di parte vittoriosa (art. 4, comma 8) anche in considerazione della mancata risposta all’invito negoziativo del 18.09.2017’ e poi l’aveva condannata al pagamento di euro 4.270,00 e a rimborsare le spese di lite, ‘liquidate in euro 264,00 per spese, euro 4.150,00 per competenze professionali oltre i.v.a., c.p.a. e 15 % per spese generali’, omettendo ogni riferimento al rigetto della domanda risarcitoria e applicando erroneamente lo scaglione tariffario da euro 5.201/26.000 per un importo liquidato di euro 4.150,00 (inclusa la maggiorazione ex art. 4 comma 8 d.m. 55/14), evidentemente ‘ultroneo stante il criterio normativo di cui all’art.5 co.1 D.M. 55/2014’, secondo il quale ‘Nei giudizi per pagamento di somme o RAGIONE_SOCIALE di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata’. Pertanto, la società ricorrente ritiene che l’importo che il Tribunale, tenuto conto dello scaglione corretto, inclusa la maggiorazione di un terzo, avrebbe dovuto liquidare era di euro 2.101,40. E aggiunge che la Corte d’appello che ha rigettato il gravame e l’ha condannata al pagamento di euro 3.777,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 % ed agli
accessori nella misura di legge, si sarebbe discostata dalla giurisprudenza di questa Corte e avrebbe violato l’art.5, comma 1, d.m. 55/2014 ultimo periodo del medesimo comma, secondo cui ‘In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi delle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile’, intendendolo erroneamente derogatorio del criterio della somma attribuita.
Invece, sostiene la ricorrente, la norma consente di superare il criterio del disputatum, cioè l’indicazione iniziale dell’attore sul valore di causa, quando il valore effettivo sia manifestamente diverso da quello indicato, e di non applicare il valore dichiarato, nonostante il rigetto della domanda e del quantum richiesto.
In sintesi, la corte territoriale non solo avrebbe erroneamente rigettato il primo motivo di appello, con cui si chiedeva la riforma della sentenza del Tribunale in punto di RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite, ma avrebbe errato anche nella RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di appello, perché in detto giudizio il valore della causa, atteso lo spontaneo pagamento di euro 1.830,00 rispetto ai 4.270,00 richiesti per la domanda restitutoria, era di euro 2.440,00; di conseguenza, avrebbe dovuto applicare lo scaglione tariffario da euro 1.100,00 ad euro 5.200,00.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché presentano una evidente connessione, meritano accoglimento.
Questa Corte, pronunciandosi a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 31/10/ 2022, n. 32061), ha enunciato il seguente principio di diritto: l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di
un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, 2° comma, cod.proc.civ.
Ora, nel caso di specie è evidente che la RAGIONE_SOCIALE aveva proposto una domanda articolata in due capi e che di essa era stato accolto solo il primo capo, quello avente ad oggetto la domanda restitutoria. Il che significa che vi erano i presupposti della soccombenza reciproca che avrebbero potuto giustificare la compensazione totale o parziale delle spese di lite.
Essendo la compensazione rimessa ad una scelta discrezionale del giudice di merito, la parte non può, tuttavia, lamentare, in sede di legittimità, il fatto che il giudice di merito non abbia compensato le spese di lite, spettando a questa Corte la valutazione del se le spese siano state oppure no poste erroneamente a carico della parte risultata totalmente vittoriosa. Va, infatti, ribadito – dando continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte – che la regola che deve guidare il giudice del merito nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art. 91 cod.proc.civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art. 92, 2° comma, cod.proc.civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova fondamento in un potere di natura discrezionale, il cui esercizio è di norma incensurabile in sede di legittimità – salvo che per illogicità, inesistenza o apparenza della motivazione (Cass. 03/07/2019, n. 17816; Cass. 26/07/2021, n. 21400) – e trova il suo unico limite nell’impossibilità di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 07/07/2023, n. 19324).
Il Tribunale aveva però errato nella determinazione del valore della lite, sulla scorta del quale ha poi proceduto alla condanna alle spese giudiziali.
Va data continuità al principio secondo cui, ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di AVV_NOTAIO nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali – sulla base del criterio del ” disputatum “, ovverosia sulla base di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza (Cass. 23/11/2017, n. 27871; Cass. 12/01/2011, n. 536).
Pertanto, ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della causa è pari, per il primo grado, alla somma domandata con l’atto introduttivo, se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se essa viene accolta, mentre, per l’appello, alla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione, se l’appello volto ad ottenere una somma maggiore è rigettato, ed alla maggiore somma accordata dal giudice rispetto a quella ottenuta in primo grado dall’appellante, se il gravame volto ad ottenere una somma maggiore è accolto (in termini: Cass. 30/11/2022, n. 35195).
Nel giudizio di primo grado, il valore della causa, cui rapportare la RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite, era di euro 4.270,00, pari al valore della domanda accolta, di conseguenza, il Tribunale, determinando il valore della lite, tenendo conto della somma complessivamente richiesta, benché rigettata, era incorso in errore e la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere il relativo motivo di gravame.
Il giudice a quo ha errato anche nella RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di appello, perché nel giudizio di appello il valore della causa, atteso lo spontaneo pagamento di euro 1.830,00 rispetto ai
4.270,00 richiesti per la domanda restitutoria, era di euro 2.440,00; di conseguenza, avrebbe dovuto trovare applicazione lo scaglione tariffario da euro 1.100,00 ad euro 5.200,00.
La Corte accoglie i motivi di ricorso, cassa in relazione l’impugnata sentenza e decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, statuisce che la condanna a carico dell’odierna ricorrente alla spese di lite del primo grado di giudizio è pari a euro 1.975,05 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, mentre la condanna alle spese del giudizio di appello a carico dell’odierna ricorrente è di euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Le spese del giudizio di legittimità sono liquidate, secondo il criterio della soccombenza, a favore della odierna ricorrente, come da dispositivo, con distrazione a favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, giacché l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME non risulta essere iscritto all’albo degli avvocati cassazionisti. A tal fine si precisa che il ricorso è comunque ammissibile, atteso che la procura alle liti risulta rilasciata anche a favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (cassazionista). Questa Corte ha da tempo precisato che, in caso di mandato alle liti conferito a più difensori – perfettamente legittimo stante l’assenza di disposizioni che limitano il numero di difensori che ciascuna parte può nominare – ciascuno di essi, in difetto di una espressa ed inequivoca volontà della parte circa il carattere congiunto e non disgiunto del mandato, ha pieni poteri di rappresentanza processuale (Cass. 29/03/2007, n. 7697).
Inoltre, anche se il mandato è conferito congiuntamente a due (o più difensori) ed uno di essi non sia iscritto all’albo speciale, la sola sottoscrizione dell’AVV_NOTAIO cassazionista è idonea a rendere egualmente ammissibile il ricorso, sia alla luce del principio di
conservazione dell’atto per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 156, ultimo comma, cod.proc.civ., sia inquadrando l’attività del difensore nel paradigma del mandato con rappresentanza, con applicazione del disposto del secondo comma dell’art. 1711 cod.civ. (Cass. 19/03/2024, n.7257).
P.Q.M.
La Corte accoglie entrambi i motivi di ricorso. Cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, dispone che : i) la condanna a carico dell’odierna ricorrente alla spese di lite del primo grado di giudizio è pari a euro 1.975,05 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; ii) la condanna alle spese del giudizio di appello a carico dell’odierna ricorrente è di euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Condanna la resistente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, da distrarre a favore dell’AVV_NOTAIO.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 24/06/2024 dalla Terza