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Soccombenza reciproca: chi paga le spese legali?

Un proprietario di immobile ha richiesto la rimozione del muro di un vicino (domanda principale) e, in subordine, l’ampliamento di una servitù (domanda subordinata). I giudici hanno respinto la prima richiesta ma accolto la seconda. A causa di questa soccombenza reciproca, la Corte di Cassazione ha confermato che l’attore, nonostante una vittoria parziale, è stato correttamente condannato a pagare la maggior parte delle spese legali, poiché le due domande erano autonome e non collegate.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Soccombenza Reciproca: Vincere la Causa ma Pagare le Spese è Possibile?

Nell’immaginario comune, chi vince una causa ha diritto al rimborso delle spese legali. Tuttavia, il diritto processuale civile contempla scenari più complessi, come quello della soccombenza reciproca, dove i confini tra vittoria e sconfitta si fanno più sfumati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione illumina questo principio, dimostrando come una vittoria parziale possa tradursi in una condanna al pagamento della maggior parte dei costi del giudizio. Analizziamo un caso emblematico di lite tra vicini per una servitù di passo.

I Fatti: Una Servitù di Passo Contesa

La vicenda ha origine da una disputa tra due proprietari confinanti. La parte attrice, titolare di un diritto di usufrutto su un immobile, lamentava che la vicina avesse costruito un muretto con una recinzione che, pur non invadendo l’area della servitù di passo esistente, ne rendeva di fatto difficoltoso l’utilizzo con l’automobile. Di conseguenza, l’attore ha agito in giudizio formulando due richieste:
1. In via principale: la condanna della vicina a rimuovere il muretto e a risarcire i danni.
2. In via subordinata: l’ampliamento della servitù esistente per consentire un passaggio più agevole, come previsto dal Codice Civile.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado ha rigettato entrambe le domande. In seguito all’appello, la Corte territoriale ha ribaltato parzialmente la decisione. I giudici d’appello hanno respinto la domanda principale, ritenendo che la vicina avesse legittimamente recintato la sua proprietà senza violare la servitù esistente. Tuttavia, hanno accolto la domanda subordinata, riconoscendo la necessità di un ampliamento della servitù di 22 centimetri.
La parte più interessante della sentenza riguarda le spese legali. Nonostante l’accoglimento della domanda subordinata, la Corte d’Appello ha dichiarato una soccombenza reciproca e ha condannato l’appellante (l’attore originario) a pagare i 4/5 delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.

La Decisione della Cassazione sulla Soccombenza Reciproca

Insoddisfatto di dover sostenere gran parte dei costi pur avendo ottenuto l’ampliamento desiderato, l’attore ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di essere il vincitore sostanziale della causa. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici d’appello. La Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: quando la domanda principale viene respinta e quella subordinata accolta, si verifica una soccombenza reciproca se le due domande sono “autonome”, ovvero basate su presupposti di fatto e di diritto diversi.

Le Motivazioni: Autonomia delle Domande e Potere del Giudice

La Corte ha spiegato che la domanda principale mirava a far valere un presunto illecito nella gestione di una servitù esistente. La domanda subordinata, invece, mirava a costituire un diritto nuovo e più ampio. Si tratta di due richieste distinte e non conseguenziali. Il rigetto della prima significa che la convenuta aveva ragione a resistere a tale pretesa. L’accoglimento della seconda non cancella la sconfitta sulla prima.
In questi casi, il giudice di merito ha un potere discrezionale nel decidere come ripartire le spese. Può compensarle totalmente o, come in questo caso, parzialmente. Tale decisione è sindacabile in Cassazione solo per vizi di motivazione, che qui non sono stati riscontrati. Anzi, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la ripartizione delle spese anche in relazione al fallimento di un tentativo di conciliazione. Infine, la Cassazione ha precisato che, essendo la causa iniziata prima della riforma del 2014, si applicava la versione precedente dell’art. 92 c.p.c., che consentiva una maggiore flessibilità al giudice nel compensare le spese per “giusti motivi”.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre importanti lezioni pratiche. In primo luogo, evidenzia come la formulazione delle domande in un atto giudiziario sia cruciale. Proporre una domanda principale infondata, anche se si vince su una subordinata, espone al rischio di una condanna alle spese. In secondo luogo, conferma che una vittoria “sul campo” non sempre si traduce in una vittoria economica. Il concetto di soccombenza reciproca impone una valutazione strategica attenta prima di iniziare una causa, ponderando non solo le probabilità di successo, ma anche su quali specifiche richieste tale successo si basa.

Se una corte accoglie la mia domanda subordinata ma rigetta quella principale, posso essere considerato sconfitto?
Sì, si può configurare una “soccombenza reciproca”. Se le due domande sono autonome, ovvero basate su presupposti di fatto e di diritto diversi, il rigetto della domanda principale costituisce una sconfitta parziale che può giustificare la condanna, anche parziale, al pagamento delle spese legali.

Come si determina chi paga le spese legali in caso di soccombenza reciproca?
In caso di soccombenza reciproca, il giudice valuta l’esito complessivo della lite e ha il potere discrezionale di ripartire le spese tra le parti o di compensarle interamente. La sua decisione deve essere motivata e tiene conto di quale parte abbia dato causa al processo con pretese infondate.

Le regole più restrittive sulla compensazione delle spese legali (post 2014) si applicano a tutti i processi?
No. La sentenza chiarisce il principio del “ratione temporis”: le nuove norme si applicano solo ai procedimenti iniziati dopo la loro entrata in vigore. Per i giudizi antecedenti, si applica la normativa precedente, che consentiva al giudice una maggiore discrezionalità nel compensare le spese per “giusti motivi”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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