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Soccombenza reciproca: chi paga le spese legali?

Un datore di lavoro, pur vincendo parzialmente in appello, ricorre in Cassazione per la condanna alle spese legali. La Corte rigetta il ricorso, affermando che la soccombenza reciproca va valutata sull’esito complessivo della lite e non sul singolo grado di giudizio. La discrezionalità del giudice di merito nella compensazione delle spese è insindacabile se correttamente motivata.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Soccombenza Reciproca: La Guida Completa alla Ripartizione delle Spese Legali

Quando una causa si conclude, una delle domande più frequenti è: ‘Chi paga le spese legali?’. La risposta non è sempre scontata, specialmente in caso di soccombenza reciproca, ovvero quando entrambe le parti hanno ottenuto solo una vittoria parziale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un principio fondamentale: la valutazione deve basarsi sull’esito complessivo dell’intero processo, non su quello dei singoli gradi di giudizio. Analizziamo insieme la vicenda per comprendere meglio le implicazioni pratiche di questa regola.

Il Caso: Dalla Richiesta Iniziale al Ricorso in Cassazione

Una lavoratrice avviava una causa contro il suo datore di lavoro, richiedendo il pagamento di circa 42.000 euro. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendole 32.000 euro.

La decisione in Appello

Il datore di lavoro impugnava la sentenza. La Corte d’Appello riformava parzialmente la decisione di primo grado: pur confermando il diritto della lavoratrice a un risarcimento, ne riduceva l’importo a circa 21.000 euro, escludendo una richiesta di indennità di alloggio. Per quanto riguarda le spese legali del secondo grado, la Corte le compensava per un terzo, condannando il datore di lavoro a pagare i restanti due terzi. Insoddisfatto proprio di questa condanna, il datore di lavoro presentava ricorso in Cassazione.

La Questione sulla Soccombenza Reciproca nelle Spese Legali

Il punto centrale del ricorso era la presunta violazione delle norme sulla ripartizione delle spese processuali (artt. 91 e 92 c.p.c.). Il datore di lavoro sosteneva che la Corte d’Appello non avesse considerato adeguatamente il fatto che egli fosse uscito vittorioso dal giudizio di secondo grado, avendo ottenuto una significativa riduzione della somma dovuta.

L’argomento del ricorrente

Secondo il datore di lavoro, essendo risultato vincitore in appello, non avrebbe dovuto essere condannato al pagamento di alcuna frazione delle spese legali di quel grado. La sua tesi si basava su una valutazione isolata dell’esito della fase di appello, senza considerare il quadro generale della controversia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il motivo manifestamente infondato, rigettando il ricorso. I giudici hanno ribadito un principio consolidato, richiamando anche una pronuncia delle Sezioni Unite: la valutazione della soccombenza non va fatta per singoli gradi di giudizio, ma in relazione all’esito finale e complessivo della lite.

Il Principio dell’Esito Globale del Processo

La Cassazione ha chiarito che, sebbene il datore di lavoro avesse vinto in appello, era pur sempre la parte originariamente soccombente in primo grado, essendo stato condannato a pagare una somma di denaro. La valutazione complessiva dell’intera vicenda giudiziaria spettava al giudice di merito, il cui potere discrezionale nella ripartizione e compensazione delle spese è insindacabile in sede di legittimità, purché motivato. Nel caso specifico, il giudice d’appello ha correttamente esercitato tale potere, considerando che entrambe le parti erano uscite parzialmente sconfitte.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza un concetto cruciale per chiunque affronti un contenzioso: la vittoria in una fase del processo non garantisce automaticamente l’esenzione dal pagamento delle spese legali. I giudici sono tenuti a guardare l’intero percorso della causa, dalla domanda iniziale alla decisione finale, per determinare chi, in definitiva, ha ‘perso’ di più. La decisione di compensare le spese, anche parzialmente, rientra nel potere discrezionale del giudice quando le domande di entrambe le parti vengono accolte solo in parte. La parte che intraprende un ricorso palesemente infondato, inoltre, rischia non solo il rigetto, ma anche una condanna aggiuntiva al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso.

Come si calcolano le spese legali in caso di soccombenza reciproca?
Le spese legali vengono calcolate sulla base dell’esito globale dell’intero processo, non sul risultato di ogni singolo grado di giudizio. Il giudice valuta quale parte ha subito la sconfitta maggiore nel complesso e può decidere di compensare le spese, parzialmente o totalmente.

La vittoria in un grado di giudizio garantisce di non dover pagare le spese legali?
No. Come chiarito dalla Cassazione, anche se una parte risulta vittoriosa in appello, può essere comunque condannata a pagare una parte delle spese se, nell’esito complessivo della lite, risulta comunque la parte prevalentemente soccombente (ad esempio, perché in primo grado era stata condannata).

Il giudice ha piena discrezionalità nel decidere la compensazione delle spese?
Sì, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote di spesa da ripartire o compensare rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Questa decisione non è contestabile davanti alla Corte di Cassazione, a meno che non sia del tutto immotivata o illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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