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Soccombenza parziale e spese legali: la Cassazione

In un contenzioso per vizi in un appalto edilizio, la Corte di Cassazione chiarisce i criteri di calcolo del credito dell’appaltatore e di ripartizione delle spese legali. Anche se l’appello dei committenti viene parzialmente accolto per un errore di calcolo del giudice precedente, la loro soccombenza parziale complessiva nel giudizio giustifica la condanna a pagare una parte delle spese legali della controparte. La Corte sottolinea che la valutazione della soccombenza va fatta considerando l’esito globale della lite, non solo del singolo grado di giudizio.

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Soccombenza Parziale: Come Vengono Ripartite le Spese Legali in Appalto?

L’esito di una causa non è sempre una vittoria netta o una sconfitta totale. Spesso, le sentenze accolgono solo in parte le richieste delle parti, configurando una situazione di soccombenza parziale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina la gestione delle spese legali in questi casi complessi, specialmente nei contenziosi legati a contratti d’appalto edilizio. La vicenda analizzata offre spunti cruciali su come i giudici valutano l’esito complessivo della lite per decidere a chi addebitare i costi del processo.

I Fatti di Causa: Un Appalto Edilizio Conteso

La controversia nasce da un contratto per la realizzazione di un nuovo edificio. I committenti, insoddisfatti del risultato, citano in giudizio l’impresa costruttrice e il direttore dei lavori, lamentando numerosi vizi e difformità (rampa dei garage non a norma, problemi alla copertura, etc.) e ritardi nell’esecuzione. Chiedono quindi un risarcimento per il deprezzamento dell’immobile e il pagamento di una penale contrattuale.

Sia l’impresa (poi fallita) che il professionista si difendono e, a loro volta, presentano domande riconvenzionali per ottenere il saldo dei loro compensi. Il Tribunale di primo grado riconosce una responsabilità concorrente, condannando il direttore dei lavori a risarcire parte dei danni e i committenti a versare una somma residua al fallimento dell’impresa, operando una complessa compensazione tra i rispettivi crediti e debiti.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Errore di Calcolo

Tutte le parti impugnano la sentenza. La Corte d’Appello, riesaminando i conteggi, dà parzialmente ragione ai committenti, individuando un errore di duplicazione di una posta di credito a favore dell’impresa nel calcolo del giudice di primo grado. Tuttavia, la stessa Corte rileva che i committenti, nei loro calcoli, avevano omesso di considerare una somma trattenuta a garanzia che andava invece restituita all’impresa. Ricalcolando il tutto, la Corte d’Appello ridetermina la somma dovuta dai committenti al fallimento, riducendola ma non azzerandola.

Il Ricorso in Cassazione e il Principio della Soccombenza Parziale

I committenti si rivolgono alla Cassazione lamentando due aspetti principali:

1. Un presunto errore di calcolo: Sostengono che la Corte d’Appello abbia a sua volta commesso un errore, aggiungendo nuovamente la somma della ritenuta a garanzia che, a loro dire, era già inclusa nei loro conteggi (che la Corte aveva definito ‘corretti’).
2. Un’ingiusta ripartizione delle spese legali: Ritengono ingiusto essere condannati a pagare due terzi delle spese legali al fallimento, dato che il loro appello era stato accolto (seppur parzialmente) e quello del fallimento era stato respinto.

La Suprema Corte rigetta entrambi i motivi.

Le Motivazioni

Sul primo punto, la Cassazione chiarisce che vi è stato un fraintendimento da parte dei ricorrenti. La Corte d’Appello non aveva mai definito i loro calcoli ‘interamente corretti’, ma li aveva ritenuti giusti solo nella parte in cui denunciavano la duplicazione di una voce. Aveva però esplicitamente evidenziato un’eccezione: la mancata contabilizzazione della ritenuta di garanzia. Non vi era quindi alcun errore di calcolo da parte del giudice d’appello.

Sul secondo e più rilevante punto, la Corte ribadisce un principio fondamentale in materia di spese processuali. La valutazione della soccombenza parziale non deve basarsi sull’esito del singolo grado di giudizio, ma sull’esito complessivo dell’intera lite. I committenti, pur avendo ottenuto una parziale vittoria in appello, erano risultati comunque debitori nei confronti del fallimento e quindi ‘soccombenti’ nel giudizio di primo grado. L’accoglimento parziale del loro appello ha solo ridotto l’entità della loro sconfitta, ma non l’ha trasformata in una vittoria. Di conseguenza, è legittimo che il giudice d’appello, tenendo conto di questo risultato complessivo, ponga a loro carico una parte delle spese legali, secondo il principio di causalità.

Conclusioni

Questa ordinanza ci insegna che, nei contenziosi giudiziari complessi con domande incrociate, ottenere una parziale riforma della sentenza in appello non garantisce di essere esonerati dal pagamento delle spese legali. La decisione finale sulle spese dipende da una valutazione globale che tiene conto di chi ha dato causa al processo e di quale sia stato il risultato finale di tutte le domande proposte. Un parziale successo in una fase del giudizio non cancella una soccombenza sostanziale sull’esito complessivo della controversia.

Se il mio appello viene accolto solo in parte, devo comunque pagare le spese legali alla controparte?
Sì, è possibile. La Corte di Cassazione ha chiarito che la ripartizione delle spese legali si basa sull’esito complessivo dell’intera causa. Se, nonostante una parziale vittoria in appello, risulti comunque complessivamente soccombente (ad esempio, perché sei stato condannato a pagare una somma, seppur ridotta), il giudice può legittimamente condannarti a rimborsare una parte delle spese legali della controparte.

Cosa significa ‘valutare l’esito complessivo della lite’ per le spese legali?
Significa che il giudice non guarda solo a chi ha vinto o perso l’ultimo grado di giudizio, ma considera l’intera storia del processo. Valuta quali domande iniziali sono state accolte o respinte e in che misura, determinando chi, alla fine di tutto il percorso giudiziario, ha visto le proprie ragioni prevalere in misura maggiore.

Un errore di calcolo commesso dalla Corte d’Appello può essere motivo di ricorso in Cassazione?
Sì, ma solo se l’errore è dimostrabile e decisivo. Nel caso esaminato, i ricorrenti hanno lamentato un errore di calcolo, ma la Cassazione ha respinto il motivo perché basato su un’errata interpretazione di ciò che la Corte d’Appello aveva effettivamente deciso, dimostrando che non c’era stato alcun errore nel ragionamento del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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