Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3329 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3329  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34469/2019 R.G. proposto da: COGNOME  NOME,  COGNOME  NOMENOME  COGNOME  NOMENOME  COGNOME NOME, COGNOME NOME, domicilio digitale presso la pec dell’avvocato NOME COGNOME ( EMAIL ) che li rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ZAMENGO NOME
-intimato –
avverso  la  sentenza  della CORTE  D’APPELLO di  VENEZIA  n. 1602/2019 depositata il 13/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, dopo avere promosso avanti il Tribunale di Venezia procedimento ex artt. 696/696 bis c.p.c. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dell’arch. NOME COGNOME, rispettivamente quale RAGIONE_SOCIALE esecutrice e progettista/direttore dei lavori di realizzazione di una nuova costruzione in luogo di quella esistente in MiranoINDIRIZZO INDIRIZZO, citavano avanti il medesimo ufficio giudiziario le parti già resistenti nel procedimento per accertamento tecnico preventivo al fine di vedere accertati i vizi lamentati (relativi alla non conformità della rampa di accesso ai garages rispetto alle regole dell’arte, alla copertura dell’edificio ed al manto in coppi, al solaio predalles del piano interrato e ad ulteriori vizi meglio indicati nell’att o introduttivo di quel giudizio) nonché la mancata esecuzione di alcuni lavori oggetto del contratto. Tale accertamento era funzionale alla richiesta, che veniva formulata ai sensi dell’art. 1668 cod. civ., di pagamento di € 80.000,00 a titolo di deprezzam ento nonché alla richiesta del riconoscimento della penale contrattuale dipendente dal ritardo nell’esecuzione delle opere e per il
nonché contro
– controricorrente –
risarcimento dei danni conseguiti alla mancata utilizzazione dell’immobile.
 NOME  COGNOME  si  costituiva  in  giudizio,  negando  la sussistenza dei vizi ed evidenziando in subordine la loro imputabilità all’RAGIONE_SOCIALE esecutrice.
L’altra convenuta RAGIONE_SOCIALE eccepiva l’insussistenza dei  vizi  contestandone  comunque  la  quantificazione.  Eccepiva altresì  l’insussistenza  di  alcuni  obblighi  contrattuali  dedotti  dagli attori,  la  responsabilità  contrattuale  del  progettista  e  la  non debenza delle penali contrattuali chieste dagli attori.
Entrambi i convenuti formulavano domande riconvenzionali. Infatti, l’arch. COGNOME chiedeva la condanna al pagamento di € 7.278,00 oltre accessori di legge a saldo della propria attività di direzione  dei  lavori,  responsabile  della  sicurezza,  contabilità  dei lavori, collaudo statico ed accatastamento, nonché la condanna ad € 10.986,47 oltre accessori per ulteriori attività svolte.
RAGIONE_SOCIALE avanzava, invece, pretese creditorie per € 94.246,49.
Il Tribunale di Venezia riconosceva la responsabilità dell’arch. COGNOME per i vizi inerenti la copertura dell’edificio, per quelli inerenti le griglie di acciaio sulla rampa e per gli ulteriori vizi sulla  copertura.  Veniva,  inoltre,  ritenuta  la  responsabilità  del professionista per la difettosa realizzazione della rampa, ritenendo, tuttavia, il giudice di riconoscere solo in parte il costo di ripristino.
Per  quanto  riguarda  i  rapporti  con  l’RAGIONE_SOCIALE poi  fallita,  il Tribunale di Venezia riteneva di non riconoscere le somme di cui alla fattura n. NUMERO_DOCUMENTO/2008 emessa per la fornitura e la posa di n. 16 micropali per fondazioni, in quanto tale spesa era ricompresa nei
lavori oggetto del preventivo, come pure le ulteriori voci oggetto delle domande riconvenzionali della Procedura, fatta eccezione per la fattura n. 3/2008 relativa a ‘trattenute a garanzia’ nella misura di € 23.534,75 oltre IVA e della somma (€ 27.900,00 + IVA) che era stata riconosciuta in favore dell’RAGIONE_SOCIALE per le opere extra contratto sulla base di un intervenuto accordo transattivo. Inoltre, il giudice di prime cure riteneva dovuta la penale contrattuale reclamata dai committenti per ritardi per il periodo dal 20.3.2006 fino al 22.1.2007 (294 giorni), così quantificando un credito attoreo di € 23.520,00. Operate le compensazioni tra i rispettivi crediti, il Tribunale di Venezia condannava l’arch. COGNOME a pagare in favore degli attori la somma di € 26.327,00 oltre ad accessori e condannava i committenti a corrispondere € 42.713,21 (compresa IVA) al RAGIONE_SOCIALE.
Avverso  la  predetta  sentenza  veniva  proposto  appello, principale o incidentale, da tutte le parti in causa.
La Corte d’Appello accoglieva per quanto di ragione l’appello principale e quello incidentale dell’architetto COGNOME e rigettava l’appello incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE .
La parte della sentenza d’appello che rileva in questa sede è quella relativa ai rapporti tra i committenti e il RAGIONE_SOCIALE.
Secondo la Corte d’Appello dovevano riconoscersi fondate le doglianze dei primi riferite alla parte della sentenza nella quale era stato calcolato il credito dell’appaltatrice .
Il  giudice  di  primo  grado,  dopo  avere  dato  atto  che  alla curatela  spettavano  €  205.792,40  (pari  all’importo  delle  opere contrattuali  di  €  180.084,00  oltre  IVA)  a veva  aggiunto,  senza alcuna spiegazione ‘anzi € 220.391,34’, così indicando la somma
che, secondo quanto sostenuto nella comparsa conclusionale degli attori, rappresentava l’importo dovuto all’RAGIONE_SOCIALE (al quale dovevano sottrarsi i pagamenti effettuati).
La Corte richiamava il calcolo degli importo svolto dai committenti che avevano considerato le seguenti voci (tutte senza IVA): € 187.084,00 per le opere contrattuali; -€ 27.900,00 per le opere extracontrattuali (come da accordo transattivo del 10.4.2006); € 1.176,74 per la restituzione della trattenuta in garanzia per infortuni; € 2.155,00 per l’IVA relativa alle uniche due fatture emesse dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prima dell’instaurazione del giudizio; € 1.040,60 per l’IVA di cui alla fattura n. 1/2008; € 1.035,00 per l’IVA di cui alla fattura n. 2/2008.
La somma dei predetti importi era pari a € 220.391,94 (cui, però,  doveva  aggiungersi l’IVA,  ma  solo  su  alcune  voci) e corrispondeva  alla  cifra  indicata  a  pagina  15  della  sentenza  del Tribunale.
Sulla base di tali premesse era corretta la contestazione dei committenti in ordine alla duplicazione dell’importo di € 27.900,00, sommato dal giudice di prime cure a quello di € 220.391,94 (che già lo comprendeva, con conseguente duplicazione della posta creditoria). Altrettanto fondata era la contestazione inerente l’applicazione dell’IVA su importi che erano già stati fatturati (vale a dire € 27.900,00 oggetto della fattura n. 7/06 per un importo di € 17.550,00 e della fattura n. 2/2008 per un importo di € 10.350,00) ovvero su importi che costituivano essi stessi pagamento di IVA (€ 2.155,00 per l’IVA di cui alle due fatture emesse dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE prima del giudizio, € 1.040,60 per IVA
di  cui  alla  fattura  n.  1/2008  ed  €  1.035,00  per  l’IVA  di  cui  alla fattura n. 2/2008).
Gli  appellanti,  sulla  base  delle  anzidette  correzioni,  avevano quantificato il credito dell’RAGIONE_SOCIALE in € 239.217,41 (comprensivi di IVA) e, dedotti i pagamenti effettuati (pari ad € 273.755,90 rectius 239.217,41),  avevano  ritenuto  che  il  RAGIONE_SOCIALE  avesse  titolo  di pretendere unicamente la somma di € 18.174,62.
Secondo la Corte d’Appello i calcoli degli appellanti erano corretti con la sola eccezione della ritenuta di garanzia pari ad € 23.534,74 oltre IVA per un totale pari ad € 25.888,21, trattenuta della quale gli stessi, nonostante le repliche svolte sul punto nella comparsa conclusionale, non avevano dimostrato di avere tenuto conto in alcun modo. Pertanto, il credito del RAGIONE_SOCIALE, così accogliendosi solo parzialmente sul punto l’appello proposto, risultava essere pari ad € 44.062,83 (compresa IVA) anziché € 52.713,21 (compresa IVA) liquidati nella sentenza di primo grado.
La Corte poi rigettava l’appello  incidentale  del  RAGIONE_SOCIALE ,  e affermava  che il credito di quest’ultimo era definitivamente accertato,  in  riforma della  gravata  decisione,  nella  misura  di  € 44.062,83  oltre  ad  accessori  come  già  liquidati  dal  Tribunale  di Venezia (non essendo stato il relativo capo della sentenza oggetto di  appello),  pari  ad  interessi  legali  dalla  domanda  giudiziale  al saldo.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME  COGNOME, NOME COGNOME,  NOME  COGNOME  e  NOME  COGNOME,  hanno  proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e con  memoria  depositata  in  prossimità  dell’udienza  ha  insist ito nelle sue richieste di inammissibilità o rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Il  primo  motivo  di  ricorso  è  così  rubricato: Error  in procedendo comportante carente motivazione ovvero motivazione solo apparente e conseguente nullità della sentenza.
La Corte d’Appello pur affermando che i calcoli dei ricorrenti erano esatti ha poi ritenuto che gli stessi non avessero tenuto conto in alcun modo della ritenuta di garanzia pari ad € 23.534,74 oltre IVA per un totale pari ad € 25.888,21.
In realtà tale importo era stato computato nei propri calcoli dai ricorrenti ed era compreso nella somma di € 41.694,62 riconosciuta quale  credito  residuo  del  RAGIONE_SOCIALE,  dal  quale  andava  sottratto l’importo  di  €  23.520,00  per  compensazione con  la penale contrattuale,  con  il  conseguente  accertamento  che  l’importo  in definitiva  ancora  dovuto  dai  committenti  al  RAGIONE_SOCIALE  sarebbe stato pari ad € 18.174,62.
La  motivazione  della  sentenza  (elemento  essenziale  della stessa ai sensi dell’art. 132 c.p.c.) – pur formalmente presente non  sarebbe  realmente  tale,  essendo  inidonea  a  garantire  la comprensione dell’iter logico seguito dal giudicante e, per l’effetto, inidonea  a  fondare  la  statuizione  sul  diritto  resa  all’esito  del giudizio.
Tale errore avrebbe evidentemente rilevanza concreta: l’aver presupposto erroneamente che gli appellanti avessero computato nei  propri  conteggi  (che  hanno  accertato  un  credito  residuo  del RAGIONE_SOCIALE pari ad € 18.174,62) –  conteggi  ritenuti  corretti  dalla
Corte -la somma  di  €  25.888,21  quale  ritenuta  di  garanzia, avrebbe  indotto  la  Corte  stessa  ad  aggiungere  tale  somma all’importo di € 18.174,62, con ciò comportando una duplicazione della posta di € 25.888,21.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti partono dal l’erroneo presupposto secondo cui la Corte d’Appello a vrebbe ritenuto corretti i loro conteggi. Di conseguenza, poiché nel loro conteggio era anche calcolata la restituzione della somma data a garanzia dalla controparte pari ad € 23.534,74 oltre IVA per un totale pari ad € 25.888,21 il calcolo operato in sentenza sarebbe erroneo. In realtà la Corte d’Appello ha ritenuto corretti i conteggi proposti con l’appello al fine di affermare la duplicazione della somma di € 27.900 sommata erroneamente a quella di € 220 .391,94 che già la comprendeva e infatti si legge in sentenza che i restanti conteggi sono corretti con l’eccezione della ritenuta di garanzia pari ad € 23.534,74 oltre IVA per un totale pari ad € 25.888,21 nonostante le repliche svolte sul punto nella comparsa conclusionale.
Dunque, è lo stesso presupposto da cui muove la ricorrente che risulta infondato non potendosi addebitare alla Corte d’Appello un  errore  di  calcolo  sulla  base  dei  conteggi  che  gli  appellanti avevano effettuato  e  che  la  Corte  d’Appello  avrebbe  ritenuto corretti.
 Il  secondo  motivo  di  ricorso  è  così  rubricato:  Violazione ovvero  falsa  applicazione  degli  artt.  91  e  92  c.p.c.  ed  erronea applicazione del principio di causalità.
La prima parte della censura è subordinata all’accogli mento del  primo  motivo  dovendosi  poi  rivedere  il  giudizio  di  parziale
soccombenza dei committenti con conseguente ingiusta condanna alla  refusione  dei  due  terzi  delle  spese  legali  sostenute  dal RAGIONE_SOCIALE in entrambi i gradi del giudizio.
La seconda parte delle censure ritiene violati gli artt. 91 e 92 c.p.c. per violazione del principio di causalità.
La Corte ha accolto il ricorso principale proposto dai ricorrenti e ha rigettato quello incidentale proposto dal fallimento della ditta appaltatrice sicché non poteva condannarli al pagamento dei due terzi  delle  spese  di  quest’ultima con  compensazione  del  residuo terzo.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La condanna alle spese dei ricorrenti nei confronti del fallimento è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in quanto tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio ha ritenuto una soccombenza parziale dei ricorrenti che sono stati ritenuti soccombenti nel giudizio di primo grado nei confronti del fallimento e che hanno visto accolto solo in parte il loro motivo di appello come evidenzia il primo motivo di ricorso. Di conseguenza nessuna violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. può ricontrasi nella liquidazione delle spese operata dalla Corte d’Appello.
Deve  ribadirsi  in  proposito  che:  In  caso  di  accoglimento parziale del gravame, il giudice di appello può compensare, in tutto o in parte, le spese, ma non anche porle, per il residuo, a carico della  parte  risultata  comunque  vittoriosa,  sebbene  in  misura inferiore a quella stabilita in primo grado, posto che il principio della soccombenza  va  applicato  tenendo  conto  dell’esito  complessivo della lite (Sez. 6-3, Ord. n. 19122 del 2015, Rv. 636950 – 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle  spese  del  giudizio  di  legittimità  nei  confronti  della  parte controricorrente che liquida in euro 5200, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai  sensi  dell’art.  13,  co.  1  quater,  del  d.P.R.  n.  115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione