Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4327 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4327 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17910/2019 R.G. proposto da :
COGNOME difensore di sé stesso e altresì rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma , INDIRIZZO; -ricorrente- contro
COGNOME e NOME;
-intimati- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1479/2019, depositata il 8 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -L’ avv. NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì, NOME COGNOME chiedendone la condanna al pagamento del
compenso per attività professionale per un importo di euro 4.454,59. Chiedeva, inoltre, il pagamento della somma di euro 1.500,00 per la fase ex art. 28 l. n. 794/1942, ovvero quella diversa somma ritenuta di giustizia. L’attore esponeva che NOME COGNOME, nell’estate del 2006, si era a lui rivolto per poi domandare l’intervento dell’ avv. NOME COGNOME al fine di impugnare il licenziamento comminatogli dalla Hera S.p.A. Nell’interesse di NOME COGNOME, dunque, si predisponeva, da parte del ricorrente, un ricorso ex art. 409 cod. proc. civ. nonché ex art. 700 cod. proc. civ. avanti alla sezione lavoro del Tribunale di Forlì. Il ricorso cautelare veniva accolto con ordine di reintegro. In seguito, veniva proposto reclamo ex art. 669 terdecies e la causa procedeva con ulteriori udienze, finché NOME COGNOME revocava il mandato anche all’ avv. COGNOME Nulla NOME COGNOME corrispondeva per le prestazioni professionali, nonostante una lettera di costituzione in mora.
Si costituiva il convenuto NOME COGNOME contestando le pretese e chiedendo di poter chiamare in causa l’avv. NOME COGNOME.
Autorizzata la chiamata in causa, quest’ultimo si costituiva contestando gli assunti del convenuto.
Il Tribunale di Forlì, con la sentenza n. 688/2013, in parziale accoglimento della domanda condannava il convenuto COGNOME al pagamento in favore dell’attore della somma di euro 590,00 oltre interessi nella misura del tasso legale, compensando le spese nelle misura del 25% e ponendo il residuo a carico dell’ avv. COGNOME
-Avverso detta sentenza proponeva appello l’avv. COGNOME Resisteva avverso l’appello NOME COGNOME
S i costituiva anche l’ avv. COGNOME il quale chiedeva la reiezione di ogni domanda proposta nei suoi confronti.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1479/2019 pubblicata in data 8 maggio 2019, ha confermato la condanna del cliente al pagamento in favore dell’avv. COGNOME della somma di euro 590,00, aggiungendovi, in accoglimento del terzo motivi di appello,
accessori, CPA e IVA nonché interessi legali dalla domanda al saldo. L’avv. COGNOME è stato però condannato al pagamento delle spese di lite del grado d’appello in favore di entrambi gli appellati.
-L’avv . COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi illustrati da memoria.
Le parti resistenti non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dell’art. 2729 cod. civ. Dopo avere richiamato i principi di diritto che regolano il ragionamento presuntivo, il ricorrente critica la Corte di merito per avere utilizzato, nell’escludere il compimento di alcune attività professionali, elementi indiziari privi gravità (la mancata sottoscrizione di un atto; l’irrilevanza della mancata contestazione dell’attività dell’ avv. NOME COGNOME parte dell ‘ avv. NOME COGNOME.
In realtà simili elementi difetterebbero del richiamato requisito, posto dalla giurisprudenza per i requisiti che rendono possibile configurare una presunzione, peraltro in presenza: di un’attività stragiudiziale considerata sia dal Tribunale che da parte della Corte d’appello nella liquidazione dei compensi; del fatto che l’ avv. COGNOME come è pacifico in sentenza, non ebbe mai a reclamare per intero i compensi; di una copiosa ricerca giurisprudenziale effettuata dall’ avv. NOME COGNOME
Il motivo è infondato.
L’esistenza di una presunzione sulla quale sia possibile fondare la decisione di una causa può validamente desumersi in presenza di una pluralità di elementi di valutazione gravi precisi e concordanti, nei quali il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascuno di essi è idoneo a produrre a fronte di un fatto ignoto, la cui esistenza deve poter essere dimostrata in termini di ragionevole certezza , il requisito della precisione impone
che i fatti noti e l’iter logico del ragionamento probabilistico ben determinati nella loro realtà storica, e il requisito unificante della concordanza richiede che il fatto ignoto sia di regola desunto da una pluralità di fatti noti gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, mentre la sommatoria di una serie di dati in sé insignificanti e privi di precisione e gravità non può assumere rilevanza alcuna (Cass., Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3646).
Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto non raggiunta la prova del compimento di ulteriori attività da parte del ricorrente, a fronte di un atto che mancava della sua sottoscrizione, gravando sull’attore l’onere della relativa prova (risultando insufficiente al riguardo il profilo della mancata contestazione dell’attività difensiva da parte del terzo chiamato), nella specie non fornita.
Ai sensi dell’art. 6 della legge professionale forense n. 794 del 1942, nel caso in cui più avvocati siano stati incaricati della difesa, è riconosciuto a ciascuno di essi il diritto a un onorario nei confronti del cliente solo in base all’opera effettivamente prestata e agli atti personalmente compiuti (Cass., Sez. II, 12 luglio 2000, n. 9242; Cass., Sez. II, 20 gennaio 1976, n. 168), la quale, pertanto, deve essere opportunamente dimostrata in caso di eventuali contestazioni del cliente (Cass., Sez. II, 9 maggio 1962, n. 921), come nel caso in questione.
La conclusione della Corte d’Appello, frutto di accertamento in fatto, non si discosta dalla giurisprudenza di legittimità e quindi si sottrae alla censura.
-Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza ( ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Si contesta la seguente affermazione a (pag. 4): « non assumendo alcun pregio l’allegata ‘mancata contestazione dell’attività difensiva dell’avv. NOME COGNOME da parte del terzo chiamato avv . COGNOME che certo non esonera l’attore
professionista dal relativo onere della prova ». L’ avv. COGNOME le cui note erano contestate, aveva tutto l’interesse a negare che l’ avv. COGNOME avesse concorso alla formazione dell’atto. Al riguardo, parte ricorrente evidenzia che la motivazione della Corte d’appello è meramente apparente. La Corte avrebbe dovuto precisare, ad esempio, che non trovasse applicazione l’art. 115 cod. proc. civ. (per quali ragioni) o non si potesse (e per quali specifici motivi rimasti anch’essi ignoti) applicare l’art. 116 cod. proc. civ.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente deduce l’esistenza di una motivazione ‘ apparente ‘ che non illustra le ragioni relative alla ‘ mancata contestazione ‘, evidenziando come quest’ultima non costituisca un elemento di prova ma l’ espressione di una motivazione che difetta radicalmente.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, Cass., SSUU n. 2767/2023).
Si tratta, invero, di ipotesi qui certamente non ricorrenti, perché la sentenza è adeguatamente motivata e la censura in questione finisce per prospettare sostanzialmente un vizio di merito attinente alla valutazione degli elementi acquisiti agli atti, gravando comunque sull’attore professionista l’onere della prova della pretesa fatta valere in giudizio.
-Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione di legge ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. Al riguardo, si deduce che sarebbe incontestato il fatto che l’ avv. COGNOME cooperò con l’ avv. COGNOME alla redazione degli atti. Nessuno, infatti, avrebbe contestato in fatto l’attività svolta dall’ avv. COGNOME.
4 – Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dell’art. 2729 cod. civ. avuto riguardo ai vari compensi. Si contesta il malgoverno della norma in tema di presunzioni. Il giudice di prime cure evidenziava: « Analizzando, tuttavia, la bozza di nota spese prodotta in atti dall’avv. NOME COGNOME risulta che tra le attività espletate vi sarebbe la partecipazione a tre udienze. Ne deriva che, per tali attività può essere riconosciuto all’attore un compenso ». La Corte d’appello di Bologna condivide tale ragionamento tanto che la sentenza, non appellata da controparte sul punto, risulta confermata. Pertanto, non sarebbe dato comprendere sulla scorta di quale criterio presuntivo
potrebbe essere possibile sostenere che le voci ivi indicate non erano dovute.
5 – Con il quinto motivo di ricorso si denunzia la nullità della sentenza ( ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 2233 cod. civ. riguardo alla tariffa applicabile ratione temporis . Il ricorrente rileva che la motivazione è apparente, ossia stereotipata ed assente di specificazione, evidenziando come le clausole di stile non valgono più neppure per gli atti notarili e a fortiori per gli atti dell’avvocato o le sentenze del giudice.
6 -Con il sesto motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione (ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dell’art. 2233 cod. proc. civ. in relazione alla tariffa applicabile ratione temporis . La Corte d’appello non avrebbe colto il principio, invocato a pag. 27 dell’atto di appello secondo cui, ove sussista connessione fra le prestazioni giudiziali e quelle stragiudiziali, « compete solo il compenso per l’assistenza giudiziale, eventualmente maggiorato fino al quadruplo (art. 5 commi 2 e 3 della tariffa giudiziale) in relazione alle questioni giuridiche trattate e all’importanza della causa, tenuto conto dei risultati del giudizio, anche non patrimoniali, e dell’urgenza richiesta » (Cass., sez. Un., 24.07.2009 n. 17357). Dunque -osserva il ricorrente – se non si liquidava la fase stragiudiziale, andava maggiorata quella giudiziale. In ogni caso, l’ avv. COGNOME aveva domandato « o quella diversa somma, superiore o inferiore che sarà ritenuta e/o considerata di giustizia » (pag. 40 atto di citazione d’appello). Palese, anche in questo caso, a dire del ricorrente, la violazione di legge posto che per ammissione della Corte d’appello, l’attività stragiudiziale non è stata in alcun modo considerata.
Questi quattro motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
Al di là dei riferimenti contenuti nella rubrica, si tratta di doglianze di merito relative al riconoscimento dell’attività che il
professionista assume di aver effettivamente svolto, per le quali sia il Tribunale sia la Corte d’appello hanno escluso che fosse stata fornita la piena prova dei fatti costitutivi dedotti in giudizio, a fronte di un onere della prova gravante sull’attore (Cass., Sez. II, 12 luglio 2000, n. 9242; Cass., Sez. II, 20 gennaio 1976, n. 168; Cass., Sez. II, 9 maggio 1962, n. 921). In definitiva, si sollecita la rivalutazione di fatti e risultanze istruttorie, attraverso un sindacato estraneo alle funzioni di legittimità. Né sussiste alcuna nullità della motivazione giacché, come si è visto nell’esame del secondo motivo , la pronuncia, sotto tale profilo, risulta rispettosa del ‘minimo costituzionale’ (art. 111, comma 6, Cost.).
7 -Con il settimo motivo di ricorso si denuncia la violazione e/o falsa applicazione ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) dell’art. 91 cod. proc. civ.: la Corte d’appello , senza tener conto dell’accoglimento del terzo motivo di gravame, ha posto a carico del ricorrente le spese sostenute dal COGNOME nel grado di appello, ravvisando erroneamente una sostanziale soccombenza dell’appellante . Ritiene il ricorrente che la soccombenza parziale della controparte avrebbe, al più, giustificato la compensazione delle spese, ma non la condanna peraltro integrale del l’appellante .
8 – Con l’ ottavo motivo di ricorso si eccepisce la violazione e/o falsa applicazione ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione alle spese legali del terzo chiamato avv. COGNOME. Il Tribunale di Forlì aveva respinto la domanda di manleva di NOME COGNOME nei confronti dell ‘avv. COGNOME sulla scorta della seguente motivazione « Poiché, in base alla giurisprudenza sopra richiamata, in capo a ciascun procuratore in caso di mandato disgiunto, sorge un autonomo diritto al compenso, va invece rigettata la domanda di manleva proposta dal convenuto nei confronti dell’ avv. COGNOME. Pertanto, le spese del terzo chiamato avrebbero dovuto seguire la soccombenza virtuale e comunque non avrebbero dovuto essere poste a carico dell’ avv. COGNOME sicché la decisione è abnorme.
9 – Con il nono motivo di ricorso si deduce l ‘ omesso esame ( ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 91 cod. proc. civ. sulle spese legali del terzo chiamato avv. COGNOME La questione delle spese e dei costi del l’ avv . COGNOME era stata discussa nell’atto di appello. La decisione della Corte d’appello ha omesso di approfondire e di esaminare la questione anche perché non vi era necessità di chiamare in causa l’ avv. COGNOME e la domanda di manleva era totalmente aberrante.
10 -Con il decimo motivo di ricorso si denunzia la violazione e/o falsa applicazione ( ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) degli artt. 112 e 324 cod. proc. civ. perchè il cliente COGNOME non aveva censurato la sentenza di prime cure che non poneva le spese dell’ avv. NOME COGNOME a carico dell’ avv. NOME COGNOME e quindi si era formato un giudicato interno: la compensazione delle spese di prime cure quanto al rapporto avv. NOME COGNOME / NOME COGNOME era stata disposta (pag. 11 sentenza prime cure) in ragione della «reciproca soccombenza», il che escludeva che l’ avv. NOME COGNOME fosse tenuto a pagarle.
Questi quattro motivi, da trattarsi congiuntamente per il comune riferimento alla pronuncia sulle spese di lite, sono -a differenza dei precedenti – tutti fondati.
La giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite, ha chiarito che in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.
(Cass., Sez. II, 17 maggio 2024, n. 13827; Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2022, n. 32061)
La Corte d’Appello si è discostata da tale principio, posto che la domanda dell’avvocato COGNOME era stata comunque accolta, seppure in misura ridotta rispetto alla pretesa iniziale e quindi il professionista non poteva certamente essere ritenuto soccombente e condannato alle spese.
Si impone pertanto la cassazione della sentenza sulla regolamentazione delle spese di lite e il giudice di rinvio (che si individua nella medesima Corte di merito, ma in diversa composizione) si atterrà al citato principio e provvederà anche sulle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo, l’ ottavo, il nono e il decimo motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione