Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14571 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14571 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
Oggetto: Compensi al difensore.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 09315/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il dominio telematico del difensore.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME E COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2786/2022 del 20/12/2022, pubblicata il 22/12/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/1/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., l’avv. NOME COGNOME propose giudizio, davanti al Tribunale di Rovigo, nei
confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, onde ottenerne la condanna al pagamento dei compensi professionali relativi all’attività legale prestata in loro favore per resistere all’appello n.r.g. 458/2009 spiegato dalla Cassa di Risparmio del Veneto dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia avverso la sentenza n. 2703/2016 del Tribunale di Rovigo, che aveva visto entrambi i resistenti vittoriosi, per l’importo di € 11.582,00, comprensivo del rimborso spese generali, contributo previdenziale ed iva, o per la diversa somma ritenuta di giustizia.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME e COGNOME eccepirono di avere concordato con il legale un compenso di € 5.508,00, come da preventivo del 27/03/2009, di avere concordemente ridotto l’importo in € 4.500,00 nel caso di sua corresponsione in contanti e di avere provveduto al suo integrale pagamento il 24/04/2009 presso il suo studio, come comprovato dalle ricevute dei prelievi bancari effettuati per quell’importo e da una registrazione audio intervenuta in occasione di un incontro del 14/10/2017; eccepirono la scorrettezza del legale, al quale avevano corrisposto la somma di € 4.397,74 all’esito del giudizio di primo grado, oltre all’importo in contanti di € 700,00, pur avendo egli già introitato quanto corrisposto dalla banca soccombente, chiesero il rigetto delle domande e si dissero disponibili a versare la differenza tra la somma inizialmente concordata di € 5.508,00 e quella di € 4.500,00 versata in contanti.
Il Tribunale di Rovigo, con ordinanza ex art. 186bis cod. proc. civ., condannò i resistenti al pagamento dell’importo di € 1.336,48 dovuto per imposte sull’importo di € 4.500,00, in quanto non contestato, e, con ordinanza ex art. 186ter cod. proc. civ. 5/2/2020, accertò e dichiarò congruo il compenso nella misura già versata dalle parti di € 5.836,48.
Con atto di citazione notificato il 13/03/2020, NOME COGNOME impugnò questa pronuncia, lamentando l’avvenuto utilizzo, da parte del giudice di primo grado, del file audio-video prodotto in giudizio dai resistenti e ne chiese la declaratoria di inutilizzabilità, con riforma della pronuncia impugnata e condanna dalle controparti al pagamento di € 10.251,47, pari alla differenza tra la somma di € 11.587,95 originariamente richiesta e la somma di € 1.336,48 versata in corso di causa, ovvero la minor somma di € 5.751,47, pari a € 7.087,85, detratto l’importo già versato.
La Corte d’Appello di Venezia, nella resistenza di COGNOME NOME e COGNOME, emise la sentenza n. 2786/2022, pubblicata il 22/12/2022, con la quale rigettò l’appello, ritenendo corretta, per quanto qui interessa, la statuizione del giudice di primo grado, nella parte in cui aveva posto a carico dell’appellante sia le spese del giudizio, essendosi lo stesso concluso col riconoscimento, in suo favore, dei soli accessori sul compenso di € 4.500,00, sia le spese della c.t.u. (svolta sui contenuti del documento audio-video), avendo questa consentito di accertare l’effettivo tenore degli accordi intercorsi tra le parti, e condannando l’appellante alle spese del grado.
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME si sono difesi con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito respinto il quarto motivo di gravame col quale era stata contestata la decisione del Tribunale, nella parte in cui aveva posto interamente a suo carico le spese del giudizio, nonostante la sua domanda fosse stata parzialmente accolta.
Col terzo motivo, da trattare prioritariamente e unitamente al primo, perché afferente anch’esso alla liquidazione delle spese di lite, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 116 cod. proc. civ. circa la statuizione di condanna alle spese di lite del secondo grado, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che il giudizio si era concluso con il riconoscimento, in favore del legale, dei soli accessori dovuti sull’importo di € 4.500,00, già corrisposto in contanti dai RAGIONE_SOCIALE, sicché la liquidazione delle spese di lite poste a carico del ricorrente nella limitata misura di € 1.900,00 era congrua e adeguata al valore della controversia e corretta la statuizione del giudice di primo grado, senza considerare che la qualificazione come accessori piuttosto che come onorari era sfornita di qualsiasi supporto, sia perché non esisteva alcuna imputazione formale che qualificasse il previo pagamento di € 4.500,00 quali meri onorari, sia perché in base al combinato disposto degli artt. 1193, secondo comma, ultima parte, e 1194, secondo comma, cod. civ. gli accessori andavano saldati per primi, sia perché lo stesso Tribunale di Rovigo aveva escluso ogni patto posteriore al preventivo teso a delimitare a quel versamento le spettanze al legale, sia perché i resistenti erano stati condannati anche alla corresponsione degli interessi sulle somme ancora dovute.
Il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum della condanna alle spese di lite, sono infondati.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass., Sez. 1, 14/4/2023, n. 10043; Cass., Sez. 6-3, 26/4/2019, n. 11329; Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502;
Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613), posto che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613), per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 1, 14/4/2023, n. 10043; Cass., Sez. 6-3, 26/4/2019, n. 11329; Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613), e la loro stessa quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Come recentemente chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 31/10/2022, n. 32061; vedi anche Cass., Sez. 2, 17/5/2024, n. 13827).
1.3 Nella specie occorre, dunque, verificare se l’accertata debenza di una somma superiore rispetto a quella già corrisposta in virtù dell’accordo intercorso tra il legale e i propri clienti, ancorché l’esubero abbia trovato titolo nella quantificazione degli oneri accessori, abbia fatto sì che il primo potesse considerarsi vittorioso ai sensi del principio testé enunciato.
Ebbene, ritiene il collegio che la risposta non possa che essere negativa, rilevando, ai fini della valutazione della soccombenza, il solo importo liquidato a titolo di compenso, ma non anche la maggior somma calcolata su di esso e dovuta a titolo di oneri accessori (Iva, c.p.a. e spese forfetarie), esulando questi dal principio della domanda, siccome dovuti per legge.
Infatti, il rimborso c.d. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge e compete automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, che deve ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali incombente sulla parte soccombente (Cass., Sez. 1, 30/5/2008, n. 13693; Cass., Sez. 3, 22/2/2010, n. 4209).
Quanto poi all’Iva e al rimborso del contributo integrativo da versare alla Cassa degli Avvocati, occorre chiarire come, in base agli artt. 17 e 18 d.P.R. n. 633 del 1972, qualsiasi professionista che abbia prestato la propria opera al cliente debba corrispondere all’erario il tributo sull’onorario spettantegli e sia obbligato a rivalersene nei confronti del medesimo cliente, sicché quest’ultimo, nell’avvalersi, per la tutela delle proprie ragioni, di un difensore tecnico, instaura un rapporto di prestazione d’opera professionale in base al quale è tenuto non solo a corrispondergli gli onorari, ma anche a rivalerlo dell’IVA fatturata nella parcella e versata all’erario (cfr. Cass. 29/5/1990, n. 5027), e come, allo stesso modo, all’avvocato che renda prestazioni professionali in favore dei propri clienti, sia dovuto il rimborso del contributo integrativo da versare alla Cassa degli Avvocati, ai sensi dell’art. 11 della legge 20 settembre 1980 n. 576, sicché l’imposta sul valore aggiunto e il contributo previdenziale costituiscono oneri accessori dovuti per
legge dal cliente al professionista, nella misura determinabile protempore (Cass., Sez. 2, 15/7/2015, n. 22074, non massimata).
E’ allora evidente come il ricorrente, che, peraltro, non ha impugnato la parte della sentenza che imputava a compenso la somma di euro 4.500,00 già corrisposta dagli appellati, limitandosi ad affermare al riguardo che di ciò non vi era prova, sia rimasto totalmente soccombente, non essendogli stata riconosciuta la maggior somma richiesta sempre a titolo di compensi nella misura di euro 11.582,00 e restando invece irrilevanti, ai fini voluti, la quantificazione delle spese accessorie.
Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello ha respinto la censura riguardante la condanna del ricorrente alle spese di lite, valorizzando per l’appunto il fatto che il ricorrente, a fronte di una richiesta di condanna al pagamento di euro 11.582,00, aveva ottenuto, invece, il riconoscimento dei soli accessori dovuti sull’importo già corrisposto di euro 4.500,00.
4. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito posto a suo carico le spese della c.t.u., nonostante l’accoglimento parziale della sua domanda. Ad avviso del ricorrente, i giudici, nell’affermare che il mezzo istruttorio non aveva avuto alcun effetto positivo sulle tesi sostenute dalla parte e aveva anzi consentito di appurare l’ammontare dei compensi concordati dalle parti, non soltanto non avevano specificato chi fosse la parte che aveva subito gli effetti negativi della prova, ma non avevano neppure considerato che l’efficacia del mezzo istruttorio espletato non potesse costituire criterio di imputazione, che l’espletamento della c.t.u. fosse attribuibile alla controparte e che la sussistenza di un patto aggiunto derogatorio al ribasso, rispetto al preventivo, non fosse stato dimostrato dalla captazione ambientale.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
In disparte il fatto che, con la reiezione del primo motivo e l’acclarata soccombenza del ricorrente, viene meno lo stesso fondamento della sua doglianza, occorre altresì osservare che, secondo il più recente orientamento di questa Corte, la consulenza tecnica d’ufficio è un atto compiuto nell’interesse generale di giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio, sicché le relative spese rientrano tra i costi processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c. e possono, perciò, essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa, senza violare in tal modo il divieto di condanna di quest’ultima alle spese di lite, atteso che la compensazione non implica una condanna, ma solo l’esclusione del rimborso (Cass., Sez. 1, 10/6/2020, n. 11068; Cass., Sez. 6-L, 21/10/2019, n. 26849; Cass., Sez . 6 – 2, 07/09/2016, n. 17739; Cass., Sez. 3, 17/01/2013, n. 1023), e che il principio della soccombenza “opera solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliare” (Cass., Sez. 2, 10/10/2018 n. 25047; Rv. 650671 – 01; Cass., Sez. 6 – 3, 05/11/2014, n. 23522, Rv. 633222-01; Cass., Sez. 2, 15/09/2008, n. 23586 Rv. 605201 – 01; Cass., Sez. 1, 08/07/1996, n. 6199 Rv. 498416 – 01).
Proprio in quanto lo svolgimento degli accertamenti tecnici da parte del c.t.u. risponde ad un interesse generale, non rileva affatto, ai fini della ripartizione tra le parti di tale voce di spesa, quale tra esse ne avesse sollecitato la nomina, ben potendo il giudice utilizzare all’uopo il criterio della soccombenza, come accaduto nella specie.
Ciò comporta che la censura, ancorché presentata in termini di violazione di legge, laddove i giudici hanno motivato la decisione di confermare il provvedimento di primo grado – che aveva posto a
carico del ricorrente le spese della c.t.u. – in quanto non aveva avuto effetti positivi sulla tesi di quest’ultimo, ma aveva consentito di accertare l’ammontare dei compensi come concordati tra le parti, solleciti in realtà una rivisitazione nel merito della decisione, la quale è preclusa a questa Corte.
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo e del terzo motivo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda