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Soccombenza e spese legali: la Cassazione decide

Una società committente cita in giudizio la fornitrice di calcestruzzo e la ditta appaltatrice per una pavimentazione difettosa. La Corte d’Appello esclude la responsabilità della fornitrice. In Cassazione, la questione centrale diventa la ripartizione delle spese legali. La Suprema Corte, pur confermando l’assenza di responsabilità della fornitrice, cassa la sentenza d’appello nella parte in cui viola il principio di soccombenza, ponendo ingiustamente le spese a carico della parte vittoriosa senza adeguata motivazione.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Soccombenza e Spese Legali: La Cassazione Annulla la Ripartizione Ingiusta

L’esito di una causa non si misura solo nella vittoria o nella sconfitta sul merito della questione, ma anche nella corretta applicazione delle norme che regolano la ripartizione delle spese processuali. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del nostro ordinamento: il principio di soccombenza. La vicenda, nata da un contenzioso per difetti in una pavimentazione industriale, si è trasformata in un’importante lezione sulla gestione delle spese legali, dimostrando come anche una vittoria parziale possa essere vanificata da un’errata liquidazione dei costi. Analizziamo insieme questa ordinanza per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Contendere: Dalla Pavimentazione Difettosa al Contenzioso

Una società committente, dopo aver riscontrato gravi difetti nel distacco di una pavimentazione industriale destinata al transito di automezzi, decideva di agire legalmente. La causa veniva intentata contro due soggetti: la società fornitrice del calcestruzzo e la ditta che si era occupata della posa in opera. Secondo la committente, i danni erano attribuibili sia a difetti qualitativi del materiale fornito sia all’imperizia nell’utilizzo dello stesso.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, condannando in solido la fornitrice e i soci della ditta appaltatrice (nel frattempo cancellata dal registro delle imprese) al risarcimento del danno.

L’Iter Giudiziario e la Sentenza d’Appello

La fornitrice di calcestruzzo impugnava la sentenza di primo grado. La Corte d’Appello, riformando la decisione precedente, accoglieva l’appello ed escludeva completamente la responsabilità della fornitrice. Tuttavia, nel regolare le spese legali tra la società committente e uno dei soci della ditta appaltatrice (rimasto unico resistente nel rapporto con la committente), la Corte stabiliva una ripartizione per metà delle spese di consulenza tecnica e una compensazione delle spese del grado d’appello. Questa decisione sulle spese diventava il fulcro del successivo ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Cassazione e il Ruolo del Principio di Soccombenza

La società committente presentava ricorso in Cassazione basato su cinque motivi. I primi quattro, incentrati su presunte violazioni di norme processuali e sull’errata valutazione di una consulenza tecnica, venivano dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte. Gli Ermellini ribadivano, ancora una volta, che il giudizio di legittimità non rappresenta una terza istanza di merito e non può riesaminare i fatti già accertati dai giudici dei gradi precedenti.

Il Quinto Motivo: Il Nodo Cruciale sulla Soccombenza

Il quinto motivo di ricorso si rivelava invece decisivo. La ricorrente lamentava l’ingiustizia nella ripartizione delle spese, sostenendo che, essendo risultata completamente vittoriosa nei confronti del socio della ditta appaltatrice, non avrebbe dovuto sostenere alcuna spesa. La Corte d’Appello, infatti, aveva posto a suo carico metà dei costi della consulenza preventiva e aveva compensato le spese del giudizio di secondo grado, nonostante la sua posizione di parte vincitrice in quel specifico rapporto processuale.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo. I giudici hanno chiarito che, secondo l’art. 91 del Codice di Procedura Civile, le spese processuali seguono la soccombenza. Ciò significa che la parte che perde la causa deve rimborsare le spese sostenute dalla parte vincitrice. Derogare a questo principio, ad esempio compensando le spese tra le parti, è possibile solo in casi specifici (come la soccombenza reciproca o la presenza di gravi ed eccezionali ragioni) e richiede una motivazione esplicita da parte del giudice.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva disposto la ripartizione e la compensazione delle spese a carico della parte committente, che era integralmente vittoriosa rispetto al socio della ditta appaltatrice, senza fornire alcuna giustificazione per tale deroga. Questa decisione è stata considerata illegittima dalla Cassazione, in quanto poneva i costi del processo a carico di chi aveva visto pienamente riconosciute le proprie ragioni in quel rapporto.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulle spese tra la società committente e il socio della ditta appaltatrice. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà provvedere a una nuova liquidazione delle spese, questa volta nel pieno rispetto del principio di soccombenza. Questa ordinanza serve da monito: la gestione delle spese legali è una parte fondamentale del processo e la loro ripartizione deve sempre seguire criteri di legge rigorosi, garantendo che la parte vittoriosa non sia ingiustamente penalizzata.

Può il giudice addebitare le spese legali alla parte vittoriosa in un processo?
No, di norma non può. Il principio generale è quello della soccombenza (art. 91 c.p.c.), secondo cui è la parte sconfitta a dover pagare le spese. Il giudice può derogare a questo principio e compensare le spese (totalmente o parzialmente) o ripartirle diversamente solo in casi eccezionali e deve fornire una motivazione esplicita per la sua decisione. Porre le spese a carico della parte vittoriosa senza alcuna giustificazione è illegittimo.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nell’esaminare i fatti di una causa?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti della causa o di valutare nuovamente le prove (come una consulenza tecnica), ma di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente le norme di diritto e le regole processuali. Un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti viene considerato inammissibile.

Cosa succede se, in una causa con più parti, una di queste muore e il processo non viene riassunto nei confronti dei suoi eredi?
Il processo si estingue solo per quanto riguarda la parte deceduta e i suoi eredi. Prosegue invece regolarmente per le altre parti coinvolte. Come specificato dalla Corte, in un caso di litisconsorzio facoltativo (come quello tra debitori solidali), la mancata riassunzione nei confronti degli eredi non impedisce al processo di continuare tra le altre parti regolarmente citate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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