Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13788 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13788 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18403-2020 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’avvocato AVV_NOTAIO LA VENUTA, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, n. il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, COGNOME NOME n. il DATA_NASCITA, in proprio e quale procuratrice speciale di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO COGNOME, giusta procura in calce
al l’atto di costituzione in sostituzione del precedente difensore controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2775/2019 del la CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/05/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
Lette le memorie delle ricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. COGNOME NOME quale procuratrice speciale di COGNOME NOME NOME NOME, COGNOME NOME, NOME ed NOME, quali eredi di COGNOME NOME, proponevano opposizione avverso la richiesta di riconoscimento della usucapione ex art. 1159 bis c.c. avanzata da COGNOME NOME e COGNOME NOME, dichiarando per l’effetto nullo o inefficace l’atto di donazione del 13 marzo 1994 con il quale l’altra convenuta COGNOME NOME aveva donato alle COGNOME il bene oggetto della richiesta di usucapione, disponendo per l’effetto la divisione dei beni comuni.
Il Tribunale di Marsala con la sentenza n. 7 del 20 gennaio 2006, rigettava la richiesta di riconosc imento dell’usucapione, statuiva che oggetto della comunione era il terreno in Salaparuta alla INDIRIZZO, meglio riportato in sentenza, e procedeva alla divisione in natura dello stesso, secondo il progetto contestualmente approvato.
L’appello pro posto dalle attrici avverso tale sentenza era però dichiarato inammissibi le dalla Corte d’Appello di Palermo con sentenza del 19 aprile 2011, in quanto ritenuto tardivo.
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 7232/2013 ha cassato la sentenz a d’appello disponendo la riassunzione dinanzi allo stesso Ufficio giudiziario.
Riassunta la ca usa, la Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 2275 del 20/11/2019, oggetto poi di correzione di errore materiale quanto al calcolo delle spese di lite con ordinanza del 27 febbraio 2020, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ed in accoglimento dell’appello ha dichiarato nullo ed inefficace l’atto di donazione del 13 marzo 1994 tra COGNOME NOME e COGNOME NOME e COGNOME NOME, disponendo lo scioglimento della comunione sul detto bene, mediante estrazione a sorte dei lotti tra i condividenti, e condannava le appellate al rimborso delle spese di lite, quantificate in motivazione per il giudizio di appello e per quello di legittimità.
La sentenza ricordava che era stata accolta l’opposizione proposta dalle attrici, escludendo che il bene comune fosse stato usucapito e che effettivamente era fondato il primo motivo di appello con il quale si lamentava che il Tribunale, pur dando atto che la donazione del 13/3/1994 vedeva come donante COGNOME NOME che però non era proprietaria del bene donato alle COGNOME, non aveva dichiarato in maniera esplicita la nullità ed inefficacia di tale donazione, sebbene della stessa non se ne fosse implicitamente tenuto conto, essendosi proceduto alla divisione del bene ivi contemplato.
Quanto agli altri motivi di appello, era da disattendere la deduzione secondo cui le convenute solo tardivamente avevano invocato l’esistenza di una succession e testamentaria della comune dante causa, posto che invocare l’esistenza di un testamento, allorché è dedotta in giudizio una vicenda
successoria, non costituisce una domanda nuova ma è questione che attiene all’oggetto stesso della divisione.
Inoltre, non vi era alcuno spazio né per la collazione (mancando la prova che la dante causa, NOME, avesse fatto in vita delle donazioni ad alcuno dei condividenti), né per la riduzione, in assenza dell ‘ allegazione degli elementi di fatto dai quali ricavare l ‘esistenza di una lesione.
Doveva poi confermarsi che la divisione era limitata al solo fondo sopra indicato, essendo invece emersa la prova della titolarità dell’edific io in capo ad COGNOME NOME.
Per l ‘effetto il fondo andava diviso in quattro quote, secondo l a terza ipotesi suggerita dall’ausiliario d’ufficio , disponendosi l’assegnazione all’esito di estrazione a sorte e subordinatamente al passaggio in giudicato della stessa sentenza.
Infine, era da rigettare anche il motivo di appello che verteva sulla disposta compensazione parziale delle spese in primo grado, stante il solo parziale accoglimento della domanda attorea.
Le spese del giudizio di rinvio e di quelle di legittimità, atteso l’esito della l ite, andavano invece poste a carico delle appellate, come liquidate in motivazione.
Con ordinanza di correzione di errore materiale del 27 febbraio 2020, si è proceduto a rideterminare solo l’importo totale delle spese liquidate, ritenend osi che esulasse dall’ambito della procedura di correzione la richiesta di liquidare anche le spese del primo giudizio di appello.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME sulla base di tre motivi.
Gli intimati resistono con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte d’Appello condannato le ricorrenti al rimborso delle spese di lite in favore degli attori, in difformità della reciproca soccombenza accertata e dichiarata.
Si deduce che la sentenza emessa all’esito del rinvio restitu torio ha erroneamente ritenuto le ricorrenti soccombenti, allorché la stessa sentenza aveva accolto solo uno dei numerosi motivi di appello, rigettando tutti gli altri.
Il motivo deve essere disatteso.
Infatti, emerge in maniera evidente che al l’ esito della, sia pure parziale, riforma della sentenza di primo grado, per effetto dell’accoglimento di uno dei motivi di appello proposti (concernente la declaratoria di inefficacia della donazione concernente il bene comune ad opera di COGNOME NOME in favore delle ricorrenti), è emersa la soccombenza ancorché parziale delle stesse appellate.
Inoltre anche se è stata ritenuta incensurabile la decisione del Tribunale di compensare parzialmente le spese del giudizio di prime cure, essendo intervenuta la riforma della sentenza di primo grado, il giudizio di soccombenza necessario al fine della regolamentazione delle spese di lite non può essere limitato alla sola sorte del giudizio di appello, in relazione al numero dei motivi accolti o rigettati, ma occorre verificare la stessa in relazione all’esito complessivo del giudizio, anche per effetto delle statuizioni emesse in primo grado, ancorché non attinte positivamente dai motivi di appello.
Orbene, alla luce di tali indicazioni, risulta evidente che sebbene fosse stata disattesa la richiesta delle appellanti principali di
includere nella divisione altri beni, oltre quello già valutato dal Tribunale, ovvero di dare applicazione all’ist ituto della collazione e della riduzione, all’esito del giudizio è stata confermata la soccombenza delle convenute quanto al rigetto della domanda di usucapione, nonché in merito alla declaratoria di inefficacia della donazione a loro favore.
Il riferimento della Co rte d’Appello all’esito della lite non può quindi essere limitato, come detto, al solo giudizio di appello, e quindi la formula in tal senso utilizzata si presta a far rientrare nella valutazione anche la sorte delle domande per le quali non è intervenuta riforma in appello. Tale valutazione conduce indubbiamente alla conclusione della soccombenza delle ricorrenti, ancorché parziale, restando tuttavia insindacabile in sede di legittimità la decisione del giudice di escludere la compensazione, totale o parziale delle spese (cfr. Cass. n. 24502/2017; Cass. n. 8421/2017) , ovvero l’individuazione della parte reputata prevalentemente soccombente.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del DM n. 55/2014, dell’art. 11 delle preleggi, dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 2233 co. 2 c.c., per avere la sentenza liquidato le spese processuali della fase del giudizio di cassazione in maniera eccesiva e non prevista, rispetto a quanto stabilito dalle tariffe forensi vigenti al momento della decisione ovvero al momento della conclusione del giudizio in cassazione.
La Corte d’Appello ha liquidato per tale giudizio la somma di € 1.100,00 per la fase di studio, € 1.700,00 per la fase introduttiva, € 1.300,00 per la fase istruttoria ed € 3.400,00 per la fase decisionale.
Tuttavia, tenuto conto del valore della controversia (il bene da dividere è stato valutato in € 18.000,00 e gli stessi controri correnti hanno dichiarato un valore di € 14.010,00 nelle loro note spese), la liquidazione, da compiersi secondo la scaglione da € 5.200,01 ad € 26.000,00, per la fase istruttoria prevede un importo massimo liquidabile di € 1.152,00 mentre nulla è disposto per la fase decisionale, che deve reputarsi inclusa in quella di trattazione.
Il motivo è solo in parte fondato.
Rileva la Corte che per il giudizio di legittimità, in base al DM n. 55/2014, applicabile ratione temporis , attesa la data di definizione del giudizio all’esito della sentenza impugnata (si veda sul punto Cass. n. 31884/2018, secondo cui in tema di spese processuali, i parametri introdotti dal d.m. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata; conf. Cass. n. 19989/2021). Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto d.m., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della
sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza; conf. Cass. n. 27233/2018; Cass. n. 30529/2017), e tenuto conto dello scaglione di valore applicabile, sono previsti i compensi per le fasi introduttiva, di studio e decisionale, mentre nulla è previsto la fase istruttoria o di trattazione.
La liquidazione di un compenso anche per tale fase costituisce quindi evidente violazione delle previsioni tariffarie applicabili.
Quanto invece alla fase decisionale, il massimo liquidabile è pari ad € 1 .152,00.
Tale importo però può essere aumentato fino al 120 %, tenuto conto delle parti assistite in appello dal difensore delle appellanti (cinque).
Infatti, ai sensi dell’art. 4 co. 2 del DM n. 55/2014, è previsto che quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta.
Questa Corte ha di recente specificato che (Cass. n. 461/2020; Cass. n. 18047/2022) quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, la facoltà riconosciuta al giudice di aumentare il compenso unico per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, ai sensi dell’art. 4, comma 2, prima parte, del d.m. n. 55 del 2014, prefigura a carico del giudice l’onere di motivare, sia nell’evenienza in cui ritenga di riconoscere
l’aumento, sia nell’evenienza contraria (avendo il DM n. 37 del 2018 incrementato la percentuale di aumento per ogni singolo assistito in aggiunta), ma ritiene la Corte che tale onere di motivazione sia stato assolto, avendo la sentenza impugnata fatto riferimento a pag. 12, tra i criteri che avevano orientato la liquidazione, anche al numero delle parti secondo il DM n. 37/2018.
Tuttavia, anche tenuto conto di tale incremento, la somma liquidata risulta superiore al massimo liquidabile (€ 2.534,40), il che comporta l’accoglimento del motivo in parte qua.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione del DM n. 55/2014, dell’art. 60 co. 4 del r.d.l. n. 1578/1933, dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 2233 co. 2 c.c., per avere la sentenza liquidato le spese processuali della fase di appello in maniera superiore ai massimi tariffari, rispetto a quanto stabilito dalle tariffe forensi vigenti al momento della decisione.
La Corte d’Appello ha liquidato per tale fase la somma di € 210,00 per esborsi, € 1.700,00 per la fase di studio, € 1.600,00 per la fase introduttiva, € 1.000,00 per la fase istruttoria ed € 3.900,00 per la fase decisionale.
Si deduce, sempre in relazione allo scaglione sopra indicato, che per la fase introduttiva è prevista una liquidazione massima di € 1.579,00 e per quella decisionale di € 3.276,00, avendo quindi la sentenza riconosciuto somme in eccesso rispetto ai massimi tariffari in violazione del citato art. 60 co. 4 del r.d.l. n. 1578/1933.
Il motivo è però infondato, avuto riguardo alla segnalata possibilità, della quale deve ritenersi essersi avvalsa la Corte distrettuale, di incrementare la liquidazione in ragione del numero
delle persone assistite, sicché, tenuto conto delle percentuali di aumento correlate al numero delle persone difese dal difensore degli appellanti, la liquidazione si situa, anche per le fasi indicate dalle ricorrenti, al di sotto dei minimi tariffari.
La sentenza impugnata deve e quindi essere cassata in relazione al motivo accolto, ma non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può essere decisa nel merito, dovendosi provvedere alla liquidazione dei compensi per la fase decisionale del precedente giudizio di legittimità nell’importo di € 670,00, confermandosi nel resto la liquidazione delle precedenti fasi di merito, come operata dal giudice di rinvio.
Atteso il parziale accoglimento del presente ricorso, si ritiene invece che debbano essere compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito liquida per la fase decisionale del precedente giudizio di legittimità la somma di € 670,00, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.
Conferma la liquidazione delle spese delle precedenti fasi come operata dal giudice di appello, considerato quanto deciso da questa Corte quanto alle spese del precedente giudizio di legittimità, e compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 07 maggio 2024