Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18549 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18549 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4743/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, (CODICE_FISCALE), che si difende in proprio, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso il proprio studio
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4058/2022 depositata il 23/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- L’AVV_NOTAIO NOME COGNOME propone cinque motivi di ricorso per cassazione nei confronti dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per la cassazione della sentenza n. 4058 del 2022 resa dalla Corte d’appello di Milano in data 23.12.2022.
– Resiste l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME con controricorso illustrato da memoria.
– In relazione alla causa è stata dapprima emessa proposta di definizione anticipata, nella quale si prospettava la possibile inammissibilità del ricorso, a fronte della quale l’AVV_NOTAIO ha chiesto fissarsi la discussione della causa.
– Questa è la vicenda processuale per quanto ancora di rilievo in questa sede: l’AVV_NOTAIO conveniva in giudizio l’AVV_NOTAIO COGNOME per ottenere una condanna del medesimo al risarcimento dei danni nei suoi confronti assumendo che questo, AVV_NOTAIO di tale ragionier COGNOME e della moglie di questo, signora COGNOME, lo avrebbe danneggiato con svariati comportamenti, prestando, in particolare, falsa testimonianza in un processo di stalking giudiziario a carico del COGNOME.
– La domanda proposta dal COGNOME è stata rigettata in primo grado con sentenza confermata in appello, ove il COGNOME è stato condannato rimborsare al COGNOME le spese di giudizio in ragione della soccombenza mentre la domanda di condanna ex articolo 96 c.p.c. nei suoi confronti è stata rigettata.
– La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale all’esito della quale il Collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso ha ad oggetto soltanto la condanna al pagamento delle spese di lite.
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli articoli 112 e 191 c.p.c. Per illustrare il motivo, il ricorrente riproduce un passo della sentenza impugnata, le proprie domande formulate nel giudizio di merito e richiama le eccezioni formulate dal convenuto, ad avviso del ricorrente di natura anche sostanziale e non meramente processuale.
Censura la sentenza d’appello nel punto in cui ha ritenuto che il ricorrente fosse integralmente soccombente – ed ha posto pertanto integralmente a suo carico le spese di lite – escludendo che l’infondatezza delle eccezioni proposte dal convenuto dovesse essere tenuta in conto ai fini di valutare l’esito complessivo del giudizio.
Sostiene che la proposizione di eccezioni infondate, siano esse di rito o di merito, deve essere tenuta in conto ai fini della liquidazione delle spese di lite, perché in grado di influire sull’esito della causa, tanto più che, nel caso di specie, erano finalizzate addirittura alla cancellazione della causa dal ruolo.
Sostiene che se in un giudizio è rigettata la domanda principale ma sono rigettate anche le eccezioni della controparte, non si può non tener conto del rigetto di esse nel liquidare le spese di lite, avendo comportato la disamina delle eccezioni infondate una inutile complicazione dell’oggetto del giudizio.
Il motivo deve ritenersi inammissibile per la carenza di chiarezza espositiva e per l’inconcludenza delle affermazioni argomentative, come segnalato già nella proposta.
Il ricorrente, infatti, non sviluppa le censure fino a giungere ad una esplicitata e comprensibile conclusione del suo ragionamento che contenga una indicazione delle norme violate. Si può ipotizzare che ritenga, a fronte di una siffatta situazione, più appropriata una
compensazione delle spese anziché la sua condanna sulla base della soccombenza, ma tale conclusione non è neppure esplicitamente espressa, pur sembrando l’unica finalità cui può essere volto il motivo.
La censura è inammissibile per la parte in cui lamenta la mancata compensazione delle spese dei gradi di merito, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ., dal momento che, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989/05 e numerose altre). Trattasi di principio applicabile anche dopo le modifiche dell’art. 92, comma sec ondo, cod. proc. civ., perché l’obbligo di motivazione imposto da questa norma riguarda l’ipotesi in cui la compensazione sia disposta, ma non anche l’ipotesi in cui si segua il principio della soccombenza (che l’art. 91 cod. proc. civ. pone come regola generale in tema di riparto delle spese di lite, essendo la compensazione dell’art. 92, comma secondo, cod. proc. civ. prevista come eccezione). Poiché nella specie il giudice ha osservato l’art. 91 cod. proc. civ., è inammissibile la censura che si basa su norma non applicata, e soltanto discrezionalmente applicabile.
Il motivo proposto è comunque anche infondato, perché si pone in contrasto con un consolidato orientamento giurisprudenziale, rispetto al quale il ricorrente non indica nessun argomento che induca ad un ripensamento: come affermato da Cass. n. 18503 del 2014 e da numerose altre successive, in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite,
sicché è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito.
I motivi da 2 a 5 soffrono anch’essi di una totale mancanza di chiarezza espositiva, che non fa comprendere non solo il contenuto delle censure, appena abbozzato ed in cui i motivi costituiscono l’uno una sorta di prosecuzione dell’altro, ma neppure i fatti dei quali il ricorrente propone, inammissibilmente, in questa sede, una rilettura. Si fa riferimento, a quanto è dato comprendere, alla pretesa falsa testimonianza prestata dal COGNOME, la cui falsità, sostenuta vivacemente dal COGNOME, non è mai stata accertata.
Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in conformità a quanto prospettato nella proposta.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata, ai sensi dell’art. 380-bis, comma 1, c.p.c., sulla scia di una ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, possono essere adottate le statuizioni di cui al terzo comma della stessa norma, ovvero le condanne di cui al terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
A quest’ultimo proposito è opportuno sottolineare che le Sezioni unite hanno recentemente chiarito – con le ordinanze n. 27433/2023 e 27195/2023 – che la disciplina del nuovo art. 380-bis c.p.c. (e, in particolare, quella prevista nel suo terzo comma), contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica per far luogo alla suddetta duplice condanna a carico della parte soccombente. In altre parole, deve ritenersi che sia stata codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria), benché scevra da ogni automatismo. Non conformarsi alla prognosi infausta formulata nella proposta sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità preesistente, o sulla base di una denunciata inammissibilità, qualora
essa poi trovi piena conferma nella decisione finale, lascia certamente presumere una responsabilità aggravata.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dei compensi del presente giudizio, liquidati in euro 3.000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Condanna, altresì, il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.500,00, in favore della cassa delle ammende, e al pagamento dell’ulteriore importo di euro 3.000,00 in favore del controricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis, comma 3, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 31