Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7950 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE , corrente in Roma INDIRIZZO (C.F. CODICE_FISCALE), in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante p.t. Sig. NOME COGNOME rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. prof. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE -P.E.C.: EMAIL -fax: NUMERO_TELEFONO), dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE -P.E.C.: EMAIL fax: NUMERO_TELEFONO), e dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE CODICE_FISCALE -P.E.C.: EMAIL – fax: NUMERO_TELEFONO), ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO come da delega a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
Roma Capitale , (cod fisc. NUMERO_DOCUMENTO), in persona della Sindaca in carica pro-tempore, Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (cod. fisc. CODICE_FISCALE; P.E.C. EMAILcomuneEMAIL; Fax NUMERO_TELEFONO) in virtù di procura speciale in calce al controricorso ed elettivamente
domiciliata presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
nonché contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE muratori e braccianti di Carpi, RAGIONE_SOCIALE (erroneamente indicata a pct come RAGIONE_SOCIALE).
Intimati
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n° 1243 depositata il 21 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- La Curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE con due distinte citazioni notificate nel 1988 convenivano davanti al tribunale di Roma il Comune di quella città, l’Azienda tramvie ed autobus del Comune (Atac) e la RAGIONE_SOCIALE onde ottenere il risarcimento del danno derivato dalla occupazione di suoli attigui, pari a mq 113.680 (di proprietà RAGIONE_SOCIALE) e di mq 16.255 (di proprietà RAGIONE_SOCIALE), siti in località Tor Pagnotta, e dalla loro trasformazione irreversibile.
Il tribunale accoglieva le domande nei soli confronti del Comune, condannandolo a pagare lire 12.050.080.000 in favore di Cometa e lire 1.721.970.000 in favore di Lieta.
La Corte d’appello, affermando la natura edificatoria dei terreni, confermava la statuizione con sentenza non definitiva e definitiva,
che però vennero gravate da ricorso principale di Cometa ed incidentale del Comune, di Atac e di Lieta.
2.Questa Corte con sentenza n° 11322/2005, in accoglimento del terzo motivo di ricorso del Comune, cassava le decisioni della Corte territoriale, osservando che i fondi occupati avevano destinazione fabbricativa, ma solo ad iniziativa pubblica, donde l’esclusione di qualsiasi diritto edificatorio dei privati e la necessità che il risarcimento, derivante dalla irreversibile trasformazione dei suoli, fosse liquidato in base al valore agricolo di mercato.
Rimetteva, quindi, le parti davanti alla Corte romana anche per l’accertamento della data di perfezionamento dell’occupazione appropriativa.
In sede di rinvio, iniziato con citazione del Comune di Roma notificata ad RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE intervennero in giudizio il Fallimento RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, le prime tre quali cessionarie del credito di RAGIONE_SOCIALE, e la quarta per sostenerne le ragioni.
Con sentenza n° 4422/2010, la Corte d’Appello in sede di rinvio individuò nell’8 settembre 1987 la data dell’illecito, e, sulla scorta dell’acquisita c.t.u., condannò il Comune di Roma al risarcimento del danno, liquidando euro 5.301.205,05 in favore di RAGIONE_SOCIALE, ed euro 539.544,52 in favore di RAGIONE_SOCIALE, oltre accessori.
Determinò, poi, in euro 2.558.666,00 l’indennità di occupazione dovuta in favore di RAGIONE_SOCIALE e condannò RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme ricevute in eccesso in base alla sentenza cassata.
Anche questa sentenza venne gravata da ricorsi delle due Società, affidati, ciascuno, ad un articolato motivo, al cui accoglimento si oppose con controricorso il Comune di Roma, che, a sua volta, formulò un motivo di ricorso incidentale condizionato.
3 .- Con sentenza n° 11995/2016 questa Corte cassò nuovamente la decisione della Corte della Corte d’appello, osservando che dopo il deposito della sentenza impugnata, la Corte costituzionale, con la sentenza n° 181/2011, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5bis , quarto comma, della legge n° 359/1992, 15, primo comma, secondo periodo, e 16, quinto e sesto comma, della legge n° 865/1971 (nonché dell’art 40, secondo e terzo comma, del TU sulle espropriazioni).
La natura non edificatoria dei suoli, predicata dalla precedente sentenza della Cassazione, non poteva più essere rimessa in discussione, ma la Corte territoriale aveva liquidato le indennità mediante il parametro del valore agricolo medio, individuato mediante riferimento alla coltura dell’orto irriguo, senza considerare, invece, che avrebbero dovuto essere valorizzate anche utilizzazioni intermedie, quali quelle per parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, ecc., sempre che fossero assentite dalla normativa vigente.
4 .- La causa venne riassunta dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE che citò Roma Capitale, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE
L’RAGIONE_SOCIALE Miglioramento climatico ed ambientale sRAGIONE_SOCIALE. in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, benché citate, rimasero contumaci.
Con la sentenza menzionata in intestazione -impugnata nel presente giudizio -la Corte territoriale in sede di rinvio, disposta nuova c.t.u., liquidava il pregiudizio complessivo relativo ad entrambi i fondi contigui e condannava il Comune di Roma a pagare al RAGIONE_SOCIALE a titolo di risarcimento del danno per la perdita della proprietà e per l’occupazione del bene dall’8 settembre 1981 sino all’8 settembre 1987.
Liquidava, inoltre, a favore di RAGIONE_SOCIALE, il risarcimento del danno per la perdita del diritto di proprietà, precisando che la predetta società non aveva più avanzato domanda di liquidazione dell’indennità di occupazione.
Compensava, quindi, per metà le spese di lite tra RAGIONE_SOCIALE e Comune di Roma, nonché tra RAGIONE_SOCIALE ed il predetto Comune, condannando quest’ultimo a rifondere al solo Fallimento la residua metà delle spese di tutti i giudizi.
Condannava il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE in solido a rifondere ad Atac le spese di tutti i giudizi.
5 .- Osservava la Corte -per quello che qui ancora rileva -che il c.t.u., rispondendo ai quesiti postigli (ossia di tener conto della natura agricola dei terreni e di stimare il loro valore di mercato tenendo conto delle possibilità di utilizzazioni intermedie), aveva formulato tre possibili ipotesi di liquidazione del risarcimento del danno.
La prima, però, fondata sui metri cubi costruibili sui fondi, non era condivisibile, in ragione della natura agricola dei suoli.
La seconda, fondata sulla possibilità di realizzazione di parcheggi, era del pari da respingere, in quanto l’ipotesi era astratta ed irrealizzabile in concreto, in ragione della insufficiente domanda di parcheggi in zona.
Era, invece, condivisibile la terza ipotesi di liquidazione formulata dal c.t.u., che prevedeva la possibilità di destinare a deposito i fondi di proprietà delle due attrici.
Pertanto, tenuto conto che un ipotetico deposito avrebbe potuto avere un’estensione di 31.300 mq; che il valore della sola area di sedime (pari al 15% del prodotto edilizio realizzabile nel 1987) era di euro 2.816.887,50; e che tale importo andava attribuito per il 90,762% alla RAGIONE_SOCIALE e per il residuo 9,238% alla RAGIONE_SOCIALE, liquidava in favore della prima euro 2.556.663,43 e in favore della seconda euro 260.224,06.
6 .- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a sei motivi.
Roma Capitale ha depositato un controricorso, concludendo per l’inammissibilità o per la reiezione dell’impugnazione.
Le altre parti indicate in intestazione sono rimaste meramente intimate.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo la ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
7 .- Col primo motivo la ricorrente deduce ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 384 co. 2 c.p.c. e dell’art. 2909 cod. civ. con riferimento ai principi e ai criteri nonché al giudicato disposti e nascenti dalla sentenza Corte di Cassazione n. 11995/2016 – Nullità della sentenza e del procedimento per mancato rispetto del principio di diritto e dei criteri/accertamenti contenuti nella sentenza Corte di Cassazione n. 11995/2016 e del relativo giudicato, nonché per vizio di motivazione meramente apparente in relazione all’art. 132 co. 2 n. 4 e.p.c. (art. 360, co. 1, nn. 3 e 4 c.p.c.) ‘.
La Corte d’appello in sede di rinvio, pur avendo dato al c.t.u. un quesito formalmente rispondente alla statuizione di Cass. 11995/16, non avrebbe tuttavia notato che la nuova relazione tecnica aveva sostanzialmente disatteso il principio di diritto enunciato dalla sentenza di legittimità, omettendo di considerare alcune ipotesi di utilizzazione intermedia, pure indicate nella sentenza.
In particolare, la Corte non avrebbe considerato che già nel 1987 la zona era caratterizzata da un significativo sviluppo edilizio ed urbano (profilo sub lettera a), che l’area di proprietà della RAGIONE_SOCIALE aveva un valore economico del tutto diverso e ben superiore
all’area di proprietà della Immobiliare Cometa (profilo sub lettera b), che il c.t.u. non aveva esaminato le possibilità di sfruttamento del suolo per attività sportive e ricreative, nonché per chioschi per la rivendita di prodotti (profilo sub lettera c), che il giudice del rinvio aveva ritenuto di fare propria l’ipotesi (deposito) in realtà meno concreta e sicuramente più riduttiva, su cui pure il CTU aveva espresso perplessità (profilo sub lettera d).
Col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia e conseguente nullità del procedimento e della sentenza (art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.). Il giudice del rinvio, oltre a non avere esaminato la possibilità di sfruttamento dei suoli indicati al primo motivo sub lettera d), non avrebbe nemmeno considerato altre attività pure all’epoca dei fatti autorizzabili, quali attività di agriturismo, di istruzione, impianti per attività spettacolari o culturali: donde un ulteriore ed autonomo quanto evidente vizio di omessa pronuncia.
Col terzo motivo -rubricato ‘ Violazione di legge in relazione agli artt. 5 bis L. n. 392192, art. 14 Preleggi e art. 39 L. n. 2359/1865 Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 384 co. 2 c.p.c. e dell’art. 2909 cod. civ. con riferimento ai principi e ai criteri nonché al giudicato disposti e nascenti dalla sentenza Corte di Cassazione n. 11995/2016 – Nullità della sentenza e del procedimento per mancato rispetto del principio di diritto e dei criteri/accertamenti contenuti nella sentenza Corte di Cassazione n. 11995/2016 e del relativo giudicato, nonché per ulteriore vizio di motivazione meramente apparente in relazione all’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. (art. 360, co. 1, nn. 3 e 4 c.p.c.) ‘ -la ricorrente lamenta che, accogliendo l’ipotesi di sfruttamento intermedio economicamente meno vantaggioso (quello a deposito), il giudice avrebbe sostanzialmente disatteso il criterio risarcitorio basato sul valore venale di mercato del bene, individuato con riferimento ad una utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificabile,
pervenendo alla esigua ed irrealistica liquidazione di euro 260.224,06 ed attribuendo, così, alla ricorrente una somma addirittura inferiore rispetto a quella liquidata dalla sentenza cassata.
Col quarto mezzo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. con conseguente nullità del provvedimento e della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) e, in subordine, la violazione dell’art. 103 cod. proc. civ. (art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.).
Il giudice avrebbe del tutto omesso di provvedere sull’istanza di separazione del giudizio iniziato da RAGIONE_SOCIALE da quello iniziato da RAGIONE_SOCIALE, formulata da RAGIONE_SOCIALE all’udienza di precisazione delle conclusioni del 26 giugno 2018 ed ulteriormente motivata nella memoria di replica.
Ove non fosse ritenuto sussistente il vizio di omessa pronuncia, sussisterebbe in ogni caso la violazione dell’art. 103 cod. proc. civ., non avendo il giudice disposto la separazione.
Col quinto motivo -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.- Violazione del principio di soccombenza (art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.) – Omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione del giudicato sulle spese, con conseguente nullità della sentenza (art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.) ‘ -Agricola Lieta lamenta (profilo sub a) che la Corte territoriale, pur avendo compensato per metà le spese di tutti i giudizi tra le due società attrici, da una parte, e la convenuta Roma capitale, dall’altra, avrebbe poi condannato quest’ultima a rifondere le spese predette solo in favore della RAGIONE_SOCIALE.
In secondo luogo (profilo sub b) sarebbe stato violato il principio di soccombenza, in quanto la compensazione delle spese di tutti i giudizi contrasterebbe col menzionato principio; in subordine, la ricorrente fa osservare che la precedente sentenza della Corte appello Roma (n° 4422/10), non impugnata sul punto, aveva
condannato il Comune di Roma al pagamento dei due terzi delle spese di lite in favore (anche) della RAGIONE_SOCIALE
In terzo luogo (profilo sub c) la Corte avrebbe condannato COGNOME e COGNOME in solido al pagamento in favore di Atac di tutte le spese dei precedenti giudizi, senza considerare che già dal primo giudizio di rinvio COGNOME non aveva più proposto contro Atac alcuna domanda e che la stessa Atac aveva confermato di essere stata citata in giudizio solo dal RAGIONE_SOCIALE, attore in sede di (secondo) rinvio: condanna che non era giustificata nemmeno dal fatto che RAGIONE_SOCIALE avesse continuato a difendersi nonostante l’assenza di domande contro la stessa.
Col sesto mezzo la RAGIONE_SOCIALE si duole dell’omesso esame di fatti decisivi e controversi, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n° 5, cod. proc. civ.
La Corte (profilo sub a) avrebbe del tutto omesso di esaminare il fatto storico, decisivo e controverso, costituito dalla circostanza che la sentenza Corte Cassazione n° 11995/16 aveva espressamente indicato, tra le varie possibili utilizzazioni intermedie delle aree in questione, anche quelle di attività sportive e ricreative e di chioschi per la vendita di prodotti, mentre tali ipotesi di utilizzo, pur essendo state controverse tra le parti a seguito del quesito posto dalla Corte del secondo rinvio al c.t.u. e pur essendo il loro esame evidentemente decisivo ai fini del decidere, non sarebbero state neppure esaminate dalla Corte d’appello.
Inoltre (profilo sub b) il giudice del rinvio avrebbe del tutto omesso di esaminare (come pure il c.t.u. nel suo elaborato) il fatto storico della documentata sussistenza di una perizia di stima redatta dall’UTE in data 16 giugno 1989 ed allegata alle osservazioni alla bozza di c.t.u., certamente attendibile, in quanto proveniente da un pubblico ufficiale, e costituente elemento decisivo ai fini di una corretta quantificazione dell’indennizzo risarcitorio.
8 .- I primi tre mezzi ed il sesto -esaminabili congiuntamente, in ragione della loro evidente connessione -sono inammissibili.
È, infatti, fin troppo noto che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza applicata al caso concreto la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti peritali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta risposta ai quesiti dati dal giudice, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso della parte rispetto alle conclusioni del c.t.u., che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice ( ex multis , Cass., sez. III, 11 dicembre 2023 n° 34395).
È stato, inoltre, deciso che la parte che in sede di legittimità lamenti l’adesione del giudice di merito alle conclusioni del c.t.u. non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere d’indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (Cass., sez. III, 18 luglio 2022, n° 22532).
Ora, contrariamente a quanto deduce la ricorrente, la Corte d’appello non solo ha tenuto conto del principio di diritto enunciato da Cass. 11995/16 (in quanto ha ritenuto le aree di natura agricola ed ha dato incarico al c.t.u. di stimare i suoli secondo i possibili utilizzi intermedi), ma ha fondato la decisione sulle indagini del
c.t.u., nelle quali lo stato edilizio e di urbanizzazione della zona M1 erano ben descritte, riportando ampli stralci della relazione tecnica, che, dal canto suo (e per quello che risulta dalla sentenza impugnata), appare adeguatamente motivata con riferimento alle condizioni dei luoghi ed al loro regime urbanistico, nonché alla individuazione di tre utilizzi mediani.
Tale individuazione è del tutto plausibile ed è, pertanto, escluso che questa scelta meritale (che scarta le ipotesi di utilizzo delle aree a chioschi o ad attività sportive) sia sindacabile in sede di legittimità. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che con delibera del consiglio comunale n° 967 del 5 giugno 1973 è stata approvata una variante urbanistica con la quale si modificava la destinazione di un’area di 164.950 mq compresa tra la INDIRIZZO e il Grande raccordo anulare, trasformandola in zona M1, ancora vigente nel 1987.
In base all’art. 14 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma i terreni assumevano un indice di fabbricabilità di due metri cubi per ogni metro quadrato: quantità che il c.t.u. ha giudicato ‘ non propriamente compatibile ‘ con le utilizzazioni di minore impatto urbanistico, come parcheggi, attività sportive e ricreative, chioschi, ecc…
Peraltro, ha aggiunto il c.t.u. (la trascrizione della relazione è riportata a pagina 13 della sentenza) che l’elencazione delle destinazioni d’uso indicate per le zone M1 di cui all’articolo 14 delle NTA appariva superata dal contenuto specifico della citata variante urbanistica del 1973, che, nell’ambito della destinazione a ” servizi pubblici ” delle zone M1 di PRG, indicava per i terreni oggetto di stima la specifica destinazione d’uso di autorimessa Atac.
Da qui la formulazione delle tre proposte di liquidazione dell’indennizzo, di cui la terza (quella del deposito) è stata plausibilmente recepita dalla Corte, con una scelta, anche qui, del tutto meritale, che non può essere sindacata nella odierna sede.
In conclusione, il percorso logico del consulente appare adeguatamente motivato ed esente da errori logici od omissioni, peraltro nemmeno enunciate specificamente nei motivi, con la conseguenza della loro inammissibilità, anche in ragione della violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
Nella sostanza si tratta di doglianze che replicano quelle già esposte davanti al giudice del rinvio e che sono state prese in considerazione dall’ausiliare e dalla Corte e motivatamente disattese da quest’ultima.
Del pari inammissibile è il rimprovero concernente l’attribuzione di un medesimo valore ai due fondi (quello della RAGIONE_SOCIALE e quello della RAGIONE_SOCIALE), quando il primo -a dire della ricorrente -avrebbe un valore di gran lunga superiore.
La Corte, infatti, sempre in base alle condivisibili osservazioni del c.t.u., ha ritenuto che l’area della RAGIONE_SOCIALE fosse lunga e stretta, e quindi di difficile utilizzo e sfruttamento: sicché anche per questo aspetto il giudice ha preso in considerazione la prospettazione della società espropriata e l’ha motivatamente disattesa.
9 .-Passando all’esame del quarto mezzo, esso si rivela inammissibile al pari dei precedenti.
Anzitutto la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. non rileva quando si è omesso di decidere su eccezioni di natura processuale, potendo il vizio di omessa pronuncia formularsi solo in relazione a motivi afferenti il merito delle questioni (Cass., sez. III, 16 ottobre 2024 n° 26913; Cass., sez. II, 25 gennaio 2018, n° 1876).
Secondariamente, sol che si legga l’art. 103, secondo comma, è agevole constatare che la separazione dei processi è una mera facoltà del giudice (che, oltretutto, culmina in un provvedimento ordinatorio e non decisorio e, come tale, non giustiziabile davanti alla Cassazione), esercitabile quando vi è istanza congiunta di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione
ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo: requisiti che qui assolutamente non ricorrono.
10 .-Passando all’esame del quinto mezzo, ritiene il collegio che, per come sia stato proposto, esso sia inammissibile ove riferito alle spese tra RAGIONE_SOCIALE e Comune di Roma.
La ricorrente, infatti, lamenta la violazione del principio di soccombenza ed un’omissione di pronuncia sulle spese a proprio favore.
Quanto al principio di soccombenza, il rilievo non appare condivisibile, in quanto la Corte ha disposto la compensazione parziale delle spese sul rilievo del parziale accoglimento della domanda di indennizzo (sentenza pagina 31).
D’altra parte, se è vero che la precedente sentenza della Corte d’appello di Roma (n° 4422/2010) aveva condannato il Comune a rifondere due terzi delle spese di lite, è pure vero che tale statuizione era fondata su un risultato nummario diverso da quello cui è giunta la sentenza impugnata nella presente sede: con la conseguenza che una diversa misura del riparto delle spese appare pienamente giustificata.
L’omissione di pronuncia è invece sussistente, ma non determina la cassazione della sentenza.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver disposto la compensazione per metà delle spese di lite, ha esplicitamente condannato Roma Capitale a pagare solo a Cometa il 50% delle spese già liquidate nella sentenza di primo grado e nella sentenza di Corte appello di Roma n° 33/2002, e sempre nella misura del 50% delle spese del primo giudizio di Cassazione e del primo giudizio di rinvio, come liquidate per l’intero nella sentenza della Corte appello di Roma n° 4422/2010.
Infine, la Corte ha condannato Roma Capitale al pagamento in favore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE del 50% delle spese del giudizio di Cassazione conclusosi con la
sentenza n° 11995/2016, nonché al pagamento del 50% delle spese del secondo giudizio di rinvio.
È, dunque, evidente che sia stata omessa la condanna di Roma Capitale alla rifusione del 50% delle spese predette in favore di RAGIONE_SOCIALE
Nondimeno, dalla motivazione della decisione è palese la volontà della Corte territoriale di porre a carico di Roma Capitale ed a favore di RAGIONE_SOCIALE il 50% delle spese di lite, come liquidate in sentenza alle pagine 31 (ultime due righe) e 32 (prime quattordici righe), con la conseguenza che la discrasia andrà corretta (non nella presente sede di legittimità, ma) con la procedura della correzione degli errori materiali (artt. 287 e seguenti del cod. proc. civ.).
A diversa conclusione deve giungersi quanto alla condanna di RAGIONE_SOCIALE a rifondere le spese ad Atac.
Sul punto giova rammentare che quest’ultima venne citata in giudizio da RAGIONE_SOCIALE la quale rimase soccombente nei confronti di Atac nel primo giudizio di merito davanti al tribunale ed in appello.
Cass. n° 11322/05 cassò la sentenza di secondo grado, ma definì il giudizio tra varie altre parti processuali, tra le quali RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE condannando le prime due in solido a rifondere alla terza le spese del giudizio di legittimità e dichiarando che RAGIONE_SOCIALE resta estranea al prosieguo del giudizio, nella fase di rinvio ‘.
In tale primo giudizio di rinvio, invece, RAGIONE_SOCIALE venne citata dal Comune di Roma, mentre RAGIONE_SOCIALE abbandonò ogni pretesa nei confronti dell’Azienda comunale.
RAGIONE_SOCIALE inoltre, conservò tale linea difensiva anche nel secondo giudizio di rinvio, che, infatti, venne iniziato dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE, senza proposizione di alcuna domanda o istanza da parte di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Infine, nel ricorso conclusosi con Cass. 11995/2016 RAGIONE_SOCIALE si lamentò della mancata considerazione delle utilizzazioni intermedie
dei fondi e non dell’erronea identificazione del soggetto tenuto al risarcimento: pertanto, la doglianza era diretta solo nei confronti del Comune di Roma e non di Atac.
Ora, se la condanna di RAGIONE_SOCIALE nel primo giudizio (quello conclusosi con Cass. 11322/05) trova il suo fondamento nel principio di causalità, costituendo la condanna di cui all’art. 91, primo comma, cod. proc. civ., un criterio di riparto dei costi del processo, in applicazione del principio predetto, sotteso a quello della soccombenza (in virtù del quale non è esente da onere delle spese la parte che, col suo comportamento antigiuridico, in quanto trasgressivo di norme di diritto sostanziale, abbia provocato la necessità del processo), alla stessa constatazione non sembra potersi giungere per la fase processuale consistita nel primo e nel secondo rinvio davanti alla Corte romana ed alla (seconda) fase di legittimità.
La condanna di RAGIONE_SOCIALE a pagare le spese ad Atac anche per tali giudizi, ossia per quelli successivi a Cass. 11322/2005 -punto 6 del dispositivo della sentenza, righe da 9 a 16, in cui si condanna agricola a pagare ‘ le spese del primo giudizio di rinvio (sentenza 4422/2010) liquidate nella misura di euro 12.000 di cui euro 2.500,00 per diritti oltre accessori; le spese del giudizio di Cassazione (sentenza n. 11995/2016) nella misura di euro 10.000 oltre accessori; le spese del presente giudizio di rinvio liquidate nella misura di euro 2.090 per la fase di studio, euro 1.2Ì5 per la fase introduttiva, euro 3.920 per la fase di trattazione ed euro 3.475 per la fase decisionale, oltre accessori ‘ -integra, pertanto, violazione del principio di soccombenza.
Non occorrendo ulteriori accertamenti sul punto, la questione può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.
11 .- Alla soccombenza di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Comune di Roma segue la sua condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore del Comune predetto.
In considerazione della mancata costituzione di RAGIONE_SOCIALE, sussistono invece giustificati motivi per compensare integralmente le spese della presente lite tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ. nel testo vigente ratione temporis .
Per la liquidazione degli importi -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 260,2 mila tra RAGIONE_SOCIALE e Roma Capitale ed euro 47,7 mila, pari alle spese di lite in contestazione tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE) -si rimanda al dispositivo che segue.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibili il primo, secondo, terzo, quarto e sesto motivo. In parziale accoglimento del quinto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara che RAGIONE_SOCIALE nulla deve ad Atac per spese di lite successive a Cass. 11322/2005, come liquidate al paragrafo n° 6 del dispositivo, righe da 9 a 16, della sentenza impugnata. Condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere a Roma capitale le spese del presente giudizio, che liquida in euro 8.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Spese compensate tra RAGIONE_SOCIALE
Così deciso in Roma l’11 marzo 2025, nella camera di