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Simul stabunt simul cadent: uso distorto e revoca

Un amministratore delegato, revocato a seguito delle dimissioni dell’intero cda in base alla clausola `simul stabunt simul cadent`, ha chiesto il risarcimento danni per revoca abusiva. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la decisione di merito che aveva escluso un uso distorto della clausola, poiché la valutazione dei fatti spetta al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

La clausola simul stabunt simul cadent: tra riorganizzazione e uso distorto

La clausola simul stabunt simul cadent è uno strumento potente nel diritto societario, pensato per garantire la coesione del consiglio di amministrazione. Ma cosa succede quando viene utilizzata per estromettere un amministratore sgradito senza una giusta causa? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, torna su questo tema delicato, tracciando una linea netta tra la legittima riorganizzazione aziendale e l’uso distorto delle norme statutarie, e chiarendo i limiti del proprio sindacato sulla valutazione dei fatti.

I fatti di causa: una revoca indiretta

Un amministratore delegato di una società per azioni veniva di fatto rimosso dal suo incarico. La revoca non avveniva in modo diretto, ma attraverso un meccanismo più complesso: le dimissioni di alcuni consiglieri provocavano, in applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent, la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione. Successivamente, l’assemblea deliberava una modifica dello statuto, sostituendo l’organo collegiale con un amministratore unico.

Ritenendo questa manovra un espediente per aggirare le tutele previste in caso di revoca senza giusta causa, l’ex amministratore agiva in giudizio contro la società e la sua controllante, chiedendo il risarcimento dei danni. La sua tesi era che le dimissioni e le successive delibere fossero preordinate al solo scopo di estrometterlo, mascherando una revoca priva di fondamento.

La decisione dei giudici di merito

Dopo una vicenda processuale complessa, che ha visto l’annullamento della sentenza di primo grado per un vizio di composizione del giudice, la Corte d’Appello ha riesaminato il caso nel merito. I giudici hanno respinto la domanda dell’amministratore, concludendo che non vi erano prove di un uso abusivo o strumentale della clausola. Secondo la Corte territoriale, le dimissioni e la conseguente riorganizzazione dell’assetto amministrativo erano supportate da valide ragioni aziendali e non miravano unicamente a danneggiare l’amministratore.

L’analisi della Cassazione e i limiti al sindacato sull’uso della simul stabunt simul cadent

L’ex amministratore ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: l’omesso esame di fatti decisivi che avrebbero dimostrato l’intento abusivo e la violazione delle norme sulla buona fede (art. 1375 c.c.) e sulla revoca degli amministratori (art. 2383 c.c.).

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili, svolgendo importanti precisazioni sui limiti del proprio giudizio.

La valutazione dei fatti è riservata al giudice di merito

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove e i fatti. Il compito della Corte è verificare la corretta applicazione della legge, non stabilire come sono andati i fatti. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano già esaminato tutti gli elementi portati dall’amministratore (la tempistica delle dimissioni, la fusione imminente, etc.), ma li avevano interpretati in modo diverso, ritenendoli non sufficienti a provare un abuso. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella, plausibile e motivata, della Corte d’Appello.

L’inammissibilità del secondo motivo

Di conseguenza, anche il secondo motivo, relativo alla violazione di legge, è stato giudicato inammissibile. Se il giudice di merito ha escluso in fatto l’esistenza di un uso distorto della clausola simul stabunt simul cadent, non si può logicamente sostenere che abbia applicato male le norme che sanzionano tale abuso. La valutazione giuridica dipende strettamente dall’accertamento fattuale, che in questo caso era contrario alla tesi del ricorrente.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità. Il ricorrente, pur lamentando una violazione di legge, tentava in realtà di ottenere una nuova e diversa ricostruzione della vicenda, cosa preclusa in sede di cassazione. La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione concreta e plausibile per escludere l’abuso della clausola, adempiendo così al proprio compito. La valutazione di merito, se adeguatamente motivata, non è sindacabile dalla Corte di legittimità.

Parallelamente, la Corte ha rigettato i ricorsi incidentali delle società, i quali vertevano su questioni procedurali relative alla nullità della sentenza di primo grado e alla liquidazione delle spese legali. Anche in questo caso, la Corte ha chiarito che, una volta annullata la prima sentenza, il giudice d’appello decide su tutto il giudizio, comprese le spese di entrambi i gradi, in un’ottica globale basata sull’esito finale della lite.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, conferma che la clausola simul stabunt simul cadent è uno strumento legittimo di gestione societaria, e il suo utilizzo non è di per sé abusivo, anche se porta alla cessazione dalla carica di un amministratore. Spetta a chi si ritiene danneggiato provare in modo rigoroso, davanti ai giudici di merito, che l’intera operazione è stata architettata al solo scopo di aggirare le norme sulla revoca con giusta causa. In secondo luogo, ribadisce i confini invalicabili del giudizio di Cassazione: non si possono rimettere in discussione le valutazioni fattuali dei giudici di merito, a meno che non emerga l’omissione totale di un fatto storico decisivo, circostanza che in questo caso non è stata riscontrata.

L’uso della clausola simul stabunt simul cadent per far decadere un amministratore è sempre legittimo?
Non necessariamente. Sebbene la clausola sia legittima, il suo utilizzo può essere considerato illecito e abusivo se viene impiegata strumentalmente, non per reali esigenze di riorganizzazione, ma al solo scopo di estromettere un amministratore scomodo in assenza di una giusta causa di revoca. La prova di tale uso distorto, però, spetta a chi lo lamenta.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di merito riguardo all’uso distorto di una clausola statutaria?
No. La Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito. Il suo compito è verificare se la legge è stata applicata correttamente ai fatti così come accertati nei gradi precedenti. Un ricorso basato su una diversa interpretazione delle prove è inammissibile.

Se la sentenza di primo grado viene annullata, chi decide sulle relative spese legali?
Quando la sentenza di primo grado viene dichiarata nulla, il giudice d’appello, nel decidere nuovamente la causa nel merito, assume la funzione di giudice unico per l’intero giudizio. Pertanto, la sua pronuncia sulle spese legali copre in modo globale entrambi i gradi di giudizio, basandosi sull’esito complessivo della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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