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Sgravi contributivi: quando l’INPS non può chiederli?

Una società si opponeva alla richiesta di restituzione di sgravi contributivi da parte dell’ente previdenziale, sostenendo di averne diritto per assunzioni con contratti di formazione e lavoro. La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso dell’azienda, stabilendo che gli sgravi contributivi goduti per l’assunzione di lavoratori con età inferiore ai 25 anni erano legittimi e non potevano essere recuperati, in quanto compatibili con la normativa comunitaria sugli aiuti di Stato. La Corte ha invece confermato che l’onere della prova sui requisiti per accedere ai benefici spetta sempre al datore di lavoro. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Sgravi Contributivi: La Cassazione Mette un Freno alle Richieste dell’INPS

Gli sgravi contributivi rappresentano uno strumento fondamentale per le aziende che intendono investire nell’occupazione, alleggerendo il costo del lavoro. Tuttavia, l’accesso a tali benefici è subordinato a requisiti stringenti, la cui violazione può portare a richieste di restituzione da parte dell’ente previdenziale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio un caso di recupero di agevolazioni, chiarendo i limiti dell’azione dell’ente e ribadendo importanti principi sull’onere della prova. La vicenda vede una società contrapposta all’ente per una somma ingente, relativa a presunti indebiti sgravi contributivi goduti per assunzioni con contratti di formazione e lavoro.

I Fatti di Causa: La Controversia sugli Sgravi per Contratti di Formazione

La controversia nasce dalla notifica di una cartella di pagamento con cui l’ente previdenziale chiedeva a una società a responsabilità limitata la restituzione di oltre 400.000 euro. La somma era imputata a un presunto godimento indebito di sgravi contributivi nel periodo 1996-2001, legati all’attivazione di contratti di formazione e lavoro. Secondo l’ente, il presupposto per lo sgravio era un incremento occupazionale netto, condizione che la società non avrebbe rispettato.

La società si è opposta alla richiesta, dando inizio a un lungo iter giudiziario. La Corte di Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva dato ragione all’ente previdenziale, ritenendo che l’azienda non avesse fornito la prova documentale necessaria a dimostrare la legittimità delle agevolazioni. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto insufficienti le prove sulla stipula effettiva dei contratti di formazione e lavoro e sul possesso di tutti i requisiti di legge. Di conseguenza, l’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su sette distinti motivi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato attentamente i motivi del ricorso, rigettandone la maggior parte ma accogliendone uno, ritenuto decisivo per le sorti della controversia.

L’Onere della Prova in materia di Sgravi Contributivi

Prima di tutto, la Cassazione ha rigettato il motivo con cui l’azienda cercava di ribaltare l’onere della prova. I giudici hanno confermato un principio consolidato: nelle controversie relative al recupero di contributi non versati per effetto di agevolazioni, spetta sempre al datore di lavoro opponente dimostrare di possedere tutti i requisiti richiesti dalla legge per beneficiare della detrazione. La presenza di normative comunitarie sugli aiuti di Stato non modifica questa regola fondamentale. Pertanto, l’azienda aveva il dovere di provare la legittimità degli sgravi contributivi goduti.

Il Principio Decisivo: La Legittimità degli Sgravi per i Lavoratori Under 25

Il punto di svolta è rappresentato dall’accoglimento del quinto motivo di ricorso. L’azienda lamentava che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare che una parte significativa degli sgravi contributivi era pienamente legittima. Nello specifico, si trattava delle agevolazioni relative all’assunzione di 31 lavoratori che, al momento della stipula del contratto, avevano meno di 25 anni.

Per questa categoria di lavoratori, gli aiuti erano compatibili con il regime comunitario e, pertanto, non dovevano essere restituiti. La Corte di Appello aveva ignorato questo dato, emerso chiaramente dalla consulenza tecnica d’ufficio, concentrandosi erroneamente sulla mancata prova documentale del tipo di contratto, quando invece il dato anagrafico era di per sé sufficiente a rendere legittimo lo sgravio per quel gruppo di dipendenti. La Cassazione ha ritenuto fondata questa censura, stabilendo che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto insufficiente il requisito dell’età.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su una distinzione logico-giuridica cruciale. Ha separato la posizione dei lavoratori per i quali gli sgravi erano potenzialmente incompatibili con la normativa sugli aiuti di Stato (quelli con età superiore ai 25 anni) da quella dei lavoratori per cui gli sgravi erano palesemente legittimi (quelli con età inferiore ai 25 anni).

Per i primi, la Corte ha confermato la correttezza della giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l’onere di provare il possesso dei requisiti. Per i secondi, invece, ha stabilito che la Corte d’Appello aveva commesso un errore di diritto. Una volta accertato in giudizio un fatto decisivo (l’età inferiore a 25 anni), che di per sé rendeva l’agevolazione compatibile con le norme UE, il giudice di merito non poteva ignorarlo e pretendere prove aggiuntive su altri aspetti, come la tipologia contrattuale, che in quel contesto diventavano secondari. La restituzione richiesta dall’ente previdenziale era, su questo punto, indebita perché si riferiva ad agevolazioni pienamente legittime.

Rigettando gli altri motivi, la Corte ha anche sottolineato l’inammissibilità del settimo motivo, che lamentava un omesso esame di un fatto decisivo, chiarendo che tale vizio non può essere invocato per lamentare la mancata valutazione di documenti, ma solo di un fatto storico principale o secondario.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il quinto motivo di ricorso, cassato la sentenza impugnata in relazione a tale motivo e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, per una nuova valutazione. La Corte d’Appello dovrà ora ricalcolare quanto dovuto dalla società, escludendo dalla pretesa dell’ente previdenziale gli sgravi contributivi relativi ai 31 lavoratori assunti con meno di 25 anni.

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: se da un lato le aziende devono essere estremamente diligenti nel documentare e provare il possesso dei requisiti per ogni agevolazione contributiva, dall’altro lato l’azione di recupero dell’ente previdenziale non può essere indiscriminata. L’ente deve distinguere tra posizioni irregolari e posizioni legittime e non può pretendere la restituzione di benefici concessi in conformità con la normativa nazionale ed europea. Per le imprese, è un invito a difendere i propri diritti con precisione, contestando le pretese eccessive e non adeguatamente motivate.

A chi spetta dimostrare di avere diritto agli sgravi contributivi?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta sempre al datore di lavoro. È l’azienda che, in caso di contestazione, deve dimostrare di possedere tutti i requisiti richiesti dalla legge per beneficiare legittimamente delle agevolazioni.

L’ente previdenziale può recuperare tutti gli sgravi se solo alcuni lavoratori non avevano i requisiti?
No. La Corte ha chiarito che il recupero deve essere limitato esclusivamente alle somme relative alle posizioni irregolari. Gli sgravi goduti per i lavoratori che soddisfacevano tutti i requisiti di legge (nel caso specifico, l’età inferiore ai 25 anni, che rendeva l’aiuto compatibile con le norme UE) sono legittimi e non possono essere chiesti in restituzione.

Il mancato rispetto delle norme UE sugli aiuti di Stato rende automaticamente illegittimi tutti gli sgravi goduti?
No, l’illegittimità va valutata distinguendo le diverse posizioni. In questa vicenda, gli sgravi per i lavoratori assunti con meno di 25 anni sono stati considerati compatibili con le norme comunitarie e quindi non recuperabili, a differenza di quelli per i lavoratori più anziani, per i quali l’azienda non ha fornito prova sufficiente della legittimità del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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