Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29745 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29745 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24436-2024 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1529/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/06/2024 R.G.N. 3061/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 24436NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
In estrema sintesi e per quanto qui ancora rilevi, la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile al rapporto di lavoro in esame il R.D. n. 148 del 1931, con conseguente infondatezza della ragione di invalidità del licenziamento connessa alla mancata app licazione della procedura prevista dall’allegato A) al Regio Decreto indicato.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con due motivi; ha resistito l’intimata società con controricorso.
La Consigliera delegata ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., rilevandone la manifesta infondatezza.
Il difensore di parte ricorrente ha depositato nei termini istanza per chiedere la decisione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; è stato, quindi, instaurato il procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Le parti non hanno comunicato memorie.
All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., si denuncia: ‘violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148 del 1931, art. 7, lett. b; degli artt. 1, 6, 18, 53 e 54 dell’All.
A dello stesso Decreto; dell’art. 9 l. n. 30 del 1978′, sostenendo che ‘il solo fatto di far parte di una unità organizzativa interna dell’azienda pubblica di trasporto è condizione sufficiente per l’applicazione del Regio Decreto n. 148/1931’.
Col secondo mezzo si denuncia ancora la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 148/31, art. 7, lett. b), deducendo ‘come strettamente connesso e funzionale al servizio di trasporto pubblico l’attività di , ovvero di addetto al l’attività di gestione dei servizi di sosta, rimozione dei veicoli, elevazione delle multe’, che chi ricorre reputa ‘essenziale per l’ordinario servizio di trasporto pubblico’.
Il ricorso, nei suoi due motivi che possono essere esaminati congiuntamente per chiara connessione, è infondato.
2.1. L’art. 7 del R.D. n. 148 del 1931 prevede che le disposizioni del decreto non si applicano ‘al personale addetto ai servizi che secondo l’ordinamento dell’azienda e con l’approvazione del Governo siano affidati a privati appaltatori, o addetto a servizi c he siano soltanto sussidiari del servizio dei trasporti’ (comma 1, lett. b).
Sin dagli anni ’80 questa Corte ha interpretato l’enunciato normativo nel senso che la sottrazione di dipendenti al regime comune stabilito dal Regio Decreto n. 148 ‘può derivare soltanto dalla natura e dalla struttura obiettiva del singolo servizio e dal suo nesso di dipendenza e funzionalità rispetto al servizio di trasporto’ (Cass. n. 2910 del 1984), di conseguenza escludendo dall’ambito di applicazione, ad esempio, il personale di una cassa di soccorso costituita presso un’azienda di trasporto pubblico (Cass. n. 3741 del 1983) o il personale impiegato nell’attività di pulizia e guardiania degli impianti igienici delle stazioni di un’impresa ferroviaria in regime di concessione (Cass. n. 3495 del 1988).
La più compiuta ricognizione normativa della disposizione si deve a Cass. n. 4780 del 1999, alla quale la stessa sentenza impugnata opera diffuso rinvio, precedente che, in continuità con Cass. n. 1819 del 1989, ha ribadito come, per individuare i ‘servizi sussidiari’, non possa farsi riferimento alle mansioni svolte dai singoli lavoratori ovvero alle unità organizzative necessarie o utili al funzionamento dell’aziend a di trasporto, bensì all’attività, diversa da quella di trasporto, esercitata in forma imprenditoriale e rivolta ad utenti esterni, in quanto erogata come da qualsiasi azienda produttrice di servizi.
Ciò in coerenza con la ratio della disposizione che il precedente richiamato, in relazione alle due ipotesi della lettera b) dell’art. 7 in esame, così individua: ‘Il legislatore ha considerato, oltre l’affidamento a privati appaltatori di parti dello stesso servizio dei trasporti, per il quale ha richiesto l’approvazione del Governo, anche il possibile esercizio da parte di una stessa impresa di attività ulteriori rispetto a quella di trasporto e ha ritenuto di dover escludere dal regime speciale anche le attività che, diversamente da quelle totalmente autonome, avrebbero altrimenti potuto essere attratte, in quanto strumentali o accessorie, nella disciplina dell’attività principale’.
Su tale arresto si è attestata la giurisprudenza successiva (ad ex. Cass. n. 7731 del 2007) ed anche, come rilevato in sede di definizione accelerata del procedimento, da Cass. n. 6297 del 2022 – posta dal lavoratore a fondamento del suo ricorso – che ha solo sancito l’irrilevanza della provenienza dei dipendenti da altra società ai fini della qualificazione del servizio come sussidiario o meno.
2.2. Tanto premesso in diritto, si consideri che la Corte territoriale ha rilevato che l’azienda che gestisce il trasporto pubblico a RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE -‘ha sottoscritto un contratto di
servizio con RAGIONE_SOCIALE Capitale per l’affidamento dei servizi complementari al servizio pubblico per la gestione dei parcheggi di scambio, della sosta tariffaria su strada e dei parcheggi in struttura o in superficie’; ‘attività secondo la Corte -molto strutturata, economicamente distinta dal trasporto pubblico e rivolta a terzi, in forza della quale RAGIONE_SOCIALE percepiva da RAGIONE_SOCIALE Capitale specifici corrispettivi anche a copertura dell’attività di esazione, svolgendo un’attività assolutamente distinta da quella affer ente all’esercizio del trasporto, distintamente organizzata e remunerata e appetibile sul libero mercato’.
Sulla base di tale accertamento in fatto, la Corte ha escluso l’applicabilità del R.D. n. 148/1931 alla procedura disciplinare cui è stato sottoposto il COGNOME, in quanto destinato ad un servizio che la Corte medesima ha ritenuto correttamente avere natur a sussidiaria rispetto all’attività di pubblico trasporto; trattasi, infatti, di attività esercitabile in forma imprenditoriale e rivolta ad utenti esterni – quindi non al diretto servizio della struttura necessaria per il funzionamento dell’impresa di trasporti -tanto da essere originariamente di competenza di RAGIONE_SOCIALE Capitale ed affidata mediante un contratto di servizi ad RAGIONE_SOCIALE e che avrebbe potuto essere concessa, in ipotesi, anche ad altro soggetto imprenditore.
Pertanto, il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta per la decisione accelerata e che il giudizio viene definito in conformità alla proposta, occorre applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal comma terzo del citato art. 380-bis c.p.c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 10955 del 2024), non ravvisando, il Collegio,
ragioni per discostarsi nella specie dalla suddetta previsione legale (cfr. Cass. SS.UU. n. 36069 del 2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15%; condanna altresì parte ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore di parte controricorrente e, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nell’adunanza camerale del 10 settembre 2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME