Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5975 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5975 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso 8850-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, nello studio della dott.ssa NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 237/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/01/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona del dott. NOME COGNOME;
uditi l’AVV_NOTAIO per la parte ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la parte controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Milano, invocando la declaratoria della nullità o annullabilità dell’atto notarile del 22.3.2004, con il quale le parti avevano costituito a favore della convenuta una servitù di uso esclusivo e perpetuo del lastrico di copertura della proprietà della società attrice, svuotando in tal modo di contenuto il diritto di proprietà di quest’ultima, nonché la condanna della COGNOME a restituire nella disponibilità della società attrice il lastrico predetto ed a risarcire il danno derivante dalla sua occupazione e dalle infiltrazioni causate a carico della sottostante proprietà dell’attrice.
Si costituiva in giudizio la convenuta, resistendo alla domanda ed di nullità ed eccependo la prescrizione dell’azione di annullamento del contratto del 2004 di cui anzidetto.
Con sentenza n. 4897/2016 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando nullo il contratto costitutivo della servitù oggetto di causa
e condannando la convenuta al rilascio del lastrico ed al risarcimento del danno cagionato alla società attrice.
Con la sentenza impugnata, n. 237/2020, la Corte di Appello di Milano riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima propone ricorso per la cassazione di detta decisione, affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
Con istanza del 28.6.2023 la parte ricorrente ha invocato la sollecita fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica del 27.2.2024 l’AVV_NOTAIO per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, l’AVV_NOTAIO per la parte controricorrente, che ha concluso per il rigetto, ed il P.G., che ha concluso per l’inammissibilità.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 832 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che, per effetto della costituzione della servitù di uso perpetuo ed esclusivo del lastrico oggetto di causa, costituita con l’atto notarile del 22.3.2004, il proprietario del bene non poteva, in concreto, più esercitare alcuna facoltà sullo stesso, con conseguente assoluto e totale svuotamento del contenuto del diritto di proprietà.
Con il secondo motivo, la società ricorrente denunzia la manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe ritenuto insussistente il lamentato totale svuotamento del contenuto del diritto di proprietà di RAGIONE_SOCIALE sul lastrico di cui è causa, valorizzando il
fatto che quest’ultimo continuava comunque ad assolvere alla funzione di copertura del sottostante locale di proprietà della predetta società. In tal modo, secondo quest’ultima, la Corte distrettuale avrebbe confuso, in sostanza, la proprietà del vano sottostante con quella del lastrico oggetto di causa, entrambi pacificamente appartenenti, per titolo, a RAGIONE_SOCIALE, apprezzando l’esistenza della residua utilità del lastrico con riferimento al diverso bene ad esso sottostante.
Con il terzo motivo, invece, la parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1027, 1028 e 1418 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello, nel ritenere valida la costituzione della servitù di uso perpetuo ed esclusivo di cui al rogito del 2004, dianzi richiamato, avrebbe in sostanza elevato un diritto reale minore al rango del diritto di proprietà, realizzando una cessione impropria, a favore della COGNOME, dei soli diritti tipici inerenti allo statuto del proprietario, lasciando invece alla società ricorrente i correlati oneri, rappresentati da costi, rischi e tasse.
Con il quarto motivo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare la domanda con la quale RAGIONE_SOCIALE aveva eccepito la nullità del rogito del 22.3.2004 anche per carente ed erronea individuazione del bene sul quale incide la servitù.
Infine, con il quinto ed ultimo motivo, la parte ricorrente denunzia l’omesso esame di fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione dell’art. 1065 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare che la società aveva proposto, in subordine, domanda di accertamento della costituzione del diritto di servitù soltanto su parte del lastrico, e
precisamente su quella corrispondente al suo ampliamento realizzato dopo il 1940, e non si sarebbe pronunciata su tale specifica domanda.
I primi due motivi di ricorso, suscettibili di essere trattati congiuntamente, introducono il tema della configurabilità di una servitù di uso perpetuo ed esclusivo di un bene immobile, e la valutazione del suo effetto in termini di ‘svuotamento’ del diritto di proprietà del titolare del bene sul quale il predetto diritto reale minore incide. Tema, questo, il cui esame è preliminare rispetto alla valutazione dei restanti motivi, anche in considerazione del fatto, non irrilevante, che la stessa Corte di Appello afferma che, nel caso di specie, con il rogito del 22.3.2004 sarebbe stata costituita una servitù a contenuto atipico (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Prima di esaminare i motivi di ricorso, tuttavia, occorre evidenziare che all’odierna udienza è chiamato anche il diverso ricorso n. 1552/2022, avente ad oggetto la sentenza n. 3209/2021 della Corte di Appello di Milano, con la quale, a conferma della decisione di primo grado, è stato riconosciuto, a favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, l’acquisto della piena proprietà del lastrico oggetto di causa per usucapione. L’esame di questa distinta impugnazione è preliminare rispetto a quello del presente ricorso, poiché l’eventuale stabilità della statuizione di riconoscimento dell’acquisto per usucapione del diritto di proprietà del lastrico, a favore della COGNOME, renderebbe irrilevante, in applicazione del principio generale secondo cui nemini res sua servit , l’esame della questione concernente la configurabilità, a favore della medesima COGNOME, di una servitù di uso perpetuo ed esclusivo del predetto bene.
Poiché il ricorso avverso la suindicata sentenza n. 3209/2021 della Corte milanese è rigettato, con conseguente effetto confermativo della statuizione di acquisto del diritto di proprietà del lastrico in favore della
COGNOME, diviene irrilevante lo scrutinio dei motivi proposti da RAGIONE_SOCIALE con il presente, distinto, ricorso, tutti attinenti al riconoscimento, in favore della COGNOME, del diritto di servitù di uso perpetuo ed esclusivo del predetto lastrico.
Il ricorso va di conseguenza dichiarato inammissibile per carenza di interesse, in applicazione del principio secondo cui ‘L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice (Cass. Sez. 3, Sentenza n. del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti ‘… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. del 23/12/2009, Rv. 611498). L’eventuale statuizione di nullità della clausola del rogito del 22.3.2004, costitutiva del diritto di servitù di uso perpetuo ed esclusivo oggetto della presente impugnazione, infatti, non precluderebbe comunque alla COGNOME il diritto di esercitare, come proprietaria del lastrico di cui è causa, le medesime prerogative che le erano state attribuite per effetto della convenzione costitutiva del diritto reale minore oggetto della presente impugnazione.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a
titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda