Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8247 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8247 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9091/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2037/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 25/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Il Tribunale di Ragusa, rigettata la domanda di ‘negatoria servitutis’ proposta da NOME COGNOME accolse, per converso,
quella riconvenzionale di NOME COGNOME e NOME COGNOME così dichiarando sussistere una servitù, per destinazione del padre di famiglia, di passaggio attraverso una stradella e quella di attingere acqua da un pozzo.
La Corte d’appello di Catania, accolta l’impugnazione della soccombente attrice, accolse la domanda di ‘negatoria servitutis’.
2.1. Questi, in sintesi, per quel che qui ancora rileva, gli argomenti valorizzati dalla Corte etnea:
con atto notarile del 27/7/2004 NOME COGNOME avente causa dalla madre NOME COGNOME, proprietaria del complessivo compendio fondiario, vendette a NOME COGNOME le particelle 978 e 985, così frazionando per la prima volta il fondo; con l’atto anzidetto venne istituita una servitù di passaggio, con direzione est/ovest e ricadente sulle particelle 982-978-985 e 983;
con atto del 12/10/2004 NOME COGNOME vendette a NOME COGNOME la particella 980 (ex 383d) del f. 86;
con successivo strumento del 21/3/2005 NOME COGNOME vendette il fondo da lui in precedenza acquistato a NOME COGNOME e NOME COGNOME fatta eccezione per la particella 1175, disponendo che il fondo alienato avrebbe goduto della servitù di transito con ogni mezzo gravante sull’anzidetta particella 1175, rimasta in proprietà del venditore;
gli appellati avevano allegato sussistere una servitù, costituita per destinazione del padre di famiglia, che consentiva loro di passare attraverso il fondo della Di Grandi, nonostante godessero di comodo altro accesso alla via pubblica;
con il primo atto del 2004 era stato regolato puntualmente il regime d’accesso alle particelle; successivamente, nel 2005, era stata <>;
-in conclusione, lo stato dei luoghi permetteva l’accesso da nord e la costituzione negoziale da sud impediva l’insorgere della servitù per destinazione del padre di famiglia; inoltre, non era rimasta accertata la specifica e inequivoca destinazione della stradella, sulla quale gli appellati pretendevano di esercitare la servitù, a favore del loro fondo.
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrevano sulla base di cinque motivi, l’intimata resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
I ricorrenti, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, hanno chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 29 ottobre 2024, all’approssimarsi della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., assumendo che l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità.
7.1. la doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
I ricorrenti, piuttosto che spiegare le concrete ragioni per le quali l’impugnazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile ai sensi della norma evocata, si limitano a riportare principi enunciati in materia da questa Corte.
Per contro, la sentenza impugnata ha compiutamente argomentato al fine di affermare che lo strumento era conforme al modello delineato dall’art. 342 cod. proc. civ.
Peraltro, deve ribadirsi che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di ‘revisio prioris instantiae’ del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., Sez. Un., n. 27199 del 16/11/2017; in senso conforme, già Cass. n. 10916/2017; Cass. n. 18932/2016; Cass. n. 20124/2015; Cass. n. 2143/2015; successivamente, Cass. n. 13535/2018 ed ancora Cass., Sez. Un., n. 36481/2022, le quali hanno esteso il principio anche all’impugnazione avverso le pronunce del TRAP dinanzi al TSAP).
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 46 d.P.R. n. 380/2001, 17 l. n. 47/1985 e 934 cod. civ.
Si assume che la Corte d’appello aveva errato a reputare valido <> della Di COGNOME, nonostante fosse pacifico che al moneto del trasferimento del terreno sul fondo insisteva una costruzione abusiva, pur successivamente sanata. Da qui l’asserito difetto di legittimazione attiva non rilevato dalla Corte locale.
8.1. Il motivo è inammissibile.
La controricorrente ha specificamente addotto, riportando i pertinenti passi dello strumento negoziale, di avere acquistato
mediante atto pubblico di transazione e vendita del 12/10/2004 (che aveva definito la vertenza incoata dal venditore davanti alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Modica) solo i 502 mq del terreno, con espressa esclusione del fabbricato.
A fronte di una tale puntuale difesa i ricorrenti non hanno prodotto il titolo in parola.
Di conseguenza, la censura non è scrutinabile.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ., addebitandosi alla sentenza impugnata l’errore di avere escluso la servitù per destinazione, in quanto impedita dalla contraria manifestazione di volontà negoziale. Obiettano che per giungere a una tale conclusione sarebbe occorso accertare la presenza di una esplicita clausola contrattuale in tal senso (citano Cass. nn. 5040/2013, 13534/2011 e 6520/2008).
9.1. Il motivo è in parte infondato e per la restante parte inammissibile.
9.1.1. La Corte territoriale spiega che la servitù costituita col negozio risultava incompatibile con la volontà di far sorgerne altra per destinazione, avente lo stesso scopo.
La giurisprudenza di questa Corte, pur ferma sulla sussistenza del necessario presupposto di una clausola negoziale specifica, ha, tuttavia, riconosciuto che un tal effetto escludente possa ricavarsi dall’incompatibilità dello strumento con la volontà di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto che, in forza della legge, determinerebbe la nascita della servitù (cfr., da ultimo, Cass. n. 4872/2018).
I ricorrenti, al fine di contestare il ragionamento della Corte d’appello, propongono una diversa e alternativa lettura dell’atto, senza individuare le norme sull’ermeneutica negoziale che sarebbero state violate.
9.1.2. Sotto altro profilo, il richiamo all’art. 1062 cod. civ. non coglie nel segno.
Per vero, la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente ( ex multis , Cass., Sez. Un., n. 25573 del 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Inoltre, deve rilevarsi che la doglianza non si misura con l’accertamento di fatto, in questa sede non censurabile, con la quale il Giudice di secondo grado ha constatato l’assenza di opere idonee a dimostrare la inequivoca destinazione della stradella.
Infine, la sentenza, a pag. 11, addebita agli odierni ricorrenti di non avere assolto all’onere probatorio, su loro incombente, di dimostrare che il primigenio unico proprietario fosse a conoscenza delle opere realizzate dai vari detentori dei distinti appezzamenti del fondo e che le avesse condivise. Ratio decisoria, questa, non assoggettata a specifica critica censoria.
Poiché manca una puntuale spendita impugnatoria di tutte le ‘rationes decidendi’, il punto deciso è divenuto intangibile e, pertanto, impermeabile al giudizio di cassazione (cfr., fra le tante,
Cass., Sez. Un., n. 7931 del 29/3/2013; Cass., Sez. L., n. 4293 del 4/3/2016).
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., assumendo che la sentenza non aveva correttamente valutato le risultanze probatorie di causa.
10.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Debbono richiamarsi i consolidati principi a riguardo dei limiti alla denuncia di violazione degli artt. 115 e 116.
È bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. Un., 27/12/2019 n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014 n. 13960 ovvero a Cass. 20/12/2007 n. 26965).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma,
abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 05/08/2016 n. 16598).
Il quinto motivo, con il quale viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 cod. civ., con il quale si sostiene che la sentenza aveva ignorato la sussistenza dei requisiti per la declaratoria d’usucapione della rivendicata servitù (utilizzazione della stradella e opere manutentive), non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Deve richiamarsi quanto esposto in relazione al terzo motivo, al § 9.1.2., poiché, anche in questo caso, i ricorrenti invocano un’impropria alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, siccome ricostruita dalla sentenza impugnata (pagg. 13 e 14).
In conclusione il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Alla declaratoria di rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. Cass., Sez. Un., n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione
temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; condanna, altresì, i ricorrenti al pagamento dell’ulteriore somma di € 3.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ. , nonché della somma di € 2.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda