Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21795 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21795 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3198/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura a margine del ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n.2246/2019 depositata il 24.9.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.6.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nel 2002 NOME COGNOME, proprietario del fabbricato rurale sito in MontepulcianoINDIRIZZO, acquistato da NOME COGNOME e NOME COGNOME con atto del AVV_NOTAIO del 4.1.1990, rep. n.40963, racc. n. 13553, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Montepulciano NOME COGNOME, esponendo che da oltre undici anni transitava a piedi e con mezzi meccanici fino al suo fabbricato, in modo pacifico ed indisturbato dalla via pubblica, attraverso una stradella posta sulla proprietà della convenuta, che l’aveva acquistata dai medesimi venditori con l’atto del AVV_NOTAIO del 31.1.2001, rep. n. 3362, dovendosi quindi considerare titolare del diritto di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia.
Lamentava l’attore che la COGNOME poche settimane prima dell’inizio del giudizio, aveva apposto sulla stradella una catena, sostenuta da paletti, in prossimità del confine con la sua proprietà, che gli impediva l’esercizio del passaggio e ne chiedeva la rimozione.
Si costituiva NOME COGNOME, che contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che sulla sua proprietà non esisteva alcuna stradella e che la reclamata servitù di passaggio non risultava dagli atti di acquisto delle parti e chiamava in causa per rispondere delle spese processuali a suo carico i comuni venditori, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che costituendosi dichiaravano che la COGNOME al
momento dell’acquisto della sua proprietà era perfettamente a conoscenza dell’esistenza su di essa della stradella campestre utilizzata per lavori agricoli da RAGIONE_SOCIALE e negavano quindi qualsivoglia loro responsabilità.
Espletata CTU e sentiti testimoni, il Tribunale di Montepulciano, con la sentenza n. 93/2007, accoglieva la domanda di COGNOME di condanna della COGNOME alla rimozione della catena, qualificando quella esercitata come azione di spoglio.
Impugnata tale sentenza dalla COGNOME, la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1641 del 19.10.2013, riqualificava l’azione come confessoria servitutis, ma riteneva che l’originario attore non avesse fornito prova della servitù invocata, avendo articolato solo una prova volta a dimostrare il possesso della servitù e pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda di COGNOME.
A seguito di tale sentenza uscivano dal giudizio, a seguito di accordo sulle spese processuali, i chiamati in causa COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Impugnata la sentenza di secondo grado dallo COGNOME, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15625 del 14.6.2018, in accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, relativi rispettivamente alla violazione dell’art. 1062 cod. civ. e degli articoli 115 e 116 c.p.c., cassava con rinvio la sentenza di secondo grado, rilevando che la Corte d’Appello di Firenze, una volta qualificata l’azione come actio confessoria servitutis, basata sulla costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, non poteva ritenere puramente e semplicemente irrilevanti le prove proposte solo perché finalizzate alla dimostrazione del possesso della servitù di passaggio, dovendo procedere ad una valutazione del complesso degli elementi acquisiti alla causa, comprese le dichiarazioni rese dai chiamati in causa, e compresa la circostanza che l’atto di acquisto dell’originario attore non rilevava solo ai fini
della legittimazione attiva, in quanto forniva anche prova del fatto che le proprietà delle parti derivavano da una proprietà originariamente unica, poi divisa, dovendosi quindi avere riguardo, ai sensi dell’art. 1062 cod. civ., alla situazione di fatto esistente al momento della separazione delle proprietà delle parti.
Riassunto il giudizio dallo COGNOME davanti alla Corte d’Appello di Firenze, quest’ultima, con la sentenza n. 2246/2019 del 24.9.2019, accoglieva l’impugnazione, confermando la sentenza del Tribunale di Montepulciano n. 93 del 27.4.2007, nella parte in cui aveva ordinato alla COGNOME la rimozione della catena, riqualificando l’azione come azione di accertamento del diritto di servitù di passaggio pedonale e carrabile a favore del fondo dello COGNOME, per destinazione del padre di famiglia, sulla stradella che dalla via pubblica, attraverso la proprietà di COGNOME NOME, perveniva alla proprietà di COGNOME di Montepulciano, INDIRIZZO.
In particolare la sentenza impugnata, tenendo conto che era stato disposto da questa Corte un rinvio restitutorio, considerava che il titolo di acquisto dell’originario attore, oltre che prova della sua legittimazione ad agire, lo era anche della provenienza delle proprietà delle parti da originari unici proprietari, che avevano poi diviso la loro proprietà, e che chiamati in causa in garanzia, avevano negato la propria responsabilità ed avevano dichiarato che il diritto di transito oggetto di causa dipendeva da una situazione di fatto della quale COGNOME NOME aveva conoscenza al momento dell’acquisto del suo fabbricato rurale con terreno. La sentenza impugnata accertava poi che l’acquisto del fondo della COGNOME, avvenuto dopo il frazionamento e la divisione dell’originaria unica proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e dopo la vendita a NOME del fabbricato rurale di INDIRIZZO, era avvenuto quando il fondo risultava attraversato dalla strada utilizzata dallo COGNOME, come confermato dalle testimonianze
acquisite, rilevando che non era necessaria per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, avvenuta sulla base dell’obiettivo stato dei luoghi al momento della divisione dei fondi, un’espressa volontà costitutiva del diritto reale manifestata negli atti di acquisto delle parti.
Avverso tale sentenza, la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi, contrastati con controricorso dallo COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 24 della Costituzione e 101 c.p.c.
Si duole la COGNOME che la Corte d’Appello di Firenze, in sede di rinvio, abbia deciso la causa sulla base delle dichiarazioni rese in sede di costituzione in primo grado dai chiamati in causa, senza indicare preventivamente la questione relativa alle parti e senza sottoporla al loro contraddittorio, benché la parte appellante avesse chiesto l’accoglimento dell’appello sulla base delle prove testimoniali, dei documenti e della CTU espletata, e la parte appellata avesse chiesto il rigetto dell’impugnazione sulla base dei medesimi elementi, senza quindi che alcuna delle parti avesse fatto riferimento alle dichiarazioni rese in sede di costituzione dagli originari unici proprietari dei fondi dello COGNOME e della COGNOME.
Sostiene la ricorrente che da tale vizio procedurale sarebbe derivata la nullità della sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio, in quanto le sarebbe stata preclusa la possibilità di far valere le ragioni concrete di cui al secondo motivo di ricorso, relative al fatto che i comuni venditori chiamati in causa non avevano in realtà riconosciuto l’esistenza della servitù di passaggio sul terreno venduto alla COGNOME a servizio del terreno con fabbricato rurale in
precedenza acquistato dallo COGNOME al momento dell’acquisto della COGNOME nel 2001, avendo solo riferito della realizzazione a quell’epoca di un sentiero campestre da parte di COGNOME NOME, funzionale alla coltivazione dei terreni marginali della proprietà, e non al raggiungimento della via pubblica (INDIRIZZO).
Il motivo é infondato.
Non sussiste, infatti, alcuna omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale sia stata fondata a sorpresa la decisione del giudice di rinvio e che abbia privato i soggetti processuali del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva, con conseguente nullità della sentenza (c.d. “della terza via” o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa secondo i principi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi Cass. ord. 7.3.2024 n. 6161; Cass. sez. lav. 19.7.2023 n. 21314; Cass. ord. 30.4.2021 n. 11440; Cass. 12.6.2020 n.11308; Cass. ord. 5.12.2017 n. 29098). Ed invero, la questione di fatto della valenza probatoria delle dichiarazioni rese nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado dai terzi chiamati in causa, in origine unici proprietari del fondo dal quale, a seguito di frazionamento e divisione, sono derivate la proprietà di COGNOME, acquistata con l’atto del 4.1.1990 del AVV_NOTAIO COGNOME, rep. n. 40963, racc. n.13553, ed in seguito la proprietà di COGNOME NOME, acquistata con l’atto del AVV_NOTAIO del 31.1.2001, rep. n. 3362, era stata posta da COGNOME già alla pagina 7 dell’atto di citazione per la riassunzione del giudizio in sede di rinvio, nonché nel quarto motivo del ricorso presentato a questa Corte nel 2014. E la stessa ordinanza della Suprema Corte n. 15625/2018, che ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 1641 del 19.10.2013, nell’esaminare ed accogliere il terzo ed il quarto motivo di ricorso ha specificamente censurato quella sentenza, oltre che per altre
ragioni, per avere omesso di considerare che ‘ le parti in causa avevano acquistato da comuni danti causa, i quali, chiamati in causa dalla convenuta, si erano costituiti negando la loro responsabilità proprio in base al rilievo che il diritto di transito dipendeva in ipotesi da una situazione di fatto, che la convenuta chiamante ben conosceva ‘. Ne deriva che nessun ulteriore contraddittorio delle parti doveva essere provocato sul punto dal giudice di rinvio, dato che esso era stato già chiamato dalla Suprema Corte a rivalutare nel complesso gli elementi acquisiti in causa, comprese le dichiarazioni rese in sede di costituzione in primo grado dai comuni danti causa delle parti, onde verificarne l’idoneità ai fini della prova della costituzione del diritto di servitù.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 384 e 394 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ..
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio, anziché valutare nel complesso gli elementi acquisiti in causa onde verificarne l’idoneità ai fini della prova della costituzione del diritto di servitù, come richiestole alla pagina 6 dell’ordinanza di questa Corte n. 15625 del 14.6.2018 nel disporre il rinvio, si sia basata, in violazione degli articoli 384 e 394 c.p.c., solo sulle dichiarazioni dei chiamati in causa. Il giudice di rinvio si sarebbe rifatto al contenuto sintetico col quale quell’ordinanza le aveva richiamate, anziché al contenuto completo della loro comparsa di costituzione e risposta, che al contrario evidenziava l’esistenza solo di una strada campestre realizzata da COGNOME NOME per lo spostamento dei mezzi agricoli verso i terreni della proprietà situati ai margini, e non per il raggiungimento della via pubblica, negando quindi l’esistenza di fatto di una servitù di passaggio a favore del terreno con fabbricato rurale di COGNOME
all’epoca della divisione del terreno a lui trasferito, da quello venduto, diversi anni dopo, alla COGNOME. Da ultimo, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte relativa alla necessità del requisito dell’apparenza ai fini dell’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia, non essendo sufficiente l’esistenza di un percorso stradale, ove esso non dimostri, di essere stato realizzato al preciso fine di dare accesso, attraverso il preteso fondo servente, al preteso fondo dominante.
Anche tale motivo é infondato, anzitutto perché non é vero che la sentenza impugnata si sia basata solo sulle dichiarazioni rese in sede di costituzione nel giudizio di primo grado dai chiamati in causa comuni danti causa delle parti, in quanto alla pagina 4 le ha ritenute corroborate dalle risultanze testimoniali acquisite sul possesso della servitù di passaggio pedonale e carrabile da parte di COGNOME, e dagli atti di acquisto delle proprietà delle parti, provenienti, per frazionamento del geometra NOME COGNOME, e divisione, da un’originaria unica proprietà dei comuni venditori RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
Ne deriva che il giudice di rinvio si é attenuto al principio che gli era stato dettato da questa Corte con l’ordinanza n. 15625 del 14.6.2018, di procedere ad una valutazione complessiva degli elementi acquisiti in causa per verificare, posto che le proprietà delle parti derivavano da un’originaria unica proprietà poi suddivisa, per cui era ipotizzabile la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 cod. civ., se alla data della divisione dei fondi esistesse già una strada di collegamento dalla via pubblica, attraverso la particella poi venduta alla COGNOME, che conducesse al terreno con fabbricato rurale di Montepulciano, INDIRIZZO, acquistato da COGNOME il 4.1.1990. Il principio di diritto espresso in quell’ordinanza di legittimità, non privava, comunque, il giudice di rinvio, del potere di valutare, secondo il proprio libero
convincimento, il peso da attribuire ai singoli elementi di prova acquisiti ed alle dichiarazioni rese in sede di costituzione dai comuni danti causa delle parti.
La ricorrente non può inoltre invocare, in questa sede di legittimità, una rivalutazione in punto di fatto delle risultanze istruttorie, allo scopo di ottenere, in contrasto con la ricostruzione plausibile sul punto compiuta dalla Corte d’Appello di Firenze, un accertamento dell’inesistenza, alla data della divisione dei fondi delle parti ad opera degli originari unici danti causa, di un percorso pedonale e carrabile sulla particella della COGNOME, che ne rendesse percepibile, da parte di terzi, la destinazione al passaggio dalla via pubblica ed attraverso quella proprietà, fino al fabbricato rurale di Montepulciano, INDIRIZZO, acquistato da COGNOME.
Col terzo motivo, infine, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, individuati nella CTU del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, negli atti di acquisto delle parti che non contenevano alcun riferimento alla sussistenza della servitù di passaggio e nella testimonianza di COGNOME NOME, ossia in documenti prodotti e prove tipiche acquisite, ai quali il giudice del rinvio non avrebbe attribuito peso ai fini della decisione adottata.
Il motivo é inammissibile, in quanto il controllo previsto dall’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (vedi in tal senso, tra le varie, Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053), né del resto la ricorrente può pretendere da questa Corte, giudice di legittimità, l’attribuzione di un diverso peso probatorio alle risultanze istruttorie invocate al fine di ottenere una ricostruzione di fatto diversa, essendo tale ricostruzione riservata ai giudici di merito nell’esercizio del libero convincimento e sindacabile in questa sede solo per vizi di motivazione.
In conclusione, il ricorso va respinto e le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico della ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella somma di € 200,00 per spese e di €. 4.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20.6.2024
Il Presidente
NOME COGNOME