Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26887 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26887 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18945/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti principali-
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME,
-intimati- nonché sul controricorso incidentale proposto da
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO
INDIRIZZO 5637, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale,
-controricorrente ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.7976/2018 depositata il 13.12.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.10.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME, proprietario dell’appartamento all’interno 3 del fabbricato di Roma, INDIRIZZO, per acquisto in data 3.12.1996 da COGNOME NOME e COGNOME NOME, originariamente unici proprietari dell’intero fabbricato, composto da quattro appartamenti e con circostante giardino, e già venditori nel 1993 a COGNOME NOME e COGNOME NOME dell’appartamento all’interno 1, esponeva che con scrittura privata del 26.11.1996 gli alienanti COGNOMECOGNOME avevano dichiarato che in caso di guasti, gli sarebbe stato consentito il passaggio per accedere ai servizi comuni (fogna, luce, acqua e gas), le cui tubature si trovavano in un’intercapedine sotterranea esistente lungo il perimetro del fabbricato, alla quale si accedeva tramite quattro bocche di lupo presenti all’interno dei giardini delle quattro unità abitative; che inizialmente COGNOME NOME, poiché la bocca di lupo di pertinenza dell’appartamento all’interno 3, posta al confine col giardino dell’interno 1 era stata in precedenza chiusa da COGNOME NOME, che aveva aperto una seconda bocca di lupo sul suo giardino, aveva avuto accesso all’intercapedine dei servizi comuni tramite la bocca di lupo posta nel giardino di pertinenza dell’appartamento all’interno 4, fino a che nel 1998 NOME
NOME e COGNOME NOME non avevano eretto un muro divisorio tra il giardino di competenza dell’interno 4, di loro proprietà, e quello dell’interno 3; che nel 2000 COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano realizzato all’ingresso dell’appartamento dell’interno 1 una tettoia poggiata su due pilastri, distante pochi centimetri dalla sua proprietà, che violava le distanze legali tra costruzioni e dalla veduta esercitata dal suo sovrastante balcone; che le utenze idriche degli appartamenti all’interno 1 e 3 erano state illegittimamente collegate e dotate dal COGNOME di un unico contatore, intestato al COGNOME, che era quindi costretto a pagare forfettariamente la metà dei consumi, pur essendo l’unico abitante dell’interno 3, mentre nell’interno 1 abitava una famiglia di quattro persone, avendo il COGNOME rifiutato di dotarsi di un autonomo contatore benché più volte sollecitato in tal senso.
Per tali ragioni il NOME per quanto ancora rileva, chiedeva di accertare l’esistenza di una servitù di passaggio a favore della sua proprietà per accedere ai servizi comuni all’interno dell’intercapedine interrata e comunque di assicurargli tale diritto, con condanna dei convenuti ad abbattere il muretto posto sulla proprietà NOME, che aveva chiuso la bocca di lupo che consentiva l’accesso all’intercapedine posta al confine tra l’appartamento all’interno 1 ed all’interno 3; di condannare il COGNOME e la COGNOME all’abbattimento della tettoia costruita in violazione della distanza legale dal balcone; di accertare l’illegittima unificazione delle tubature idriche degli appartamenti agli interni 1 e 3 compiuta dal COGNOME, con condanna dello stesso e della COGNOME a ripristinare due utenze separate con autonomi contatori; di condanna dei COGNOME al risarcimento dei danni derivanti dal diniego di apporre un secondo contatore idrico.
Si costituivano nel giudizio di primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, che chiedevano il rigetto delle domande del NOME.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 14987/2013, rigettava le domande del NOME e lo condannava alle spese processuali.
Proposto appello dal NOME, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7976/2018, nella resistenza delle altre parti, accoglieva solo parzialmente l’appello, condannando COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rimozione della tettoia per violazione della distanza legale dal sovrastante balcone, confermava nel resto la sentenza di primo grado, e compensava tra le parti le spese processuali del doppio grado.
La Corte d’Appello riteneva che il NOME non avesse avanzato domanda di costituzione coattiva di servitù di passaggio, ma solo di accertamento della costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, domanda quest’ultima ritenuta infondata, in quanto la chiusura della bocca di lupo esistente tra il giardino del NOME e quello di COGNOME NOME e COGNOME NOME era stata chiusa dal COGNOME poco prima dell’acquisto del NOME del 3.12.1996, e non vi era prova che il muretto divisorio tra il giardino dell’interno 3 e quello dell’interno 4 fosse stato edificato nel 1998, in epoca successiva a quell’acquisto, per cui mancava la prova della permanenza delle opere visibili e permanenti (bocche di lupo) destinate a consentire l’accesso all’intercapedine interrata in cui si trovavano le tubature dei servizi comuni alla data dell’acquisto dell’appartamento all’interno 3 da parte del NOME.
Quanto alla demolizione della tettoia, la Corte d’Appello rilevava che gli articoli 905 e 907 cod. civ. tutelavano il diritto di veduta sotto il profilo dell’ inspectio e della prospectio, accertava che la tettoia di proprietà COGNOME distava appena 20-40 cm in altezza dal sovrastante balcone di proprietà COGNOME, ed impediva la veduta in appiombo, oltre a costituire un indubbio pericolo per l’immobile di quest’ultimo, in quanto in grado di agevolare l’accesso ad esso da parte di eventuali intrusi, e
sottolineava che la legittimità amministrativa della tettoia era irrilevante in tema di distanze legali e che tale manufatto, realizzato senza il preventivo consenso degli altri condomini, necessario per l’appoggio al muro comune del fabbricato, non poteva farsi rientrare nell’uso più intenso del bene comune previsto dall’art. 1102 cod. civ., come invece ritenuto in primo grado, tanto più che non era neppure contenuto nello spazio volumetrico sottostante il balcone del NOME, avendo una volumetria maggiore (come da foto prodotte), mentre non era applicabile l’art. 884 cod. civ. a favore di un immobile distinto dall’edificio comune (Cass. n. 16117/2000).
La Corte d’Appello, infine, confermava il rigetto della domanda di autorizzazione al distacco dall’utenza idrica del NOME e la connessa domanda risarcitoria con la motivazione che era rimasto sfornito di prova il diniego opposto dai condomini COGNOME al distacco dell’utenza idrica del NOME, e che il preventivo dell’RAGIONE_SOCIALE per l’installazione di un nuovo contatore da parte del NOME ed i rilievi fotografici allegati alla CTU erano ininfluenti, avendo il NOME rinunciato ai mezzi di prova ammessi.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso in via principale a questa Corte COGNOME NOME e COGNOME NOME con un unico motivo, ed ha resistito con controricorso e ricorso incidentale autonomo tempestivo COGNOME NOME con quattro motivi, mentre sono rimasti intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il solo NOME ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti principali con l’unico motivo fatto valere lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione ed erronea applicazione dell’art. 1102 cod. civ..
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello abbia ordinato la demolizione della loro pensilina con copertura di tegole, ancorata ai due pilastri ed al muro perimetrale del fabbricato, considerandola manufatto stabilmente infisso al suolo con carattere di solidità, stabilità ed immobilizzazione, soggetto alle distanze legali tra costruzioni ex art. 873 cod. civ. ed alla distanza legale delle costruzioni dalle vedute ex art. 907 cod. civ. rispetto al sovrastante balcone del NOME, così violando l’art. 1102 cod. civ., che consente al partecipante alla cosa comune di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti alla comunione di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
I ricorrenti richiamano in particolare la giurisprudenza di questa Corte, che riconosce che le norme sulle distanze (artt. 873 e ss. cod. civ.) e sulle vedute (art. 900 e ss. cod. civ.) sono applicabili anche ai rapporti tra i condomini, quando le stesse sono compatibili con quelle speciali sulle cose comuni, laddove al contrario, quando, come nel caso di specie, sorga un conflitto, prevalgono queste ultime (Cass. n. 6546/2010; Cass. n. 7044/2004; Cass. n.8978/2003; Cass. n. 15394/2000), ed assumono che nella specie l’uso della cosa comune da parte loro sia avvenuto nell’esercizio dei poteri e nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., non incidendo la pensilina sul diritto di veduta del NOME, poiché dalle foto prodotte risulta solo l’influenza sulla veduta in appiombo, né sulla sicurezza della sua proprietà, e servendo piuttosto l’opera realizzata per tutelare la loro privacy e per preservare la loro proprietà dalle intemperie, oltre a non consentire ai terzi di arrampicarsi, tramite la tubatura posta al centro del muro del fabbricato, fino al balcone del NOME.
Il primo motivo é inammissibile, in quanto i ricorrenti non assumono che la sentenza impugnata abbia erroneamente interpretato il contenuto normativo dell’art. 1102 cod. civ. ed il suo rapporto con le norme dettate in materia di distanze legali tra costruzioni (artt. 873 e ss. cod. civ.) e sulle distanze delle costruzioni dalle vedute (art. 900 e ss. cod. civ.), ma richiedono una diversa valutazione di fatto, non consentita nel giudizio di legittimità, in ordine ai vantaggi derivanti dalla pensilina alla loro proprietà e circa gli effetti pregiudizievoli della medesima sui diritti del NOME, che si sostituisca a quella già compiutamente effettuata dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto che l’opera in questione non abbia rispettato i limiti applicativi dell’art. 1102 cod. civ., per tale ragione applicando le norme sulle distanze legali.
La sentenza impugnata, infatti, alle pagine 9 e 10, ha evidenziato che la pensilina impedisce al NOME la veduta in appiombo dal balcone, che pur sempre rientra nel diritto di veduta in precedenza esercitato dal NOME, e che inoltre il manufatto in questione, che peraltro con la sua volumetria esorbita dalla superficie del sovrastante balcone del NOME, agevola l’accesso di eventuali intrusi all’abitazione del predetto, derivandone quindi un pregiudizio in danno di quest’ultimo in contrasto con l’art. 1102 comma 2° cod. civ., e che COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno realizzato l’innesto della pensilina sul muro comune senza il consenso di tutti gli altri comproprietari, sottolineando l’impossibilità dell’innesto sul muro comune ai sensi dell’art. 884 cod. civ. a beneficio di un immobile di proprietà esclusiva e non comune.
Passando all’esame del ricorso incidentale, col primo motivo il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli articoli 1051 e 1062 cod. civ..
Si duole il COGNOME che l’impugnata sentenza, interpretando la domanda da lui avanzata alle lettere A) e B) dell’atto di citazione di primo grado come mera domanda di accertamento dell’esistenza in favore della sua proprietà di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 cod. civ., volta a garantire il suo accesso, tramite le bocche di lupo presenti nel giardino che circonda il fabbricato, all’intercapedine sotterranea nella quale sono ubicate le tubature dei servizi comuni, come già fatto dal Tribunale di Roma, abbia omesso di pronunciarsi sulla sua domanda alternativa di costituzione coattiva di quella servitù, che aveva riproposto in sede d’impugnazione.
Col secondo motivo il ricorrente incidentale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ. e dell’art. 115 c.p.c., ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Si duole il COGNOME che l’impugnata sentenza abbia escluso la fattispecie acquisitiva della servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 cod. civ., affermando che alla data dell’acquisto dell’appartamento all’interno 3 da parte del COGNOME il 3.12.1996, risultava già inibito l’accesso tramite le bocche di lupo all’intercapedine sotterranea nella quale si trovavano le tubature dei servizi comuni ai quattro appartamenti del fabbricato, in origine di proprietà dei soli COGNOME NOME e COGNOME NOME, in quanto COGNOME NOME aveva poco prima di quell’atto murato la bocca di lupo esistente fra il giardino dell’interno 1 (di proprietà COGNOME) e l’interno 3 (di proprietà NOME), ed in quanto non sarebbe stato provato che il muro divisorio tra il giardino dell’interno 3 ed il giardino dell’interno 4, nel quale ultimo si trovava un’altra bocca di lupo che consentiva l’accesso all’intercapedine sotterranea coi servizi comuni, fosse stato edificato dai coniugi COGNOMENOME nella successiva data del
1998, per cui alla data dell’acquisto del NOME (3.12.1996) non sarebbe provato che sussistesse una condizione di fatto di asservimento che permettesse al NOME di accedere tramite le bocche di lupo del giardino alle tubature dei servizi comuni ubicate nell’intercapedine sotterranea, che si trovava lungo il perimetro del fabbricato.
Lamenta quindi il ricorrente incidentale che la Corte d’Appello abbia erroneamente applicato l’art. 1062 cod. civ., che per verificare se una servitù si sia costituita per destinazione del padre di famiglia per l’esistenza di una condizione di fatto di asservimento resa palese da opere visibili e permanenti, impone di fare riferimento al momento in cui sia cessata l’originaria unica proprietà del fondo diviso (nella specie l’originaria unica proprietà del fabbricato e del giardino circostante, in cui erano ubicate le bocche di lupo che davano accesso all’intercapedine sotterranea contenente le tubazioni dei servizi comuni, in capo ad COGNOME NOME e COGNOME NOME, era cessata pacificamente con la vendita dell’appartamento all’interno 1 a COGNOME NOME e COGNOME NOME nel 1993), e non al successivo momento dell’acquisto del preteso fondo dominante (3.12.1996), per cui nel 1993 non risultava ancora realizzato il muro del COGNOME che aveva coperto la bocca di lupo al confine del giardino dell’interno 1 con quello dell’interno 3.
Aggiunge poi il ricorrente che la Corte d’Appello, nell’indicare come non provata la costruzione del muro divisorio del giardino dell’appartamento all’interno 4 da quello dell’interno 3 nel 1998 ad opera di COGNOME NOME e COGNOME NOME, non aveva considerato due circostanze di fatto decisive oggetto di discussione tra le parti, rappresentate dalla scrittura privata del 22.11.1996, nella quale era previsto che nei tre mesi successivi NOME e COGNOME NOME avrebbero realizzato a proprie spese il muro divisorio tra l’appartamento all’interno 4 e l’appartamento all’interno 3 poi venduto al NOME, e dal fatto che gli stessi COGNOME NOME
e NOME, nella comparsa di risposta depositata il 28.4.2014 nel giudizio di appello, avevano ammesso che quel muro divisorio era stato ultimato nel 1997, e quindi ben dopo la cessazione dell’originaria unica proprietà comune del 1993.
Col terzo motivo il ricorrente incidentale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c..
Si duole il COGNOME che la Corte d’Appello abbia frainteso le domande da lui avanzate alle lettere D) ed E) dell’originario atto di citazione, interpretandole in violazione dell’art. 112 c.p.c. come una domanda di autorizzazione da parte dei COGNOME al suo distacco dall’utenza idrica comune, respinta per la mancata prova del diniego di quell’autorizzazione, anziché come domanda di accertamento dell’illegittima unificazione delle tubature dell’acqua degli appartamenti degli interni 1 e 3 operata dal COGNOME, e di condanna dei COGNOME a ripristinare utenze idriche separate con distinto contatore Acea, posto che l’unica utenza idrica esistente a servizio di entrambi gli appartamenti era stata intestata al COGNOME, che quindi non poteva certo distaccarsi dall’utenza, ed osserva che i COGNOME non avevano mai contestato che fosse stato il COGNOME ad unificare abusivamente le utenze idriche a servizio degli appartamenti all’interno 1 e 3, per cui la Corte d’Appello era incorsa anche nella violazione dell’art. 115 c.p.c..
Col quarto motivo il ricorrente incidentale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., con riferimento alla domanda da lui avanzata alla lettera F) dell’originaria citazione, di condanna dei COGNOMECOGNOME al risarcimento dei danni da lui subiti e da liquidare secondo equità per l’illegittimo diniego di apposizione di un secondo contatore dell’acqua, trattandosi di domanda che era stata respinta dalla Corte d’Appello in ragione della reiezione della domanda di cui
al precedente motivo, e che andava quindi riesaminata a seguito dell’accoglimento di quel motivo.
Ritiene la Corte che debba essere esaminato con priorità il secondo motivo del ricorso incidentale (di cui al precedente punto 3 ), in quanto la Corte d’Appello ha motivato unicamente sulla fattispecie della costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, e non sulla domanda alternativa di costituzione coattiva della medesima servitù, che ha ritenuto non compresa nel thema decidendum, oggetto del primo motivo di ricorso incidentale .
Il secondo motivo é fondato e merita accoglimento, in quanto la Corte d’Appello ha dato un’interpretazione errata del contenuto normativo dell’art. 1062 cod. civ., avendo effettuato la verifica dell’esistenza o meno di una condizione di fatto di asservimento alla data dell’acquisto della proprietà del preteso fondo dominante da parte di COGNOME NOME (3.12.1996), anziché nell’anteriore data (1993) in cui COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano acquistato la proprietà dell’appartamento con giardino all’interno 1, facendo cessare l’appartenenza del fabbricato comprensivo dei quattro appartamenti e del giardino circostante agli originari unici proprietari, COGNOME NOME e COGNOME NOME, pur avendo riconosciuto a pagina 8, che i segni visibili e permanenti, che costituiscono indice inequivoco del peso imposto al fondo servente, devono perdurare fino alla separazione dell’originaria unica proprietà.
La giurisprudenza consolidata di questa Corte sull’art. 1062 cod. civ., infatti, é nel senso che l’accertamento dell’avvenuto acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia implica la verifica del pregresso asservimento di una parte del fondo all’altra, desumibile dalla presenza di opere destinate all’esercizio della servitù, le quali debbono esistere al momento in cui i due fondi
hanno cessato di appartenere all’unico proprietario (vedi in motivazione Cass. 30.9.2020 n. 20873; Cass. 23.6.2015 n.12962). Si rende quindi necessario, in relazione all’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, un nuovo esame della domanda del NOME di accertamento dell’esistenza della servitù di passaggio a favore del suo appartamento all’interno 3 che conduca attraverso il giardino ad una bocca di lupo di accesso all’intercapedine sotterranea in cui sono ubicate le tubazioni dei servizi comuni, che la Corte d’Appello dovrà condurre tenendo conto della situazione esistente quando é per la prima volta cessata l’appartenenza del fabbricato e del giardino circostante agli originari unici proprietari COGNOME NOME e COGNOME NOME nel 1993, e non della situazione di fatto esistente al momento dell’acquisto del NOME (3.12.1996). Restano assorbite sia le doglianze relative all’omessa considerazione delle circostanze di fatto decisive sopra riportate nella descrizione del secondo motivo, sia il primo motivo, relativo alla riproposta domanda alternativa di costituzione coattiva di servitù non esaminata nel merito dalla Corte d’Appello.
Passando ora all’esame del terzo motivo di ricorso incidentale, se ne deve riconoscere la fondatezza, in quanto l’impugnata sentenza, perpetuando il vizio della sentenza di primo grado, ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c..
Il COGNOME, infatti, come puntualmente riportato nel ricorso incidentale e ribadito nell’atto di appello, aveva chiesto alla lettera D) di ” Accertare, ove necessario, l’illegittimità dell’unificazione delle tubature dell’acqua degli appartamenti di cui all’interno 1 e 3, operata dal Sig. COGNOME ” ed alla lettera E) di ” Condannare i Sigg.ri COGNOME e COGNOME al ripristino delle due utenze abusivamente collegate e all’apposizione di idoneo contatore RAGIONE_SOCIALE “, ed aveva allegato, senza contestazioni, di essere l’unico
intestatario dell’utenza idrica a servizio degli appartamenti all’interno 1 e 3, oltre a documentare con varie lettere, indicate in dettaglio nel ricorso, di avere invano richiesto al COGNOME di ripristinare le due autonome utenze idriche da lui abusivamente collegate.
La Corte d’Appello ha però inteso la domanda del COGNOME, in contrasto col dato letterale delle conclusioni surriportate, con la documentazione prodotta e con la logica, dato che pacificamente l’utenza idrica a servizio dei due appartamenti era già intestata al COGNOME, come una domanda di autorizzazione al distacco dall’utenza idrica comune, assolutamente non necessaria, né richiesta, respingendola per la mancanza di prova del fatto che i coniugi COGNOME avessero negato quell’autorizzazione, laddove il COGNOME aveva chiesto piuttosto di accertare che il COGNOME aveva abusivamente ed illegittimamente unificato le utenze idriche a servizio degli appartamenti agli interni 1 e 3, aventi un unico contatore a lui intestato, costringendolo a pagare la metà dei consumi idrici dei due appartamenti, e di ottenere quindi la condanna dei COGNOME al ripristino di utenze idriche separate per i due appartamenti, oltre al risarcimento dei danni da lui subiti oggetto del quarto motivo di ricorso incidentale. Così operando la Corte d’Appello non ha rispettato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c., e non si é pronunciata su tutte le domande avanzate dal NOME.
L’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale fa ritenere assorbito il quarto motivo.
Sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico dei ricorrenti principali in solido, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso principale di COGNOME NOME e COGNOME NOME, accoglie nei termini di cui in motivazione il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale di COGNOME NOME, assorbiti il primo ed il quarto motivo di quel ricorso, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità. Dà atto che sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo a carico dei ricorrenti principali in solido, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.10.2024