Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12968 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12968 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13441/2020 R.G. proposto da :
CONDOMINIO DI COGNOME NOME N. 310 DI PESCARA, in persona del l’a mministratore p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME.
-RICORRENTE- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1473/2019, depositata il 19/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Condominio di INDIRIZZO di Pescara ha evocato in causa l’ RAGIONE_SOCIALE oggi Generali s.p.aRAGIONE_SOCIALE, chiedendo il
risarcimento del danno per l’occupazione del tetto condominiale mediante l’apposizione di un’insegna luminosa.
La società convenuta ha resistito e ha chiesto in via riconvenzionale d i accertare l’acquisto della proprietà del tetto condominiale per usucapione, ovvero la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.
Il Tribunale ha accolto la domanda principale, liquidando il danno e regolando le spese.
Proposto appello dalla società convenuta, la Corte distrettuale ha anzitutto affermato che, avendo l’appellante rimosso l’insegna nel 2009, non poteva ritenersi proposta una vera e propria domanda riconvenzionale di accertamento della servitù, ma una mera eccezione riconvenzionale e che non occorreva integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini. Inoltre, secondo la pronuncia, la servitù di tenere l’insegna era stata validamente costituita ai sensi dell’art. 1062 c.c. a vantaggio dei locali desti nati ad agenzia assicurativa allorquando l’Ina era esclusiva proprietaria dell’intero edificio, successivamente alienato parzialmente a terzi, per cui nessun danno poteva lamentare il Condominio per l’occupazione della porzione comune.
La cassazione della sentenza è chiesta dal Condominio di INDIRIZZO di Pescara con ricorso in quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, si difende con controricorso.
Le parti hanno illustrato le proprie difense con memorie ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 101, 102, 112 c.p.c., 832, 1027, 1062 e 1159 c.c., per aver la Corte territoriale omesso di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini, dovendo ritenersi che la convenuta non avesse semplicemente eccepito l’ acquisto della
servitù, ma avesse proposto una vera e propria domanda riconvenzionale, come già accertato con pronuncia passata in giudicato, dal Tribunale.
Il motivo è inammissibile.
Non ha alcun effetto concreto stabilire se l’Ina avesse proposto una mera eccezione riconvenzionale anziché una domanda di accertamento della servit ù, potendo anche l’ecc ezione paralizzare la domanda risarcitoria e non configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti i condomini.
La domanda di accertamento dell’acquisto o dell’ esistenza di una servitù gravante su un bene condominiale (art. 117 c.c.) da parte del singolo non incide sul diritto di condominio (accrescendolo o riducendolo, con proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati), e può esser proposta verso l’amministratore ai sensi dell’art. 1131 c.c., norma che deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la costituzione in giudizio del Condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei titolari delle proprietà esclusive (Cass. 21506/202; Cass. 4871/2014; Cass. Cass. 1485/1996; Cass. 919/2004; Cass. 2010/1987; Cass. 6396/1984).
2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027, 1031 e 1062 c.c. e 112 c.p.c. e l’ omesso esame e l’ omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte d’ appello dichiarato la costituzione della servitù pur in assenza di specifica indicazione, da parte dell’appellante , della porzione di fondo servente e del fondo dominante, non potendo considerarsi l’insegna un bene immobile.
Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 101, II comma, c.p.c. e dell’art.112 c.p.c. per aver e la Corte territoriale posto alla base della decisione fatti non allegati dalle parti, avendo accertato d’ufficio che la servitù insisteva sulla porzione di terrazzo
occupato dall’insegna in favore degli appartamenti di proprietà della compagnia assicurativa.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027 e ss., 1062 e 1140 c.c., assumendo che la Corte territoriale abbia riconosciuto una servitù atipica in difetto del requisito della predialità e in assenza di dimostrazione dell’utilità fondiaria e di un duraturo asservimento.
I tre motivi sono infondati.
Nessuna soluzione a sorpresa è stata adottata, né il giudice ha riconosciuto esistente un diritto fondato su fatti diversi da quelli dedotti.
Il tema della costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia era stata oggetto delle allegazioni già esaminate dal Tribunale (cfr. sentenza, pag. 6 e ss.) e solo riproposte in appello, con esauriente descrizione dei fatti giustificativi già svolta in primo grado (l’alterità dei fondi, il carattere prediale dell’utilità a vantaggio degli immobili Ina (essendo l’insegna solo opera apparente per l’esercizio della servitù dell’insegna) , l ‘individuazione dell’area asservita, coincidente con il luogo di collocazione dell’insegna, l’apposizione dell’insegna prima della costituzione del condominio, coincidente con la prima vendita di parte delle unità immobiliari.
L ‘individuazione dei requisiti essenziali per la costituzione del diritto era questione da cui non era dato prescindere, rientrando nel tema di causa del cui esame era investito il giudice distrettuale. L’eccezione di usucapione era tempestiva poiché implicitamente proposta con la domanda riconvenzionale, senza pregiudizio per le ragioni difensive del Condominio, essendo rimasti immutati sin dal primo grado i fatti dedotti a fondamento delle difese della società. Nel merito la sentenza ha evidenziato che l’Ina aveva alienato l’edificio conservando la proprietà di taluni locali e che la possibilità di mantenere l’ insegna sul lastrico comune -che la sentenza ha
ritenuto oggetto di una vera e propria servitù -era a vantaggio delle porzioni rimaste in titolarità della società, condomina dell’edificio.
Ha chiarito che il fondo dominante era proprio l’unità esclusiva a destinazione commerciale -senza configurare una servitù aziendale, ma un peso a diretto favore dell’immobile, strumento di attività imprenditoriale, nel rispetto al requisito di predialità – mentre la porzione di fondo gravata era coincidente con la parte del lastrico comune su cui la struttura era stata installata prima della costituzione del condominio, risalente all’ effettuazione della prima vendita di una porzione separata.
La sentenza ha spiegato che l ‘utilità interessava direttamente le porzioni immobiliari (esclusiva e comune), nel rispetto del requisito dell’apparenza dell’opera funzionale alla servitù (l’insegna) .
Nessun limite derivava dal principio neminem res sua servit (Cass. 734/1986; Cass. 3749/1999).
Quanto al carattere atipico dell’utilità, la formula dell’art. 1027 c.c., secondo cui la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo, appartenente ad un diverso proprietario, non tipizza – in modo tassativo – le utilità suscettibili di concretizzare il contenuto della servitù, ma si limita a stabilire le condizioni che valgono a distinguere queste ultime dai rapporti di natura strettamente personale, non derivando alcun ostacolo dal principio di tassatività dei diritti reali, il quale si connette alle connotazioni strutturali della situazione di vantaggio esercitabile erga omnes ed è indipendente dal contenuto di quest’ultima.
Per l’esistenza di una servitù non rileva la natura del vantaggio ma il fatto che esso sia concepito come qualitas fundi in virtù del rapporto di strumentalità e di servizio tra gli immobili, in modo che l’incremento di utilizzazione che ne consegue deve poter essere fruito da chiunque sia proprietario del fondo dominante (Cass. 505/1974; Cass. 2413/1982; Cass. 9232/1991).
La pronuncia ha – nei fatti -ritenuto configurabile una servitù industriale, qualificazione che non va intesa in senso rigoroso, avendo riferimento non alla sola trasformazione di materie prime o di energia ma ad attività diversa dalla coltivazione ed utilizzazione diretta del fondo, sicché essa può ricorrere anche nel caso di destinazione del fondo ad attività commerciale, artigianale, artistica o professionale (Cass. 11064/1994).
3.Il ricorso è, quindi, respinto con aggravio di spese nel rispetto del principio di soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre3 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in €. 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre a iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione