Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25965 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25965 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15682/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME , (C.F. CODICE_FISCALE) residente in INDIRIZZO, ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, C.F. CODICE_FISCALE, PEC EMAIL, fax NUMERO_TELEFONO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, C.F. CODICE_FISCALE, PEC EMAIL n. fax NUMERO_TELEFONO, del Foro di RAGIONE_SOCIALE, con studio in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
Comune RAGIONE_SOCIALE (c.f. P_IVA), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (c.f.
CODICE_FISCALE) dell’RAGIONE_SOCIALE, come da procura speciale redatta su supporto analogico del quale è stata estratta copia informatica per immagine allegata al messaggio di posta elettronica certificata con il quale si esegue la notifica del presente atto, con elezione di domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (c.f. CODICE_FISCALE). Si dichiara di voler ricevere le comunicazioni ai seguenti numeri di fax: NUMERO_TELEFONO o per posta elettronica certificata ai seguenti indirizzi: EMAIL; EMAIL.
Controricorrente
nonché contro
Società riscossioni – RAGIONE_SOCIALE .
Intimata Non costituita
avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n° 302 depositata il 18 marzo 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 .-Con sentenza n° 302 del 18 marzo 2021 la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in riforma della sentenza del tribunale, accoglieva l’impugnazione proposta dal Comune di quella città e dichiarava NOME COGNOME debitore del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche relativo agli anni 2014 e 2015 per l’intercapedine e due bocche di lupo poste sul marciapiedi di INDIRIZZO e INDIRIZZO.
2 .-Per quello che qui ancora rileva, ed in estrema sintesi, osservava la Corte che la concessione rilasciata dal Comune su istanza dell’amministratore del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, non volturata dopo lo scioglimento del predetto
RAGIONE_SOCIALE (avvenuto nel 2014), non costituiva acquiescenza o riconoscimento delle ragioni dell’Ente territoriale.
Dal rogito del 14 gennaio 1937, col quale il terreno di sedime era stato compravenduto tra privati, emergeva che l’area privata comprendeva anche quella destinata a sede stradale.
Nondimeno, pur non essendo stato prodotto il successivo atto di cessione delle aree stradali di INDIRIZZO e di INDIRIZZO al Comune, non era contestato in causa che all’ente territoriale tali aree fossero state cedute in proprietà e che la parte cedente non si fosse riservata -né avesse ottenuto dal Comune -diritti reali o personali giustificativi dell’occupazione di suolo pubblico.
La Corte dichiarava pertanto dovuto dal COGNOME il canone di occupazione per gli anni 2014 e 2015.
3 .- Ricorre per cassazione NOME COGNOME, affidando il gravame a tre motivi.
Resiste il Comune di RAGIONE_SOCIALE, che conclude per la reiezione dell’impugnazione, mentre la RAGIONE_SOCIALE non si è costituita, benché ritualmente intimata.
Le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. civ.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .-Col primo motivo il ricorrente eccepisce la nullità del procedimento e della sentenza che lo ha concluso per mancanza di integrità nel contraddittorio, nonché per violazione o falsa applicazione dell’art. 14 del Dlgs n° 546/1992.
La Cosap 2014 e 2015, nella misura richiesta dal Comune, sarebbe stata calcolata su tutta l’intercapedine giacente sull’intero marciapiede antistante il basso fabbricato compreso fra INDIRIZZO e INDIRIZZO, la cui proprietà sarebbe ripartita fra più intestatari (NOME COGNOME, NOME
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, oltre alla RAGIONE_SOCIALE di NOME NOME).
Pertanto, dato che l’opposizione dell’odierno ricorrente non era limitata ad escludere la sua porzione di debito, ma a contestare alla radice i presupposti dell’applicazione del canone per tutto il fabbricato, invocando una pronuncia a favore di tutti i proprietari dello stabile, considerati debitori in solido dal Comune, tutti i comproprietari erano litisconsorti necessari.
Essendo mancato un ordine di integrazione del contradditorio, ne derivava la nullità assoluta del procedimento, rilevabile in ogni stato e grado ed anche d’ufficio.
5 .- Il motivo è inammissibile.
Anzitutto, esso è privo di autosufficienza.
La questione (ossia la contestazione dei presupposti per l’applicazione del canone per tutto lo stabile) non risulta trattata nella sentenza impugnata.
Ora, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 32804/19).
Il COGNOME, pertanto, avrebbe dovuto trascrivere nel ricorso (almeno nei passaggi essenziali) la citazione e gli altri atti del giudizio di primo grado, dai quali questa Corte avrebbe potuto desumere se l’opposizione contro il Comune riguardava la
sussistenza dei presupposti stessi per l’applicazione del prelievo, ossia la totale inesistenza di un’occupazione di suolo pubblico.
È, infatti, evidente che -a tutto concedere -solo in tal caso si sarebbe potuto disquisire di litisconsorzio necessario tra tutti i destinatari delle pretese del Comune, posto che l’accertamento della sussistenza o dell’insussistenza di tale presupposto non avrebbe potuto portare a decisioni contrastanti nei confronti dell’uno o dell’altro intimato.
In ogni modo, secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di obbligazioni solidali -pur se di regola, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ., la solidarietà passiva non determina una situazione di litisconsorzio necessario, nemmeno in sede di impugnazione, in quanto i rapporti giuridici restano distinti, anche se fra loro connessi, rimanendo perciò sempre possibile la scissione del rapporto processuale -quando le controversie siano tra loro dipendenti, ovvero quando le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, viene a configurarsi una situazione di inscindibilità di cause e, quindi, di litisconsorzio processuale necessario ( ex multis : Cass. 34899/2022, con menzione di altri precedenti).
Nulla di tutto ciò è emerso in causa, dato è lo stesso COGNOME ad affermare nel ricorso (pagina 5 e pagina 7) che la contestazione ha avuto un profilo diverso: l’intimato, infatti, ha lamentato che il canone richiestogli fosse stato calcolato sull’intera area occupata e non, invece, sulla sua sola proprietà.
Posto così, il tema è, allora, come correttamente fa osservare il Comune, quello della possibilità per l’Ente territoriale, nel caso di occupazione attribuibile a più soggetti (punto della decisione che non è stato impugnato), di recuperare il canone da uno solo degli occupanti.
Quesito al quale va sicuramente data risposta affermativa, sol che si consideri che -come rileva il Comune -l’art. 3 del Regolamento
Cosap prevede che, in caso di uso comune di suolo pubblico, gli occupanti sono obbligati solidali ed il Comune può agire contro uno solo di essi, salvo il regresso di quest’ultimo contro i consorti.
In conclusione, non essendovi dipendenza tra i vari rapporti obbligatori dei debitori del canone, la mancata partecipazione di un condebitore al giudizio non determina la nullità del procedimento e tantomeno della sentenza.
6 .- Col secondo mezzo -formulato per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo -il COGNOME si duole della violazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n° 3 cod. proc. civ. e dell’art. 63 d.lgs. n° 446/1973 ( recte : 1997) in combinato disposto con l’art. 1 del regolamento del comune di RAGIONE_SOCIALE istitutivo del canone e delle norme connesse.
Deduce che la Corte d’appello aveva erroneamente preteso da esso ricorrente la prova che, al momento della cessione del suolo stradale, il RAGIONE_SOCIALE o i singoli Condomini si fossero riservati un diritto reale o personale di mantenere le intercapedini, o, comunque, che tale diritto reale o personale fosse stato attribuito o riconosciuto dal Comune.
Per contro, era evidente che la presenza dei manufatti anteriormente all’assoggettamento a pubblico passaggio comprovava la sussistenza di tale diritto e l’insussistenza del presupposto per il prelievo.
Col terzo motivo il COGNOME lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n° 3 cod. proc. civ. La Corte lo aveva erroneamente gravato di provare la sussistenza di diritti privati limitativi del diritto di proprietà acquisito dal Comune, mentre era quest’ultimo a dover dare la prova dei fatti costitutivi del prelievo.
Era dunque l’Ente territoriale a dover provare non solo di aver acquisito l’area in questione, ma anche di averla ricevuta libera da ogni peso.
7 .- I motivi sono fondati nel senso che segue.
La Corte territoriale (sentenza, pag. 7, righe 9-17) ha ricompreso fra le questioni poste in causa quella se avesse o meno rilevanza l’eventuale preesistenza dei manufatti attraverso i quali si attua l’occupazione rispetto alla concreta destinazione a uso pubblico del suolo sul quale gli stessi insistono; ha poi dato per pacifica l’esistenza della intercapedine delle bocche di lupo pertinenti al basso fabbricato insistenti sui marciapiedi di INDIRIZZO e INDIRIZZO.
Nell’esaminare la predetta questione di rilevanza della preesistenza dei manufatti, alla pagina 10, la Corte di appello ha affermato che il protrarsi dell’occupazione, dopo l’acquisizione alla mano pubblica, integrava il presupposto per l’applicazione del COSAP, se la stessa non era accompagnata da un titolo che la sottraesse alla pretesa; ciò perché (pag. 10, ultimo capoverso) non hanno rilevanza le situazioni di mero fatto non inquadrabili nell’ambito di un diritto già esistente o acquisito e riconosciuto e disciplinato contestualmente e successivamente alla cessione a favore dell’Ente pubblico.
Principi questi del tutto corretti e condivisibili.
La Corte territoriale ha però aggiunto che non occorreva verificare se intercapedine e bocche di lupo fossero state realizzate prima della cessione del terreno, poi divenuto sedime di INDIRIZZO e INDIRIZZO, ma piuttosto se gli atti negoziali di cessione contenessero una riserva a favore del RAGIONE_SOCIALE o di singoli condomini di diritti reali e personali. La Corte territoriale ha poi fatto riferimento ad un rogito di compravendita tra privati del 14.1.1937 anteriore sia alla edificazione del RAGIONE_SOCIALE, sia alla realizzazione delle strade non ancora materialmente costruite (sentenza, pag. 12, secondo capoverso); rogito che prevedeva appunto la futura destinazione dei sedimi a strade.
Quindi la Corte subalpina, pag. 13, ha ritenuto ininfluente accertare se i fabbricati e i manufatti per cui è causa fossero stati realizzati prima della cessione delle aree divenute INDIRIZZO e INDIRIZZO al Comune di RAGIONE_SOCIALE, perché era pacifico che il Comune era divenuto proprietario di quei sedimi (anche se non era stato prodotto in causa il relativo atto) e perché l’attuale ricorrente non aveva allegato e dimostrato documentalmente che i proprietari cedenti si fossero riservati diritti di natura reale o personale all’atto della cessione che giustificassero il mantenimento dei manufatti (sentenza, pag.11, capoverso).
Tale conclusione non può essere condivisa alla stregua dell’art. 1062 cod. civ. correttamente invocato dal ricorrente.
La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi erano stati posseduti dallo stesso proprietario e costui ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù, purché (art. 1061, comma 2, cod. civ.) vi siano opere permanenti e visibili destinate al suo esercizio.
Il secondo comma dell’art. 1062 cod. civ. aggiunge che, se i due fondi cessano di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende costituita attivamente e passivamente a favore e a carico dei fondi separati.
Queste premesse consentono di porre in luce l’errore commesso dalla Corte di appello nel ritenere irrilevante l’accertamento dell’eventuale preesistenza dei manufatti alla cessione al Comune delle aree, comunque avvenuta (con atto di cessione non prodotto o mediante dicatio ad patriam, o ancora altrimenti).
Posto che le opere in questione sono evidentemente manufatti permanenti e visibili destinate all’esercizio della servitù in modo oggettivo, il silenzio del titolo di acquisto da parte del Comune avrebbe dovuto, in caso di effettiva preesistenza, essere risolto a
favore della attuale ricorrente e non contro di essa per la presunzione sancita dalla norma citata.
Il rogito del 1937 è stato poi menzionato dalla Corte solo per desumerne che in un momento immediatamente precedente l’edificazione degli immobili e pure antecedente la cessione delle aree integranti le INDIRIZZO Trecate era già prevista la destinazione del sedime a sede stradale: si trattava però di mero impegno tra privati, a cui era estraneo il Comune, e non della cessione effettiva, secondo il contenuto dell’atto e quanto la stessa Corte di appello espone.
Trattasi poi di applicazione della regula iuris , suscettibile di effettuazione anche d’ufficio, una volta che i fatti rilevanti fossero, come erano, stati tempestivamente dedotti dalla parte in causa.
8 .- In conclusione, la sentenza va cassata e rimessa alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE per nuovo esame.
Alla medesima Corte va pure rimessa la liquidazione delle spese del presente giudizio.
p.q.m.
la Corte rigetta il primo motivo e in accoglimento del secondo e del terzo, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 24 settembre 2024, nella camera di consiglio