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Servitù padre di famiglia: la forma è essenziale

Una controversia tra fratelli su due ingressi, originata da un presunto accordo verbale, arriva in Cassazione. La Corte ribadisce che la servitù per destinazione del padre di famiglia sorge dalla presenza di opere visibili al momento della divisione, a prescindere dall’uso precedente. Sottolinea inoltre che la rinuncia a tale diritto richiede inderogabilmente la forma scritta, rendendo nullo qualsiasi patto verbale o successiva missiva confermativa. La sentenza impugnata viene cassata con rinvio.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Servitù per destinazione del padre di famiglia: la forma scritta è cruciale per la rinuncia

Un accordo verbale può bastare per rinunciare a un diritto di passaggio? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4646/2024, torna a fare chiarezza su un tema centrale del diritto immobiliare: la servitù per destinazione del padre di famiglia. La vicenda, nata da una disputa tra fratelli a seguito di una divisione ereditaria, dimostra come la presenza di opere visibili e la forma degli atti siano elementi decisivi, capaci di prevalere su accordi verbali e impegni successivi non formalizzati.

I fatti: la disputa tra fratelli dopo la divisione

Il caso ha origine dalla domanda di una sorella nei confronti del fratello, volta a ottenere la chiusura di due ingressi presenti sul fabbricato di quest’ultimo e affacciati sulla sua proprietà. Secondo l’attrice, il fratello si era impegnato verbalmente a chiudere tali aperture al momento della divisione dei beni, impegno poi ribadito in una lettera.

Il fratello si opponeva, sostenendo l’esistenza di una servitù di passaggio costituita per destinazione del padre di famiglia, ovvero per il fatto che, prima della divisione, esistevano opere visibili (le porte e una pavimentazione) che asservivano una parte del fondo all’altra. In subordine, chiedeva l’accertamento dell’acquisto del diritto per usucapione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione alla sorella, condannando il fratello alla chiusura dei varchi. La Corte d’Appello, in particolare, escludeva la costituzione della servitù perché l’originario proprietario non aveva mai utilizzato quei passaggi, preferendone un altro, e perché le opere non erano sufficientemente visibili e permanenti.

L’analisi sulla Servitù per destinazione del padre di famiglia

La Corte di Cassazione ribalta completamente la prospettiva. Il punto focale, secondo i giudici, non è l’intenzione o l’utilizzo effettivo da parte del precedente proprietario, ma la situazione oggettiva dei luoghi al momento della divisione. La servitù per destinazione del padre di famiglia si costituisce ope legis (cioè per effetto diretto della legge) quando esistono due condizioni:

1. Opere visibili e permanenti: Devono esserci segni manifesti (come porte, strade, acquedotti) che rivelino in modo inequivocabile la relazione di servizio tra due parti del fondo, destinata a durare nel tempo.
2. Mancanza di una volontà contraria: Nell’atto di divisione o di vendita non deve essere presente una clausola che escluda esplicitamente la costituzione della servitù.

La Cassazione chiarisce che è irrilevante se l’originario proprietario usasse o meno quel passaggio. Ciò che conta è che le opere esistessero prima della divisione e che creassero un oggettivo asservimento di una porzione di immobile a favore dell’altra. La Corte d’Appello ha quindi commesso un errore nel basare la sua decisione sulle testimonianze relative all’uso, invece di esaminare la documentazione (come l’atto di frazionamento) che poteva attestare la presenza delle opere.

L’errore della Corte d’Appello e la necessità della forma scritta

Il secondo grave errore della Corte territoriale è stato quello di ritenere valido l’impegno verbale del fratello a chiudere le porte, considerandolo provato sia dalle testimonianze sia da una lettera successiva alla divisione.

La Cassazione è categorica su questo punto: la rinuncia a un diritto di servitù, essendo un diritto reale immobiliare, richiede la forma scritta ad substantiam, ovvero a pena di nullità, come previsto dall’art. 1350, n. 5 del Codice Civile.

Un accordo verbale è giuridicamente nullo e non può produrre alcun effetto. Di conseguenza, né la prova per testimoni né una successiva lettera che si limiti a confermare un accordo verbale nullo possono sanare il difetto di forma. Un documento scritto, per essere valido, deve contenere la volontà attuale delle parti di estinguere il diritto e non può limitarsi a riconoscere un precedente patto orale.

Le motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su due pilastri giuridici.

Primo, la natura oggettiva della servitù per destinazione del padre di famiglia. Questo diritto sorge dalla situazione di fatto dei luoghi, non dalla volontà o dal comportamento del precedente proprietario. La Corte d’Appello avrebbe dovuto concentrarsi sull’esistenza delle porte e della pavimentazione in cemento prima della divisione, elementi che, secondo il ricorrente, erano documentati fotograficamente e graficamente.

Secondo, il rigoroso formalismo richiesto per gli atti dispositivi di diritti reali immobiliari. La legge impone la forma scritta per garantire la certezza dei traffici giuridici e la ponderazione delle decisioni delle parti. Ammettere una rinuncia verbale a una servitù significherebbe eludere questa fondamentale esigenza di certezza. Una lettera che conferma un precedente accordo verbale nullo è, a sua volta, inefficace, poiché non può ‘sostituire’ il titolo costitutivo (o, in questo caso, estintivo) mancante.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà attenersi al principio di diritto enunciato: “la rinuncia al diritto di servitù deve rivestire, ai sensi dell’art. 1350 n. 5 cc, la forma scritta, sotto pena di nullità, e non può quindi risultare da fatti concludenti né può essere provata con testi o da un atto di ricognizione o di accertamento”.

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: negli accordi immobiliari, la forma non è un dettaglio, ma la sostanza stessa della validità dell’atto. Le promesse verbali, anche se fatte in buona fede tra parenti, non hanno valore legale quando la legge impone il nero su bianco.

Quando si costituisce una servitù per destinazione del padre di famiglia?
Si costituisce automaticamente (ope legis) quando un fondo, originariamente appartenente a un unico proprietario, viene diviso e al momento della divisione esistono opere visibili e permanenti (es. porte, strade) che asservono una parte del fondo all’altra, a condizione che nell’atto di divisione non sia specificata una volontà contraria.

È necessario che il precedente proprietario utilizzasse effettivamente il passaggio perché si costituisca la servitù?
No. Secondo la Corte, l’utilizzo effettivo da parte dell’originario proprietario è irrilevante. Ciò che conta è la presenza oggettiva di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù al momento della separazione dei fondi.

Si può rinunciare a un diritto di servitù con un accordo verbale o una semplice lettera?
No. La rinuncia a un diritto di servitù deve avere la forma scritta a pena di nullità (art. 1350 n. 5 c.c.). Un accordo verbale è nullo e non può essere provato tramite testimoni. Anche una lettera che si limita a confermare un precedente accordo verbale nullo non è sufficiente a estinguere il diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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