Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8982 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8982 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25362/2020 R.G. proposto da: ll’avvocato
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA n. 1996/2019 depositata il 29/11/2019.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Vasto, con la sentenza n. 488/2014 del 3.12.2014, emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., dichiarata cessata la materia del contendere tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, rigettava la domanda dal predetto proposta nei confronti di NOME COGNOME per l’accertamento negativo della servitù di passaggio sul suo fondo in favore del fondo della convenuta, sito in Comune di Scerni, INDIRIZZO Marrollo, descritto al Catasto Terreni al foglio 26 part. 291. Lo stesso Tribunale accoglieva la contrapposta domanda riconvenzionale di NOME COGNOME e dichiarava l’acquisto della servitù di passaggio a favore del fondo della stessa, ai sensi dell’art. 1062 c.c., sui terreni siti nel predetto Comune, descritti al Catasto Terreni al foglio 26 partt. 290 (in comproprietà indivisa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME), 291 (di proprietà di NOME COGNOME) e 451 di proprietà di NOME COGNOME).
Il Tribunale di Vasto riteneva dimostrata, all’esito della prova testimoniale, la circostanza per cui i terreni oggetto del passaggio a favore del fondo di NOME fossero appartenuti da tempo immemorabile ad un unico proprietario e all’interno della proprietà esisteva una strada che, partendo dalla strada comunale, attraversava i terreni sopra indicati arrivando a quello individuato con la part. 292 e al terreno retrostante al l’ abitazione.
In seguito alla divisione compiuta dagli aventi causa dell’originario proprietario – per effetto della quale a NOME COGNOME era stata attribuita la part. 291, a NOME COGNOME la part. 451 e a NOME COGNOME la part. 291 – si era dunque costituita, sul fondo della stessa COGNOME -la servitù per destinazione del padre di famiglia. Peraltro, secondo il Tribunale, la medesima
NOME aveva comunque diritto alla costituzione in favore del proprio fondo della servitù coattiva ai sensi dell’art. 1054 c.c., atteso che il fondo era divenuto intercluso proprio per effetto della divisione.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame.
La Corte di Appello di L’Aquila rigettava l’appello. In particolare, la Corte territoriale evidenziava che in ordine alla dimostrazione dei presupposti per la servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, dalle dichiarazioni testimoniali specificamente richiamate dal Tribunale di Vasto nella sentenza impugnata – in particolare dalla dichiarazione della teste NOME COGNOME – erano chiaramente e univocamente emerse l’esistenza e l’uso della strada sopra indicata, secondo lo stato di fatto presente fin da quando i fondi erano di proprietà di COGNOME NOME, quindi fin da prima della divisione disposta da suoi aventi causa.
Dunque, tali circostanze si riferivano anche allo stato dei luoghi esistente nel momento in cui i due fondi avevano cessato di appartenere al medesimo proprietario e, pertanto, costituivano il presupposto per la costituzione della servitù, ai sensi dell’art. 1062 c.c.
Non si poteva attribuire alcun rilievo alla querela prodotta dall’appellante in ragione della sua inammissibilità, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., atteso che tale documento si era formato nel corso del giudizio di primo grado.
Inoltre, non risultava alcuna contraria volontà dagli atti pubblici di divisione da parte del proprietario dei due fondi al
momento della loro separazione anzi risultava che i beni oggetto della divisione erano stati assegnati con tutti i diritti e servitù inerenti e con il possesso immediato. Le considerazioni esposte in ordine all’effettiva ricorrenza dei presupposti per la dichiarazione dell’esistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia rendevano superfluo lo specifico esame del terzo motivo dell’appello, concernente l’interclusione del fondo dell’odierna appellata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
NOME ha resistito con controricorso
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c. – art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. – in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. nella parte in cui non è stata presa cognizione della natura dei terreni e da sottoporre al regime di servitù.
Il ricorrente ritiene che la Corte d’Appello di L’Aquila, come peraltro anche il Tribunale di Vasto, non abbia esaminato e valutato il fatto decisivo, pur dedotto in giudizio, secondo il quale, tanto al dante causa (NOME COGNOME) che all’avente causa (NOME COGNOME) i terreni appartenessero non già in qualità di proprietari, ma quali livellari per vincolo di uso civico.
Il AVV_NOTAIO a quo , quindi, non avrebbe esaminato, o avrebbe mal valutato, la documentazione in atti, costituita dalle certificazioni catastali riguardanti i terreni in questione, attestanti
il diritto di uso civico del Comune di Scerni; avrebbe altresì omesso, o mal valutato, la circostanza che l’esponente stesse agendo in qualità di proprietario esclusivo dell’area che si intendeva asservire, avendola affrancata dal vincolo di uso civico.
L’azione di COGNOME NOME volta al riconoscimento della servitù ex art. 1062 c.c. era inammissibile non possedendo ella, come pure il suo dante causa, il diritto di proprietà del terreno ritenuto dominante. Gli atti di trasferimento di beni appartenenti al demanio pubblico, in questo caso dovuti a successione mortis causa , ovvero a divisione per atto pubblico, sarebbero affetti da nullità assoluta e non relativa per impossibilità dell’oggetto che, ai sensi dell’art. 1421 c.c., può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
L’esistenza di un uso civico sul terreno oggetto della domanda di servitù di passaggio, contrapposta a quella di negatoria servitutis originariamente proposta dal ricorrente, non risulta circostanza dedotta in giudizio e discussa tra le parti e non è presa in considerazione dalla sentenza impugnata.
Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte : «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di
legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 61, Ord n. 15430 del 2018).
Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).
D’altra parte , nel caso in esame la sentenza impugnata in questa sede è conforme a quella di primo grado, e il ricorrente non risulta neanche aver formulato un motivo di appello sulla demanialità del bene, questione appunto sollevata per la prima volta in questa sede.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c. – art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.- in relazione all’art. 9 della l. n. 1766 del 1927.
La Sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila a vrebbe prodotto l’effetto di costituire un diritto reale di servitù di passaggio, a
servizio di un terreno demaniale, su iniziativa di un soggetto non legittimato a chiederlo.
In ragione di quanto esposto al punto precedente, si lamenta l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie disciplinata dall’art. 1062 c.c. di costituzione di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia.
Secondo la sentenza impugnata i fondi – in origine goduti da un unico soggetto – a seguito di divisione, avrebbero conservato le modalità di possesso del dante causa. E ciò nell’errato presupposto che tali beni fossero in proprietà esclusiva del “padre di famiglia”, con la conseguenza che questi avrebbe esercitato un atto dispositivo, in realtà non consentitogli, dunque, difetterebbero i presupposti di legge che avrebbero, secondo il Giudicante, prodotto l’effetto costitutivo.
Il dante causa NOME COGNOME (padre del ricorrente e di NOME COGNOME) non era proprietario delle Particelle 290, 291 e 451, bensì livellario mentre proprietario era il Comune di Scerni.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura mescola elementi di fatto con elementi di diritto e, per quel che è dato comprendere, è sostanzialmente ripetitiva del motivo precedente circa la proprietà in capo al Comune del terreno successivamente oggetto di divisione e, dunque, ne segue la medesima sorte di inammissibilità per novità della questione.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – clausola pattizia di ricognizione di servitù a carico della proprietà di NOME COGNOME e a favore di NOME COGNOME.
Il ricorrente riporta l’atto di divisione con il quale le parti NOME COGNOME, NOME COGNOME E NOME COGNOME si sono dati reciproco atto che i beni in oggetto ” … vengono rispettivamente attribuiti ed assegnati nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente si trovano con ogni inerente diritto, azione o ragione, accessori e pertinenze, oneri e servitù attive e passive eventuali ed in particolare la servitù di passo sulla corte costituente l’accesso alle unità immobiliari oggetto della presente divisione rappresentata al catasto Terreni nel foglio di mappa 26 dalla particella 451.
La Particella 451 è a confine con la 292, INDIRIZZO, per cui la stessa avrebbe preservato tale suo diritto teorico ponendolo a carico della proprietà di COGNOME e non a carico del ricorrente.
L’atto costituirebbe ricognizione della servitù di passaggio, condiviso e sottoscritto dalle parti in causa e, ove opportunamente esaminato e valutato, avrebbe determinato il rigetto della domanda avversaria, perché fondato su documento di valore probatorio assoluto, che fra l’altro avrebbe dovuto impedire l’esperimento di prove testimoniali, essendo già agli atti la prova scritta.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare l e ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54,
comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Peraltro, ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01)
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1054 c.c. – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -in relazione alla insussistenza dei presupposti che consentono l’imposizione della servitù al fondo intercluso.
Fermo restando quanto già spiegato sotto i precedenti motivi di gravame, quanto alla carenza del requisito primario configurato dal diritto di proprietà, difetterebbe altresì l’ulteriore requisito della interclusione “da ogni parte” della Particella 292.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La servitù è stata costituita per destinazione del padre di famiglia e non per l’interclusione dei fondi.
Perché possa dirsi sorta una servitù per destinazione del padre di famiglia (ai fini del cui sorgere, ove si tratti di servitù di passaggio, è priva di rilevanza ostativa la non interclusione del fondo dominante) non è richiesto che quando i fondi abbiano cessato di appartenere ad un unico proprietario questi abbia espresso la volontà di tener fermo lo stato di fatto dal quale risulti l’esistenza della servitù, essendo sufficiente che egli non abbia, neppure implicitamente, disposto in alcun modo al riguardo (Sez. 2, Sentenza n. 1381 del 11/02/1998, Rv. 512467 – 01)
Dunque, la mancanza di interclusione del fondo preteso dominante non costituisce elemento ostativo al riconoscimento della servitù per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c. in quanto la sua costituzione avviene nel momento in cui i fondi, dominante e servente, hanno cessato di appartenere allo stesso proprietario, ed è a quel momento che occorre fare riferimento ai fini dell’accertamento giudiziale, con la conseguenza che i successivi mutamenti dello stato dei luoghi risultano irrilevanti (Sez. 2, Ordinanza n. 32684 del 12/12/2019, Rv. 656296 – 01)
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 93 c.p.c. – art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. -in relazione alla disposta distrazione delle spese d’appello in favore del difensore antistatario della parte ammessa al Patrocinio a Spese dello Stato.
5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
L’errore denunciato rappresenta un errore revocatorio oppure emendabile con il procedimento di correzione dell’errore materiale.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 quater e omessa applicazione
dell’art. 11, d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 – art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – in relazione alla condanna dell’appellante ammesso al Patrocinio a Spese dello Stato al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
6.1 Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
La censura sul contributo unificato non può essere proposta come motivo di ricorso per cassazione.
Deve darsi continuità al seguente principio di diritto già affermato in relazione al ricorso per cassazione ma applicabile anche al giudizio di appello: Nel caso in cui il ricorso per cassazione venga respinto, perché rigettato integralmente ovvero dichiarato inammissibile o improcedibile, la Corte di cassazione attesta l’obbligo del ricorrente, ancorché ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, rilevando a tal fine soltanto l’elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, mentre le condizioni soggettive della parte devono invece essere verificate, nella loro specifica esistenza e permanenza, da parte della cancelleria al momento dell’eventuale successiva attività di recupero del contributo (Sez. 1, Ordinanza n. 27867 del 30/10/2019, Rv. 655780 – 01)
Infatti, la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (c.d. doppio contributo) pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione
resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria (Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020, Rv. 657198 – 03).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dello Stato essendo il controricorrente ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità con pagamento in favore dell’Erario, essendo la controricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, spese liquidate in euro 4.500,00 più 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione