Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19685 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19685 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25631/2023 R.G. proposto da :
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi anche disgiuntamente da ll’avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrenti- contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n.1132/2023 depositata il 12/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.7.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 22.7.2003, Tedesco COGNOME adiva il Tribunale di Bari per ottenere l’accertamento dell’inesistenza di servitù di veduta a carico dell’immobile di sua proprietà, sito in Bari-Palese Macchie, e a favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari dell’immobile adiacente, oltre al ripristino dello stato dei luoghi mediante demolizione del piano di calpestio sopraelevato, realizzato abusivamente ed al risarcimento dei danni subiti.
I convenuti si costituivano in giudizio, spiegando domanda riconvenzionale volta all’accertamento dell’esistenza della servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia ovvero per usucapione.
Con sentenza n. 2932/2012, previo espletamento di CTU, il Tribunale adito negava il diritto degli attori in riconvenzione di mantenere la veduta, condannandoli a rimuovere il camminamento antistante il loro appartamento, demolendo la sopraelevazione del ballatoio, e rigettava per difetto di prova la domanda risarcitoria del Tedesco.
I coniugi soccombenti interponevano appello. Nella resistenza di COGNOME Nicola, con la sentenza n. 355/2016 del 30.3.2016, la Corte d’Appello di Bari riformava integralmente la decisione appellata, accertando l’esistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia prima dei lavori di ampliamento del ballatoio compiuti dagli appellanti.
In parziale accoglimento del ricorso per cassazione proposto da COGNOME Nicola, con ordinanza n. 6140/2022, questa Corte cassava con rinvio la sentenza gravata, per non avere il Giudice di secondo grado considerato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ‘secondo il quale ‘ il muro divisorio tra due immobili non può dare luogo all’esercizio di una servitù di veduta, sia perché ha
solo la funzione di demarcazione del confine e/o di tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di inspicere e prospicere sul fondo altrui, è inidoneo a costituire una situazione di soggezione di un fondo all’altro, a causa della reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti ‘ (così Cass. n. 6927/2015, v. anche Cass. n. 820/2000 e Cass. n.6407/1994)’.
COGNOME NOME riassumeva la causa, articolando nuovamente l’originaria domanda di tutela reale e si costituivano in giudizio i coniugi COGNOME che chiedevano la reiezione della domanda del Tedesco, ed in subordine l’adozione di accorgimenti idonei ad impedire l’esercizio della veduta senza arrivare all’ordine di demolizione dei lavori di ampliamento del ballatoio.
Con sentenza n. 1132/2023 del 12.7.2023, la Corte d’Appello di Bari accoglieva la domanda attorea, ritenendo che, pur non esistendo alcuna servitù di veduta all’epoca in cui il muro divisorio tra le due proprietà partiva da entrambi i lati dal piano di calpestio a livello stradale, in conseguenza dell’ampliamento della veranda dei coniugi COGNOME con estensione del ballatoio sopraelevato fino al muro divisorio, facente da parapetto, era stata portata a termine un’opera utilizzabile per l’affaccio, a distanza illegale, e li condannava alla rimozione dell’ampliamento, pur essendo impregiudicata la possibilità delle parti di concordare un’appropriata soluzione alternativa, compensando le spese processuali dell’intero giudizio per metà e condannando in solido i coniugi COGNOME al pagamento della residua metà e per intero delle spese di CTU.
Avverso tale pronuncia COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso a questa Corte, sulla scorta di quattro censure, e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
All’esito dell’adunanza camerale del 23.1.2025, ritenuto necessario, ai fini della decisione, acquisire il fascicolo d’ufficio contenente la CTU ed i relativi allegati planimetrici e fotografici, questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo con ordinanza interlocutoria n. 2044/2025. In prossimità dell’adunanza camerale, i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo si lamentano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c. in relazione agli artt. 900, 901, 905, 949 e 2697 cod. civ. e 384, comma 2° c.p.c., la contraddittorietà della motivazione e l’inesistenza della servitù di veduta. La Corte territoriale sarebbe incorsa in errore per aver illegittimamente ritenuto che il ballatoio costituisse opera utilizzabile per l’affaccio. L’affermazione della sentenza che da tale ballatoio si eserciterebbe la veduta grazie all’altezza del muro divisorio (95,5 cm), tale da permettere l’affaccio in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza, sarebbe stata in contrasto con il principio di diritto espresso nella fase rescindente, riguardante l’impossibilità di esercitare una servitù di veduta attraverso il muro divisorio, e, per altro verso, si sarebbe posta in contrasto con il costante orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui le opere non funzionalmente e principalmente volte all’esercizio della facoltà di inspicere e prospicere in alienum , per costituire appunto vedute, avrebbero dovuto intrinsecamente, per le loro caratteristiche e conformazione, consentire un comodo affaccio in condizioni di sicurezza.
Il primo motivo di ricorso é inammissibile nella parte in cui si lamenta la contraddittorietà della motivazione, trattandosi di vizio non più censurabile dopo la riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. da parte dell’art. 54 comma 1 lettera b) del D.L. 22.6.2012 n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7.8.2012 n.134, e nella parte in cui si lamenta la violazione dell’art. 2697
cod. civ., in quanto ci si duole del cattivo apprezzamento delle prove, la cui valutazione é riservata al giudice di merito, e non ex dell’erronea distribuzione tra le parti dell’onere probatorio (vedi multis Cass. ord. 1.4.2025 n. 8546; Cass. ord. 3.2.2025 n. 2573). Il primo motivo é invece infondato nella parte in cui si lamenta la violazione dell’art. 384 comma 2° cod. civ., in quanto la sentenza n. 355/2016 della Corte d’Appello di Bari, che fu cassata dall’ordinanza di questa Corte n. 6140/2022, aveva riconosciuto la costituzione della servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia quando le proprietà delle parti erano separate da un muro divisorio di 134 cm di altezza che partiva dal piano di calpestio stradale da entrambi i lati, ed in relazione a quella situazione di fatto era stato affermato il principio di diritto secondo il quale il muro divisorio di per sé non poteva dar luogo a servitù di veduta, avendo la funzione di demarcazione del confine e/o tutela dei fondi, ed anche quando permetteva di inspicere e prospicere in alienum, non determinava una situazione di soggezione di un fondo all’altro, per la reciproca possibilità di affaccio. La sentenza impugnata ha correttamente applicato quel principio di diritto alla situazione anteriore ai lavori edilizi di modifica compiuti dai ricorrenti, ma ha poi riconosciuto che i medesimi, con quei lavori, avevano ampliato il ballatoio che tramite dei gradini dava ingresso al loro immobile, creando una sorta di veranda che si sviluppava in estensione fino ad arrivare al muro divisorio, che é venuto così a svolgere la funzione anche di parapetto della veranda dei ricorrenti, e che a lavori ultimati ha un’altezza dalla stessa di 95,50 cm e consente da quella veranda di inspicere e prospicere sulla proprietà Tedesco in modo agevole e sicuro per una persona di normale statura (vedi sulla qualificazione come veduta di una terrazza con parapetto Cass. 24.1.2025 n. 1746), per cui non vi é stata alcuna violazione del principio di diritto enunciato dall’ordinanza di questa Corte n.6140/2022.
Va aggiunto che il giudizio sulla possibilità di inspicere e prospicere in alienum é un giudizio di fatto incensurabile se plausibile ed adeguatamente motivato, come avvenuto nel caso di specie.
La giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, ripetutamente affermato, con riferimento alle vedute esercitate da ballatoi, che pur in assenza della specifica funzione propria della veduta, é sufficiente che essi siano oggettivamente idonei ad inspicere e prospicere in alienum in condizione di sicurezza per una persona di statura normale (vedi in tal senso Cass. 13.10.2024 n. 20205; Cass. 17.11.1990 n. 11125).
Per il resto si contesta in fatto la ritenuta possibilità di inspicere e prospicere in condizioni di sicurezza, in quanto l’altezza del parapetto di cm 95,50 é ritenuta insufficiente, rispetto all’altezza del petto di una persona di normale statura, per affacciarsi senza correre rischi, mentre non si lamenta la violazione della corretta nozione degli articoli 900, 901, 905 e 949 cod. civ., e si invoca piuttosto una diversa ricostruzione in fatto che porti, in base a quelle norme, a riconoscere l’infondatezza dell’ actio negatoria servitutis e la costituzione della servitù di veduta prima dei lavori di modifica del ballatoio dei ricorrenti.
Attraverso la seconda censura, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c. in relazione agli artt. 900 e 905 cod. civ., la carenza di motivazione nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c. in relazione all’altezza del muro divisorio avente funzione di parapetto, di 95,5 cm, che non permetterebbe l’affaccio in sicurezza. La pronunzia impugnata avrebbe ritenuto apoditticamente, e senza fornire alcuna specifica motivazione, che l’altezza del muro divisorio pari a 95,5 cm. fosse tale da permettere l’affaccio in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza.
Tale motivo é infondato, in quanto l’altezza del parapetto é stata in realtà considerata, valutando positivamente la possibilità di inspicere e prospicere in alienum per la corrispondenza sia pure approssimativa dell’altezza di 95,50 cm al petto di una persona di normale statura, e ritenendo coerentemente che la veranda dei ricorrenti, dopo i lavori di ampliamento, sia venuta a costituire una vera e propria veduta, e non una semplice luce irregolare.
Col terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c. in relazione agli artt. 1146, 1158, 1061, 1062 e 2697 cod. civ. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c. in relazione alla preesistente costituzione della servitù di veduta. La sentenza avrebbe erroneamente ritenuto non costituita per destinazione del padre di famiglia, ovvero per usucapione, la servitù di veduta a favore della proprietà dei coniugi COGNOMENOMECOGNOME in forza dello stato dei luoghi esistente al momento della divisione dell’originaria unica proprietà del fabbricato poi diviso, omettendo di considerare le risultanze istruttorie.
Il terzo motivo é inammissibile, perché si richiamano le violazioni degli articoli 1146, 1158, 1061, 1062 e 2697 cod. civ., ma in realtà si punta ad ottenere, in sede di legittimità, una diversa ricostruzione in fatto, che riconosca la preesistenza della servitù di veduta ai lavori di ampliamento dei ricorrenti, in questo caso in effettivo contrasto col principio di diritto enunciato dall’ordinanza di questa Corte n. 6140/2022.
Con la quarta doglianza, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c. in relazione agli artt. 905 e 885 cod. civ. e 112 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe omesso di disporre l’esecuzione di interventi alternativi idonei all’eliminazione della servitù di veduta senza ricorrere alla soppressione dell’ampliamento del ballatoio,
ripristinando lo status quo ante . La pronuncia non avrebbe considerato, inoltre, il dettato di cui all’art. 885 cod. civ. che legittima il comproprietario ad innalzare il muro comune, intervento che nella specie impedirebbe qualsiasi affaccio. La motivazione di tale rigetto si porrebbe peraltro in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..
Il quarto motivo é infondato.
Anzitutto non ha pregio la lamentata violazione dell’art. 885 cod. civ. sulla facoltà di innalzamento del muro divisorio comune, perché il giudice di rinvio ha escluso l’innalzamento del muro divisorio comune alternativo alla demolizione dell’ampliamento del ballatoio perché lesivo della veduta sul mare dei vicini, per cui su tale richiesta subordinata, avanzata dagli attuali ricorrenti nel giudizio di rinvio, l’impugnata sentenza non ha omesso di pronunciarsi, ritenendo piuttosto impraticabile il rimedio nell’ambito della sua valutazione discrezionale.
Infondata é la censura anche nella parte relativa alla violazione degli articoli 905 cod. civ. e 112 c.p.c., perché il giudice di rinvio non ha omesso di provvedere neppure sui rimedi alternativi alla demolizione del ballatoio, diversi dall’innalzamento del muro divisorio, chiesti dai ricorrenti in via subordinata nel giudizio di appello e di rinvio (realizzazione di un parapetto al camminamento, apposizione di dissuasori, abbattimento parziale del camminamento realizzato nella parte prossima al muro divisorio). In proposito occorre osservare preliminarmente, che non era indispensabile che gli attuali ricorrenti formulassero la relativa domanda già nel giudizio di primo grado, trattandosi della richiesta di adottare una misura meno afflittiva rispetto alla demolizione della veranda chiesta dal Tedesco, sicché era sufficiente che la parte interessata avesse sollecitato l’esercizio del relativo potere riduttivo del giudice (vedi in tal senso Cass. 27.4.2006 n. 9640; Cass. 24.2.1996
n.1450; Cass. 1.3.1995 n. 2343), come nella specie avvenuto, e tuttavia la sentenza impugnata, alle pagine 8 e 9, ha ritenuto di non poter seguire l’unica soluzione suggerita dal CTU per l’argomentazione sopra riportata, ritenendo implicitamente non praticabili le soluzioni alternative già scartate dal CTU e lasciando comunque, al possibile accordo delle parti, l’individuazione di soluzioni alternative alla demolizione dell’ampliamento del ballatoio.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME in solido.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso di COGNOME NOME e COGNOME NOME e li condanna in solido al pagamento in favore di NOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €3.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 9.7.2025