Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21293 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 21293 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18771/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA C.INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
DELL’COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME
e
COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 756/2019 depositata il 28/10/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Viste le conclusioni motivate, 2020, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’avv. COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Potenza ha confermato la sentenza del Tribunale di Matera, resa nel contraddittorio fra l’attrice COGNOME NOME e i convenuti COGNOME Tommaso, COGNOME Caterina, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Il Tribunale ha rigettato la domanda dell’COGNOME, proprietaria di un fabbricato in Matera, la quale aveva lamentato che i convenuti, proprietari di un immobile confinante, avevano edificato in violazione della veduta, esercitata da oltre quarant’anni, dal lastrico solare che copriva l’immobile dell’attrice.
Secondo la Corte d’appello, la COGNOME non poteva accampare un diritto di veduta acquistato per usucapione, non essendoci prova di un concreto esercizio dell’i nspicere e prospicere a 360 gradi da parte dell’appellante. La Corte di merito ha poi richiamato le conclusioni del consulente, le quali, a giudizio della stessa Corte, confermavano l’inesistenza di una veduta esercitabile con comodità e sicurezza dal fondo dell’attrice verso il fondo dei convenuti. Secondo la sentenza impugnata, il consulente tecnico aveva
rilevato l’esistenza di opere visibili e permanenti, destinate all’esercizio della veduta, in un lato diverso da ‘quello ove si situa il fondo degli appellati preteso servente’. In esito a tale ricostruzione, la Corte di merito ha concluso che, nei rapporti fra attrice e convenuti, non sussistevano i requisiti richiesti per il possesso ad usucapionem , anche sotto il profilo della necessaria percepibilità del peso da parte del titolare del supposto fondo servente.
Per la cassazione della decisione COGNOME Maria ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, illustrati da memoria.
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME (quest’ultimo quale erede di COGNOME NOME) hanno resistito con controricorso.
Ha resistito con controricorso anche COGNOME NOME.
Le parti hanno depositato memoria.
Il Procuratore Generale, nelle proprie conclusioni scritte, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 900, 905, 907 e 1061 c.c.: si sostiene che, in relazione alle caratteristiche oggettive del lastrico solare, in quanto munito di parapetto, sussistevano i requisiti della veduta e, conseguentemente, l’esistenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per difetto di motivazione, non essendo individuabile il percorso logico seguito seguito per risolvere le questioni sottoposte al giudizio.
I primi due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati. Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art.
900 c.c. conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum , vale a dire le possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (Cass. n. 18910/2012). In altre parole, perché un’apertura possa considerarsi veduta, non basta la mera possibilità di una inspectio e di una prospectio sul fondo del vicino, ma è altresì necessario che la possibilità di guardare nel fondo medesimo e di sporgere il capo e vedere nelle diverse direzioni senza l’uso di mezzi artificiali possano aver luogo con comodità e sicurezza, ed in modo da rilevare che tale è la destinazione normale e permanente dell’opera, individuata alla stregua di elementi obbiettivi di carattere strutturale e funzionale: consegue che le terrazze ed i lastrici solari possono configurare veduta a carico del fondo vicino solo se muniti di solidi ripari, come ringhiera o parapetto, tali da permettere di sporgere la testa senza pericolo verso detto fondo, secondo l’incensurabile apprezzamento del giudice del merito (Cass. n. 4015/1984). È rimesso all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, verificare in concreto se l’opera -in considerazione delle caratteristiche strutturali e della posizione degli immobili rispettivamente interessati – permetta a una persona di media altezza l’affaccio sul fondo del vicino o il semplice prospetto (Cass. n. 5421/2011).
Nel caso in esame, la sentenza richiama tali principi e rispetto ad essi nega i requisiti della veduta. Tuttavia, le considerazioni che dovrebbero supportare tale conclusione sono generiche e astratte, in assenza di qualsiasi riferimento alle caratteristiche dell’apertura
oggetto di causa, che non sono minimamente individuate dalla Corte d’appello potentina. Essa richiama le risultanze della c.t.u., ma tale richiamo, per la sua genericità, non consente di individuare la ratio decidendi , incorrendo pertanto la sentenza nel vizio di motivazione apparente. Tale vizio, causa di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., S.U., n. 22232/2016; n. 13977/2019; n. 1986/2025). In questa prospettiva, è stato affermato che «è nulla per mancanza -sotto il profilo sia formale che sostanziale -del requisito di cui all’art. 132, comma 1, n. 4), c.p.c., la sentenza la cui motivazione consista nel dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti ad essa allegati, oltre ad una consulenza tecnica, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa, né indicare la ragione giuridica o fattuale che, come emergente dall’oggetto del rinvio, il giudice abbia ritenuto di condividere» (Cass. n. 7402/2017; n. 20648/2015).
A un attento esame, la sola affermazione della sentenza impugnata, al quale possa attribuirsi un significato percepibile, è quella che richiama le deposizioni testimoniali, dalle quali non sarebbe dato comprendere, secondo la Corte d’appello, ‘da quale lato la COGNOME potesse sporgersi e guardare con sicurezza verso il basso’; non sarebbe ‘dato comprendere se e con quanta continuità
ciò avvenisse anche verso il fondo degli appellati’. Fatto è che tale affermazione non solo non vale a integrare un reale apprezzamento in ordine alla verifica dei requisiti della veduta, ma evidenzia un chiaro errore di diritto, che rende vieppiù censurabile e immotivata la valutazione espressa nel caso in esame dal giudice di merito. Infatti, il possesso di una servitù di veduta presuppone soltanto il possesso delle opere necessarie al suo esercizio, indipendentemente dal fatto che il possessore in concreto eserciti la veduta cioè si avvalga dell’opera per inspicere e prospicere in alienum (Cass. n. 4760/1991).
Con il terzo motivo si denunzia omesso esame di fatto decisivo con riferimento alle conclusioni del consulente tecnico, che non escludevano affatto la comodità della veduta, come invece ritenuto dalla Corte d’appello. Con il quarto motivo si denunzia ancora omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ravvisati nel fatto che la Corte d’appello ha riconosciuto che le deposizioni testimoniali non consentivano di comprendere da quale lato dell’edificio si esercitasse la veduta, mentre alcuni dei testi ne avevano confermato l’esercizio anche verso il fondo dei convenuti. Con il quinto motivo si fa presente che, contro la sentenza impugnata in questa sede, è stato proposto ricorso per revocazione. Con il sesto motivo si deduce la necessità di un nuovo regolamento delle spese di lite in dipendenza della fondatezza del ricorso.
I motivi dal terzo al sesto sono assorbiti in conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi.
In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al primo e al secondo motivo e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, anche per le spese.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda