Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5922 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 5922  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15845/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME ed COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO NOME  AVV_NOTAIO  COGNOME,  che  li  rappresenta  e  difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO  NOME  COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ;
– resistente –
avverso  la  sentenza  n.  1738/2018  della CORTE  D’APPELLO  di GENOVA, depositata il 16/11/2018; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del 13/02/2025 dal AVV_NOTAIO; Udito il P.M., in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME ha evocato in giudizio innanzi al Tribunale di Imperia NOME ed NOME NOME, esponendo che i convenuti avevano sopraelevato un muro comune posto sul confine tra le proprietà delle parti, così ricavando un nuovo vano nel loro immobile, nel quale, tramite un’apertura, avevano creato una veduta diretta sul fondo attoreo in violazione della distanza di cui all’art. 905 c.c.; ha dedotto, altresì, che i convenuti avevano installato una parabola invadente la colonna d’aria sovrastante il suo tetto e, ancora, che dal pluviale degli NOME–NOME provenivano schizzi nella sua proprietà, causa di infiltrazioni. Sulla scorta di tali deduzioni, la COGNOME ha chiesto la condanna dei convenuti al ripristino dello stato anteriore o, in subordine, alla regolamentazione delle opere, oltre al risarcimento del danno.
I convenuti, nel resistere, hanno  domandato  in  via riconvenzionale l’accertamento della sussistenza di una servitù di veduta in favore del proprio fondo e a carico di quello attoreo, in forza  del  loro  titolo  di  proprietà  o  comunque  per  intervenuta usucapione;  hanno  chiesto,  altresì,  la  condanna  della  COGNOME  al ripristino del pluviale, deducendo che esso era stato parzialmente
rimosso  dal  dante  causa  dell’attrice e  che  solo  per  tale  ragione cagionava gli inconvenienti dalla medesima lamentati.
 Il  Tribunale,  con  sentenza  n.  5/2012,  ha  rigettato  le domande attoree e, in parziale accoglimento della riconvenzionale spiegata dai convenuti, ha dichiarato il fondo della COGNOME gravato da servitù di veduta in favore della proprietà COGNOME.
4 . Sul gravame della COGNOME, la Corte d’Appello di Genova, previo espletamento di CTU sullo stato dei luoghi, con sentenza n. 1738/2018, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto le domande dell’attrice, ad eccezione di quella risarcitoria, condannando gli NOMENOME a chiudere l’apertura ricavata nella sopraelevazione del muro comune, a rimuovere la parabola e l’aggetto del tetto di copertura del nuovo vano, invadenti lo spazio verticale sovrastante la proprietà RAGIONE_SOCIALE, nonché a prolungare il pluviale sino al suolo.
4.1 La Corte Distrettuale ha, in particolare, osservato: a) che le conclusioni del primo giudice, secondo cui l’attrice non aveva specificamente né tempestivamente contestato che sulla proprietà dei convenuti, ancor prima della sopraelevazione, esisteva da oltre venti anni un terrazzo calpestabile da cui era esercitabile la veduta, non potevano essere condivise, ritenuto che l’onere di specifica contestazione ex art. 115 c.p.c., come novellato dalla legge n. 69/2009, non poteva essere posto a carico della COGNOME, la quale aveva introdotto il giudizio nel 2007; b) le argomentazioni svolte dall’attrice nell’atto introduttivo del giudizio erano inoltre ontologicamente incompatibili con l’esistenza della predetta terrazza in data anteriore alla sopraelevazione; in ogni caso, la COGNOME aveva tempestivamente contestato le deduzioni dei
convenuti con la prima memoria di cui all’art. 183, comma sesto, c.p.c.; c) che le prove testimoniali assunte in primo grado in ordine alla preesistenza della terrazza erano generiche ed inattendibili; d) che la consulenza tecnica esperita in appello aveva accertato, per un verso, che, prima della sopraelevazione, sul fondo dei convenuti non insisteva una terrazza calpestabile munita di parapetto che permettesse la veduta in alienum ; per altro verso, che la terrazza citata nel titolo di proprietà degli NOME, datato 27.06.1978, si trovava in altra porzione dell’immobile e) che la veduta ricavata nella sopraelevazione del muro comune, a confine con la proprietà della COGNOME, violava la distanza ex art. 905 c.c.; f) che la parabola e l’aggetto del tetto posto sulla sommità della sopraelevazione, siccome invadenti lo spazio sovrastante la proprietà della COGNOME, dovevano essere rimossi; g) che, non essendo emerso che la parziale rimozione della grondaia fosse dipesa da iniziative del dante causa della COGNOME ignote od osteggiate dagli COGNOME, questi ultimi dovevano porre rimedio anche ai disagi cagionati dal pluviale, tramite il suo prolungamento sino al suolo.
Per la cassazione di detta decisione hanno proposto ricorso NOME ed NOME, sulla base di sedici motivi.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Il Procuratore AVV_NOTAIO ha concluso per il rigetto del ricorso.
In  prossimità  dell’ udienza,  COGNOME  NOME  ha  depositato memoria illustrativa, insistendo nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con il  primo  motivo,  si  deduce  ‘ violazione  dell’art.  360 comma 1 n. 3: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. in  relazione  agli  artt.  115,  116  c.p.c.  e  2697  c.c. ‘.  I  ricorrenti
sostengono che la Corte distrettuale avrebbe errato a ritenere che, in forza dell’art. 115 c.p.c. nella versione ratione temporis vigente, non potesse essere posto a carico dell’attrice l’onere di specifica contestazione dei fatti allegati dai convenuti a fondamento della domanda riconvenzionale, poiché la novella introdotta dalla legge n. 69 del 2009 si era limitata a codificare un principio già consolidato nel diritto vivente e costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione degli artt. 115, 183 e 163 c.p.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., i ricorrenti sostengono che le deduzioni articolate dalla COGNOME nella citazione introduttiva del giudizio, oltre che generiche, non erano in alcun modo incompatibili con la preesistenza della terrazza; sostengono, in secondo luogo, che nella memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. l’attrice non aveva mosso alcuna specifica contestazione ai fatti dedotti dai convenuti in comparsa di risposta; contestazione che, aggiungono, ove anche esistente, sarebbe stata comunque tardiva, siccome proposta oltre la prima udienza di comparizione delle parti.
2.1 Le censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della reciproca connessione, sono infondate.
Sebbene la Corte distrettuale abbia effettivamente errato ad affermare che, in relazione alla disciplina di diritto intertemporale recata dalla legge n. 69 del 2009, sulla COGNOME non gravasse l’onere di specifica contestazione dei fatti dedotti dai convenuti, dovendosi di  contro  osservare  che  anche  prima  della  novella  dell’art.  115 c.p.c. sussisteva a carico delle parti l’onere di prendere posizione in  modo  chiaro  ed  analitico  sui  fatti  posti  a  fondamento  delle
domande avversarie, onde evitare che gli stessi potessero ritenersi ammessi senza necessità di prova (sul punto, cfr. Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26908 del 26/11/2020, Rv. 659902), ciononostante, nella fattispecie, la motivazione della sentenza impugnata, basata su plurime rationes decidendi , non risulta scalfita dalle doglianze dei ricorrenti.
La Corte d’Appello ha osservato, infatti, che le deduzioni articolate dall’attrice nel libello introduttivo del giudizio, in ordine alla sopraelevazione da parte dei convenuti di un muro comune con conseguente creazione di un nuovo vano e apertura di una veduta, erano per loro natura incompatibili con la preesistenza di una terrazza che consentiva l’affaccio sulla proprietà COGNOME; ha osservato, inoltre, che l’attrice aveva comunque contestato le deduzioni dei convenuti nella prima memoria ex art. 183, comma sesto, c.p.c.
In proposito, premesso che l’accertamento della sussistenza di una contestazione o di una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato (cfr. Cass., n. 27490 del 28/10/2019, Rv. 655681; Cass. n. 3680 del 07/02/2019, Rv. 653130) , dall’esame della prima memoria istruttoria della COGNOME, cui questa Corte ha accesso in ragione dell’ error in procedendo de nunciato con il secondo motivo di ricorso, risulta che l’odierna controricorrente ebbe a contestare specificamente i fatti narrati dagli COGNOME, affermando che ‘ i convenuti non hanno operato una copertura del loro terrazzo, come asserisce parte avversa, ma hanno proprio realizzato una vera e propria soprelevazione del
muro comune o meglio hanno proprio costruito una stanza, con l’apertura di una finestra/veduta prospicente il tetto di proprietà RAGIONE_SOCIALE ‘ (così a pag. 2).
Non colgono nel segno le censure dei ricorrenti, secondo cui tali argomentazioni sarebbero tardive, siccome formulate oltre la barriera preclusiva fissata alla parte attrice per la formulazione di nuove eccezioni, da identificarsi, secondo il rito applicabile ratione temporis , con la prima udienza di comparizione delle parti. Gli COGNOME confondono, infatti, le eccezioni in senso tecnico, mediante le quali viene ampliato il thema decidendum tramite l’introduzione di nuovi fatti (estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa avversaria), con l’onere di specifica contestazione dei fatti dedotti dalla controparte, onere che ben può essere assolto nel rispetto delle preclusioni assertive di cui all’art. 183, comma sesto, n. 1, c.p.c. (cfr. Cass. Ordinanza n. 21203 del 23/07/2021, non massimata).
D’altra parte, i ricorrenti nemmeno tengono conto che il giudice di merito ha ritenuto la loro versione dei fatti confutata dalle risultanze istruttorie e non si confrontano con l’insegnamento di questa Corte, al quale il Collegio intende assicurare continuità, secondo cui ‘ Nel caso in cui a fronte dell’allegazione specifica di una parte difetti la contestazione di controparte, non sussiste per il giudice del merito un vincolo di meccanica conformazione, in quanto egli può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza in tal modo allegata ove ciò emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto, tanto più che se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, a “fortiori” ciò vale per la valutazione della mancata contestazione ‘
(cfr.  Cass.  Sez.  2,  Ordinanza  n.  15288  del  31/05/2023,  Rv. 667965).
Per quanto sopra, i motivi in esame devono essere disattesi.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., ‘ omessa valutazione di un fatto decisivo ai fini della decisione: la esecuzione accertata di opere eseguite nel 1980/1981 da parte attrice comportanti la modifica dello stato dei luoghi ‘. Gli COGNOME sostengono che la Corte distrettuale non avrebbe in alcun modo preso in considerazione i lavori edilizi eseguiti sul fondo della COGNOME negli anni 1980/1981, per effetto dei quali l’originario tetto a due falde dell’edificio attoreo era stato trasformato in un tetto a falda unica, il cui punto più alto era stato ancorato al muro comune, che nell’occasione era stato sopraelevato rispetto al piano di calpestio della terrazza dei convenuti, con la conseguente creazione di un parapetto che consentiva la veduta.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile
La censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte distrettuale ha osservato che i progetti relativi ad opere di ristrutturazione eseguite nel 1979 dagli COGNOME nella loro proprietà non raffiguravano alcun terrazzo con parapetto nello spazio ove anni più tardi è stato ricavato il vano con finestra oggetto del giudizio; ha osservato, ancora, che, sebbene il progetto delle opere eseguite successivamente, nel 1988/1989, impiegasse il termine ‘terrazzo’ per descrivere lo spazio in questione, nessuna opera intermedia risultava realizzata dai convenuti, nel periodo compreso tra il 1979 e il 1988, che avesse cambiato lo stato e le dimensioni dei luoghi.
I ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello avrebbe completamente pretermesso l’esame dei lavori eseguiti nella proprietà COGNOME nel 1980/1981, all’esito dei quali la terrazza in contestazione sarebbe risultata di fatto munita di un parapetto, ma non t engono conto che, per l’usucapione della reclamata servitù, sarebbe stato necessario dare prova della realizzazione sul fondo preteso dominante di opere visibili e permanenti, funzionalmente destinate all’esercizio della veduta, indicative in modo inequivo co del peso imposto dagli NOMENOME all’immobile limitrofo della COGNOME (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10984 del 03/11/1998, Rv. 520311). In questo senso vanno lette, dunque, le argomentazioni del giudice di merito, il quale ha escluso che i convenuti avessero dimostrato la sussistenza di elementi utili al perfezionamento della fattispecie acquisitiva a titolo originario, con particolare riferimento all’elemento cronologico, osservando come ‘ non risultassero esecuzioni in loco di opere dei convenuti ‘intermedie’ tra quelle del 1988 e quelle del 1979, né mutazioni dello stato e dimensioni di spazio ‘ (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Tali argomentazioni non prestano il fianco a censure di legittimità per non aver tenuto conto delle opere medio tempore realizzate sulla proprietà COGNOME, non avendo peraltro i ricorrenti fornito alcun elemento che consenta di ritenere che l’ancoraggio sul muro comune della falda del tetto di copertura dell’immobile dell’originaria attrice costituisse opera visibile e permanente ‘destinata’ a consentire agli COGNOME l’esercizio della veduta sul tetto medesimo, rappresentativa, come tale, di un peso imposto al fondo preteso servente.
Fermo restando, per quanto sopra esposto, che il fatto di cui si  lamenta  l’omesso  esame  difetta  di  decisività,  si  deve  peraltro osservare che il vizio denunciato dai ricorrenti non sussiste.
La Corte d’Appello ha infatti dato compiutamente atto delle soluzioni alternative ‘A’ e ‘B’ proposte dal CTU nel proprio elaborato, l’una contemplante la preesistenza di un terrazzo con parapetto, l’altra escludente tale ipotesi, ed ha ritenuto, sulla scor ta delle complessive risultanze istruttorie, di aderire a quest’ultima soluzione: il ‘fatto’ in questione risulta dunque esaminato dal giudice di seconde cure, onde il motivo di ricorso in esame, secondo cui avrebbe dovuto preferirsi l’alternativa che postulava l’esistenza del parapetto, si risolve piuttosto in una censura all’accertamento del fatto e alla valutazione delle prove acquisite; profili del giudizio che non sono sindacabili in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 898 del 14/12/1999, Rv. 532151), risultando la motivazione della sentenza impugnata non apparente, né affetta da irriducibile contrasto logico (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Va infatti ribadito che spetta soltanto al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee alla dimostrazione dei fatti (cfr. Cass., Sez. Un., Sentenza n. 5802 dell’11/06/1998, Rv. 516348).
4 . Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.; omesso esame integrale della deposizione del teste COGNOME ‘. Lamentano che il giudice di merito non  avrebbe  considerato  nella  sua  interezza  la  deposizione  del
teste  COGNOME  NOME,  segnatamente  nella  parte  in  cui  egli aveva  riferito  di  ricordare  che  la  terrazza  dei  convenuti,  già  sul finire  degli  anni  ’70,  era  accessibile  dalla  proprietà  COGNOME tramite una porta.
 Con  il  quinto  motivo,  nel  denunciare  la  violazione  delle medesime norme indicate nella rubrica della precedente censura, i ricorrenti  si  dolgono  del  giudizio  di  inattendibilità  espresso  dalla Corte  d’Appello  in  ordine  alla  deposizione  resa  dal  teste  NOME COGNOME NOME, figlio dei convenuti.
5.1  Le  censure,  da  esaminare  congiuntamente  in  quanto strettamente connesse, sono inammissibili.
I ricorrenti, infatti, si limitano ad estrapolare e a valorizzare singole dichiarazioni rese dai testi indicati, assumendone l’omessa valutazione da parte del giudice di merito, senza confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni della Corte d’Appello, la quale ha ritenuto le complessive risultanze emerse dalle deposizioni testimoniali generiche e, come tali, insufficienti a dimostrare l’esistenza in loco , prima che gli COGNOME procedessero con la sopraelevazione del muro, di una terrazza con parapetto. In particolare, la Corte distrettuale ha osservato che il teste COGNOME, autore, circa trenta anni prima, di non meglio specificate opere per conto dell’COGNOME, non era a conoscenza delle modifiche subite nel tempo dalla terrazza; ha osservato, ancora, che un altro teste, COGNOME NOME, esecutore di lavori di pitturazione nell’immobile dei convenuti sul finire degli anni ’70, non ricordava se vi fosse una terrazza raggiungibile da una porta; il giudice di merito ha ritenuto, poi, inattendibile la deposizione del teste NOME COGNOME, figlio degli odierni ricorrenti, non solo in relazione allo stretto rapporto di
parentela con i convenuti e alla ‘dovizia di particolari’ con cui aveva descritto lo stato dell’immobile dei genitori anteriore alla sopraelevazione, risalente a circa trenta anni prima, quando egli era  solamente  un  bambino,  ma  anche  –  e  soprattutto  –  in c onsiderazione  della  circostanza  che  le  dichiarazioni  dell’COGNOME erano state confutate dalle risultanze della consulenza tecnica, che aveva descritto una situazione completamente diversa (cfr. pag. 4 della sentenza).
La motivazione resa dalla Corte d’Appello in ordine al giudizio di inattendibilità e di inconcludenza delle prove testimoniali, dunque, non risulta palesemente illogica, ed è anzi ampiamente rispettosa del c.d. minimo costituzionale, dovendosi in proposito ribadire che, ‘ In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019, Rv. 655229).
Con  particolare  riferimento  alle  dichiarazioni  rese  da  NOME, poi, la Corte d’Appello non ne ha escluso la credibilità in base ad una valutazione aprioristica, basata sul solo rapporto di filiazione  con  i  convenuti,  bensì  sulla  scorta  dell’esame  de lle
dichiarazioni  rese  dal  teste,  in  raffronto  con  gli  altri  elementi acquisti  agli  atti,  e  in  particolare  con  la  CTU.  Detta  valutazione, siccome  congruamente  motivata,  non  è  censurabile  in  sede  di legittimità (cfr. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 98 del 04/01/2019, Rv. 652214).
Con il sesto motivo, denunziando violazione degli artt. 2697 c.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.,  i  ricorrenti  lamentano  che  la  Corte  distrettuale  avrebbe omesso l’esame della deposizione del teste COGNOME.
 Con il  settimo motivo, i  ricorrenti  deducono la violazione dell’art.  2697 c.c.,  in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.:  lamentano  l’omessa  valutazione,  da  parte  della  Corte territoriale, del documento n. 11 da loro prodotto in primo grado, ovvero  la  relazione  del  geometra  COGNOME,  allegata  alla  pratica edilizia n. 17/1987, nella quale si dava atto che già all’epoca sul fondo dei convenuti esisteva la terrazza in contestazione.
7.1 Le censure, suscettibili di esame congiunto in ragione della reciproca connessione, sono inammissibili.
Come si  è  in  precedenza  osservato,  il  giudice  di  merito  ha esaminato i mutamenti che nel tempo ha avuto lo spazio posto al confine tra le proprietà delle parti, ove oggi si trova il vano chiuso ottenuto tramite la sopraelevazione del muro.
Ciò di cui i ricorrenti lamentano l’omesso esame con i motivi in commento, pertanto, non è il ‘fatto’ in sé, quanto piuttosto le singole risultanze istruttorie che, secondo quanto sostenuto dagli NOMENOME,  concorrerebbero  a  dimostrare  l’esistenza,  prima dell’attuale vano, di una terrazza con parapetto.
Ne consegue l’inammissibilità delle censure, dovendosi ribadire che ‘ L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024, Rv. 671706).
8 . L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 comma 1 n. 3; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 240 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c.; erroneo assolvimento dell’onere della prova da parte del CTU percipiente ‘. I ricorrenti deducono che il CTU si sarebbe di fatto sostituito alla COGNOME nell’assolvimento della prova dei fatti dalla medesima allegati, altrimenti rimasti privi di riscontri; lamentano, inoltre, che il consulente tecnico, nell’espletamento delle operazioni peritali, avrebbe eseguito accertamenti invasivi (quali perforazioni di muratura, piccole demolizioni parziali di soffitti, rimozione di tegole ecc.), travalicando i limiti dei quesiti postigli e ponendo in essere attivit à non autorizzate dalla Corte d’Appello.
8.1 La censura è inammissibile.
In primo luogo deve richiamarsi il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che ha affermato il seguente principio di diritto: « In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti -non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico -, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio » (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, Rv. 663786-03).
Peraltro, i ricorrenti non tengono conto che è risultato pacifico quanto dedotto dalla originaria attrice a fondamento della domanda, in ordine alla sopraelevazione del muro posto al confine tra le proprietà delle parti e alla realizzazione di un vano con una veduta  diretta  sul  fondo  COGNOME  a  distanza  inferiore  a  quella prescritta dall’art. 905 c.c.
Non era, dunque, l’attrice a dover fornire la prova che in loco non era mai esistita alcuna terrazza con parapetto, incombendo piuttosto  sui  convenuti  l’onere  di  provare  la  preesistenza  della suddetta  terrazza,  trattandosi  di  circostanza  da  loro  dedotta  a fondamento  della  domanda  riconvenzionale  di  usucapione  della servitù di veduta.
La CTU, nella fattispecie, risulta disposta proprio per verificare i mutamenti dello stato dei luoghi avutisi nel corso del tempo ed
accertare, conseguentemente , ‘ la consistenza dell’opera che parte attrice appellante definisce sopraelevazione di muro comune e che secondo i  convenuti  non  avrebbe  invece  interessato  alcun  muro comune  e  si  sarebbe  risolta  nella  copertura  di  un  terrazzo preesistente ‘ (cfr. pag. 19 del ricorso).
In ogni caso, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. L., 19/08/2020, n. 17313, Rv. 658541 – 01).
Infine, fermo restando quanto sopra detto, non risulta che gli odierni ricorrenti abbiano tempestivamente lamentato, nella prima difesa successiva al deposito dell’elaborato tecnico, che il consulente avesse oltrepassato i limiti delle indagini al medesimo demandate con i quesiti peritali. Ne con segue l’inammissibilità della censura, essendo costante l’insegnamento di questa Corte secondo cui l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22843 del 25/10/2006, Rv. 593047; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3184 del 05/02/2024, Rv. 669996).
Nella  restante  parte  il  motivo  si  risolve  in  una  critica  alla decisione  del  giudice  di  seconde  cure  di  disporre  la  consulenza tecnica,  che  i  ricorrenti  contestano,  ritenendo  l’indagine  peritale superflua  alla  luce  delle  risultanze  istruttorie  acquisite  in  primo grado.
Sennonché,  secondo  l’orientamento  consolidato  di  questa Corte,  dal  quale  non  vi  è  ragione  di  discostarsi,  la  consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre o meno  la  nomina  dell’ausiliario  (cfr. ex  plurimis Cass.  Sez.  1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007, Rv. 598312)
Con il nono motivo, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 345, terzo comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c. Lamentano che il CTU avrebbe escluso la presenza, prima della sopraelevazione, di un parapetto sulla terrazza di proprietà COGNOME facendo ricorso alle risultanze di documenti privi di rilievo probatorio (elaborati grafici e planimetrie progettuali), ovvero inammissibili in quanto acquisiti in violazione del divieto di ius novorum (riprese aerofotogrammetriche prodotte solamente in secondo grado).
La  censura  è  inammissibile,  in  quanto  non  coglie,  né  si confronta  adeguatamente  con  la ratio  decidendi della  sentenza impugnata.
Quanto  alle tavole progettuali, la Corte distrettuale ha osservato che nei rilievi del 1978, realizzati in occasione dei primi lavori  eseguiti  dagli  COGNOME  sui  luoghi  di  causa,  non  era rappresentata alcuna terrazza con parapetto prospicente la
proprietà COGNOME, ciò in coerenza con gli accertamenti eseguiti dal consulente nel corso delle indagini peritali, dalle quali era emerso che il piano orizzontale sovrastante l’immobile dei convenuti, esistente in loco prima della sopraelevazione, non era delimitato da un parapetto, ma da un cordolo in pietra alto non più di 20 o 30 cm, le cui vestigia erano rappresentate da un gradino di eguali dimensioni a tutt’oggi presente nel vano chiuso realizzato a seguito della sopraelevazione del muro (cfr. pag. 5 della sentenza).
Il giudice di merito, dunque, non ha considerato atomisticamente i progetti dell’epoca al fine di ricavare solo da essi la prova dello stato di fatto anteriore dell’immobile dei convenuti, ma li ha valorizzati, per la loro valenza descrittiva della situazione preesistente, unitamente alle plurime risultanze istruttorie, tutte convergenti, secondo l’accertamento in fatto della Corte d’Appello, insindacabile nella presente sede di legittimità, nel senso di escludere la preesistenza del parapetto.
Quanto alle riprese aerofotogrammetriche, di cui i ricorrenti lamentano l’irrituale acquisizione solamente in secondo grado, occorre osservare che il consulente tecnico ne ha tenuto conto non per dare la prova di fatti che erano stati dedotti dalle parti e che erano rimasti privi di riscontri, ma al solo scopo di corroborare e meglio illustrare le conclusioni raggiunte in base agli accertamenti eseguiti direttamente sui luoghi di causa. In particolare, il CTU ha osservato che la linea d’ombra proiettata sul piano orizzontale un tempo esistente nell’immobile dei ricorrenti , come raffigurata nelle riprese aeree del 1979, non era compatibile con la presenza di un parapetto, quanto piuttosto con un cordolo delle medesime dimensioni del gradino ancora oggi esistente nel vano chiuso.
Infine deve richiamarsi il principio affermato dalle sezioni untie con  la  pronuncia  n.  3086  del  2022  già  riportato  in  relazione all’ottavo motivo circa i poteri di acquisizione del CTU dei documenti necessari  al fine di rispondere  ai  quesiti  sottopostigli  senza preclusioni nei limiti indicati.
D’altra parte, quanto rappresentato nella ripresa aerofotogrammetrica non ha incidenza decisiva rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che risulta basata su plurime argomentazioni e risultanze istruttorie e non  viene scalfita, pertanto, dall’eventuale espunzione dell’osservazione – puramente rafforzativa circa la compatibilità tra la linea d’ombra ritratta nell e immagini aeree del 1979 e le dimensioni del gradino ancora oggi esistente nel vano chiuso dei ricorrenti.
La  censura  è  dunque  inammissibile  anche  per  difetto  di decisività.
10. Con il decimo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ‘ omessa e travisata lettura delle risultanze della CTU sull’innalzamento del muro comune; errata applicazione dell’art. 2697 e ss. c.c. in relazione all’art. 240 c.p.c. ‘. I ricorrenti si dolgono dell’errata valutazione, da parte della Corte d’Appello, delle risultanze della CTU, dalla quale sarebbe emerso che la sopraelevazione non aveva interessato il muro comune nella sua interezza, ma solamente la metà dello stesso dalla parte degli COGNOME.
La censura è inammissibile per difetto di specificità, in quanto si  limita  a  rinviare  alla  consulenza  e  ai  relativi  allegati,  che  si assumono  travisati  dal  giudice  di  merito,  senza  riportarne -nemmeno sinteticamente -il contenuto, così impendendo a questa
Corte, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di valutare  la  fondatezza  della  doglianza  (Cass.,  n.  14784  del 15/07/2015, Rv. 636120).
11 . L’undicesimo motivo è così rubricato: ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 comma 1 n. 3; errata applicazione dell’art. 2697 c.c. e ss. in relazione all’art. 240 c.p.c. sulla efficacia probatoria delle tavole progettuali ‘. I ricorrenti deducono che la Corte d’Appello, nel condividere le conclusioni del CTU in merito alla rilevanza delle risultanze delle tavole progettuali relative ai lavori eseguiti nel 1979, avrebbe fatto propria una lettura irrazionale dei documenti in questione, basata sulla congettura, priva di riscontri, secondo cui i parapetti andrebbero riportati nei progetti con due linee grafiche continue; per altro verso, lamentano che le tavole progettuali, come tali, sarebbero prive di qualsivoglia valore probatorio.
La censura è inammissibile, in quanto si duole della illogicità di argomentazioni rese dal consulente tecnico nel proprio elaborato (circa la rappresentazione grafica dei parapetti nelle tavole progettuali), che non risultano prese in considerazione dal giudice di merito ai fini della propria decisione.
Ad ogni buon conto, si osserva che i ricorrenti non colgono il senso delle suddette argomentazioni (come riportate nelle pagine 24 e 25 del ricorso), con le quali il CTU aveva osservato che, nelle tavole progettuali, ove era presente inconfutabilmente un p arapetto, ubicato in altra porzione dell’immobile COGNOME, si era fatto ricorso alla linea doppia, mentre nella rappresentazione della porzione a confine con la proprietà COGNOME era stata utilizzata una linea semplice, a conferma del fatto che il disegnatore non
intendesse  rappresentare,  nella  fattispecie,  alcun  parapetto  ivi ubicato.
12.  Con  il  dodicesimo  motivo,  i  ricorrenti  lamentano,  in relazione  all’art.  360,  primo  comma,  nn.  3  e  5  c.p.c.,  l’omesso esame di una circostanza decisiva ai fini della decisione, consistente nell’accertamento, da parte del CTU, della presenza di due porte di accesso alla terrazza NOME–NOME, preesistenti alla sopraelevazione.
La censura è inammissibile per difetto di specificità, dovendosi ribadire che ‘ In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia basato il proprio convincimento disattendendo le risultanze degli accertamenti tecnici eseguiti, non può limitarsi a censure apodittiche di erroneità o di inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice ” a quo”, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, è per contro tenuta ad indicare, riportandole per esteso, le pertinenti parti della consulenza ritenute erroneamente disattese, ed a svolgere concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, condizione di ammissibilità del motivo essendo che il medesimo consenta al giudice di legittimità (cui non è dato l’esame diretto degli atti se non in presenza di “errores in procedendo”) di effettuare, preliminarmente, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal
giudice di merito, il controllo della decisività della risultanza non valutata, delle risultanze dedotte come erroneamente od insufficientemente valutate, e un’adeguata disamina del dedotto vizio della sentenza impugnata; dovendosi escludere che la precisazione possa viceversa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità ‘ (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27702 del 03/12/2020, Rv. 659930 01)
13. Con il tredicesimo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ‘violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’assolvimento dell’onere della prova mediante la produzione dell’atto AVV_NOTAIO del 27/6/1978 che attesta l’esistenza del terrazzo di copertura vani in piano secondo ‘. Gli COGNOME lamentano l’erronea lettura del loro titolo di proprietà, risalente al 1978, che dava atto della presenza sin da allora della terrazza oggetto di causa.
La censura è inammissibile, in quanto il giudice di merito ha ritenuto,  alla  luce  delle  complessive  risultanze  istruttorie,  che  la terrazza  menzionata  nel  titolo  del  1978  non  avesse  nulla  a  che vedere con quella oggetto di causa, essendo ubicata in una diversa porzione dell’immobile dei convenuti.
Pertanto, le deduzioni dei ricorrenti, secondo cui il riferimento alla  terrazza  contenuto  nel  rogito  del  1978  dovrebbe  invece intendersi  riferito  proprio  ai  luoghi  di  causa,  si  risolvono  in  una contestazione all’accertamento in fatto operato dalla Corte
distrettuale  e  così  sollecitano  un  nuovo  sindacato  di  merito,  in questa inammissibile.
D’altra parte, la censura è inammissibile anche per difetto di specificità,  dal  momento  che  non  viene  nemmeno  riportato  il contenuto  della  clausola  contrattuale  che  si  assume  malamente interpretata dal giudice di merito.
14. Con il quattordicesimo motivo, i ricorrenti, nel denunziare, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt.  100  e  112  c.p.c.,  lamentano  la  carenza  di  un  interesse concreto ed attuale in capo alla COGNOME, che nulla aveva allegato sul punto, ad ottenere la rimozione dell’antenna parabolica ubicata nello spazio sovrastante il tetto di sua proprietà.
La censura è infondata.
Come risulta dall’esame dell’atto introduttivo del giudizio, cui questa Corte ha accesso in ragione della natura di error in procedendo del vizio denunciato, la COGNOME aveva lamentato che l’installazione dell’antenna parabolica, al pari della finestra creata nell’apertura ricavata dai convenuti nella sopraelevazione del muro comune, comprometteva le possibili future attività edificatorie sul fondo dell’attrice, limitando, in particolare, la possibilità della medesima di procedere a sua volta a sopraelevazione (cfr. pagg. 3 e 4 della citazione).
Non corrisponde pertanto al vero che la COGNOME non avesse dedotto alcunché al fine di rappresentare il proprio interesse alla rimozione, tra le altre opere, anche dell’antenna parabolica.
La pronuncia impugnata è peraltro coerente con l’insegnamento  di  questa  Corte,  secondo  cui  ‘ La  sussistenza dell’interesse  del  proprietario  del  suolo  ad  escludere  l’attività  di
terzi, che si svolga nello spazio sovrastante, ai sensi dell’art. 840, secondo comma, cod. civ., va valutata con riferimento non soltanto all’attuale situazione e destinazione del suolo, ma anche alle sue possibili, future utilizzazioni, sia pure in concreto non individuate, purché compatibili con le caratteristiche e la normale destinazione del suolo medesimo, a nulla rilevando che questo sia attualmente soggetto a servitù incompatibili con l’utilizzazione edificatoria dello spazio ad esso sovrastante da parte del proprietario. Tali limitazioni, infatti, potendo venir meno nel tempo, non escludono che alla futura utilizzazione del suolo possa derivare pregiudizio dalla tolleranza di violazioni corrispondenti all’illegittimo esercizio di nuove servitù, le quali potrebbero costituirsi per usucapione, incidendo, quindi, in via autonoma sulle possibili future utilizzazioni del fondo ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17207 del 11/08/2011, Rv. 618781).
15. Con il quindicesimo motivo, i ricorrenti, denunziando violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c., lamentano che la Corte territoriale non ha tenuto conto della mancata contestazione, da parte della COGNOME, della circostanza dedotta dai convenuti, relativa alla parziale asportazione del pluviale di proprietà COGNOME ad opera del dante causa dell’attrice, COGNOME NOME. Sostengono che, ove avesse tenuto conto di tale fatto, il giudice di merito non avrebbe condannato i convenuti a ripristinare il pluviale, in quanto avrebbe accertato che il relativo malfunzionamento era dipeso esclusivamente da condotta ascrivibile ai danneggiati.
16 . Il sedicesimo motivo è così rubricato: ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5; violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 908 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c.; omessa considerazione della risposta del CTU al quesito sub n. 2 lettera d) ‘. Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto che, secondo quanto accertato dal CTU, lo stato attuale della grondaia era dipeso da lavori eseguiti dal dante causa dell’attrice sulla proprietà COGNOME, e non da interventi ascrivibili ai convenuti. Lamentano, inoltre, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per aver il giudice di merito condannato gli COGNOME al prolungamento del pluviale sino a terra, sebbene nelle conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo la COGNOME ne avesse chiesto la rimozione.
16.1 Le censure, suscettibili di esame  congiunto,  sono inammissibili,  in  quanto  non  colgono  la ratio  decidendi della sentenza impugnata, la quale ha osservato che dalle risultanze di causa non era emerso che la parziale rimozione della grondaia fosse dipesa da iniziative assunte invito  domino dal  dante  causa  della COGNOME, ragion per cui gli COGNOME erano tenuti a rispondere degli  inconvenienti  arrecati  dal  proprio  pluviale,  che  risultava troncato a mezz’aria.
I ricorrenti non si confrontano specificamente con tali argomentazioni,  ma  si  limitano a sostenere  che  la parziale asportazione  del  pluviale  avrebbe  dovuto  essere  dal  giudice  di merito  ascritta  all’esclusiva  responsabilità  del  dante  causa  della COGNOME,  così  di  fatto  inammissibilmente  sollecitando  un  nuovo esame del fatto.
Non ricorre, da ultimo, il vizio di ultrapetizione denunciato con il sedicesimo motivo di ricorso, per aver la Corte d’Appello disposto,
in luogo della rimozione, il prolungamento del pluviale sino a terra onde eliminare lo scolo sul fondo attoreo.
Si deve osservare, in primo luogo, che in tema di azioni volte alla demolizione o alla rimozione di un’opera, le eventuali ulteriori istanze della parte attrice, volte ad ottenere una determinata modalità di esecuzione, non costituiscono nuova domanda in senso tecnico, ma rappresentano una mera sollecitazione all’esercizio di poteri che competono d’ufficio al giudice della cognizione, potendosi nella sentenza proporre anche delle alternative (trasformazione o delimitazione dell’opera) o, ancora, specificare le modalità tecniche di attuazione del ‘ decisum ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5413 del 18/03/2015, Rv. 635015).
D’altra parte, nella fattispecie l’attrice aveva domandato, in via subordinata, la condanna dei convenuti alla regolamentazione delle opere,  cosicché  certamente  sussisteva  il  potere  del  giudice  di merito di adottare la soluzione tecnica ritenuta più opportuna, in relazione allo stato dei luoghi, per porre fine allo scolo di acqua dal fondo COGNOME–NOME a quello della COGNOME.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
 Le  spese  di  lite  seguono  la  soccombenza  e  vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese che liquida in complessivi euro 4000 per compensi, euro 200 per esborsi, oltre  al  rimborso  forfettario  al  15%  IVA  e  CPA come per legge.
Dà  atto,  ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1-quater  D.P.R.  n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione