Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20705 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20705 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3658/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elett.te domiciliati in ROMAINDIRIZZO, presso Campisi Claudio, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME NOME, elett.te domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n.1636/2019 depositata il 5.8.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28.5.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 1485/2016 dell’8/9.3.2016, accogliendo solo una delle domande avanzate da COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari dell’unità immobiliare sita in Palermo, INDIRIZZO, con atto di citazione notificato l’11.11.2011 a NOME, che aveva realizzato abusivamente una serie di interventi edilizi sulla proprietà confinante poi condonati, condannava quest’ultimo a rimuovere la copertura cementizia delle tubature di adduzione del gas all’immobile degli attori ed al pagamento per 1/4 delle spese processuali degli attori, compensate per i residui 3/4.
La sentenza rigettava, invece, le domande degli attori di accertamento della loro acquisizione per usucapione delle servità di veduta, aria e luce dalla apertura esistente al piano terra del loro immobile sul fondo del convenuto, di conseguente accertamento della sopraelevazione di circa 70 cm della quota di calpestio del cosiddetto ex pozzo luce del convenuto per violazione delle distanze legali prescritte dall’art. 907 cod. civ. e dall’art. 9 del D.M. n.1444/1968, rispettivamente per le vedute e per le pareti finestrate, di accertamento dell’inesistenza della veduta dal piano di calpestio dell’ex pozzo luce che era stato elevato dal convenuto al vano bagno al piano terra di proprietà degli attori, e di accertamento dell’inesistenza della servitù di ” ancoraggio ” ( rectius
ancoraggio) delle grondaie del convenuto alla loro proprietà, con conseguente ripristino della situazione anteatta.
Nel corso del giudizio di primo grado il convenuto, inizialmente contumace, si era costituito tardivamente, producendo alcuni documenti relativi alla sua proprietà ed alle sanatorie relative, ed aveva impedito agli attori di assistere alle operazioni peritali del primo CTU, AVV_NOTAIO, per la parte svoltasi all’interno del suo immobile, ed il CTP del convenuto era stato contattato privatamente dal primo CTU.
A seguito delle contestazioni tempestivamente sollevate dagli attori, sia per la lesione del loro diritto di difesa, che del dovere d’imparzialità del CTU, con conseguente nullità della relazione, il giudice aveva inizialmente disposto che il CTU NOME tornasse sui luoghi di causa, ed effettuasse le operazioni peritali nel contraddittorio delle parti.
In seguito, a fronte delle reiterate contestazioni degli attori al secondo sfavorevole elaborato del AVV_NOTAIO, sia in relazione agli aspetti già censurati, sia in relazione al fatto che era pendente un giudizio tra essi ed il AVV_NOTAIO COGNOME sul pagamento del compenso dell’ausiliario, il giudice aveva ravvisato violazioni del diritto di difesa per taluni atti e del dovere d’imparzialità del primo CTU, e pur senza dichiarare formalmente la nullità della prima CTU, aveva ritenuto opportuno nominare in sostituzione un CTU dotato di maggiore esperienza professionale, l’AVV_NOTAIO COGNOME, conferendogli l’incarico di accedere sui luoghi di causa nel contraddittorio delle parti e di dare risposta ai quesiti, con autorizzazione a prendere visione degli atti di causa.
Le parti avevano quindi potuto presentare le proprie osservazioni alla bozza dell’AVV_NOTAIO COGNOME prima del deposito della relazione finale, e gli attori avevano contestato che per l’accertamento dell’innalzamento del piano di calpestio del pozzo luce, l’AVV_NOTAIO COGNOME si era avvalso di documenti illegittimamente
acquisiti dal primo CTU, eccependo quindi la nullità del suo elaborato per tale aspetto.
Impugnata la sentenza di primo grado dagli originari attori, con la riproposizione delle domande non accolte, la Corte d’Appello di Palermo, nella resistenza dello COGNOME, con la sentenza n. 1636/2019 del 5.7/5.8.2019, rigettava l’appello e condannava gli appellanti in solido al pagamento delle spese processuali di secondo grado.
In particolare la Corte d’Appello fondava il rigetto delle domande riproposte dagli originari attori, non come aveva fatto il Tribunale di Palermo, sulla ritenuta inattendibilità delle testimonianze acquisite, ma sul fatto che le aperture al piano terra, ma anche quella al primo piano del fabbricato degli attori, mancando della normale destinazione obiettiva a guardare in modo comodo e sicuro nel fondo del convenuto e della possibilità della prospectio, tenuto conto delle rispettive altezze dai rispettivi piani di calpestio , non potevano essere qualificate come vedute, trattandosi piuttosto di luci irregolari, che non essendo aperte su un muro del convenuto, o su un muro comune, erano prive di segni visibili ed opere permanenti rivelatori dell’esistenza di un peso sul fondo del vicino, e non potevano quindi dar luogo ad un’acquisizione di servitù per usucapione.
L’impugnata sentenza basava tale accertamento di fatto sulla tavola 2 dell’allegato 6 della relazione del CTU COGNOME, ritenendola utilizzabile perché non compromessa dall’eventuale nullità di alcuni specifici accertamenti e rilevazioni compiuti dal suddetto CTU in violazione delle regole del contraddittorio (con richiamo a Cass. n. 3893/2017), e sulle immagini f e g dell’allegato B della relazione del CTU COGNOME.
Dalla mancanza di vedute acquisibili per usucapione dagli originari attori, la Corte d’Appello faceva derivare l’irrilevanza delle questioni di violazione delle distanze legali degli articoli 907 cod.
civ. e dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, e della questione della qualificabilità come costruzione dell’innalzamento del piano di calpestio del pozzo luce e della consistenza di tale innalzamento.
La sentenza impugnata respingeva poi l’ actio negatoria servitutis, riproposta dagli attori, rispetto alla veduta a loro avviso esercitabile dalla più elevata quota del piano di calpestio dell’ex pozzo luce del convenuto, per la mancanza di una comoda prospectio, dovuta sia all’angustia dell’intercapedine del convenuto, larga appena una cinquantina di centimetri, dalla quale la veduta si sarebbe dovuta esercitare, sia al fatto che l’apertura del bagno al piano terra degli attori era munita di una griglia con maglie più ampie di quelle prescritte dall’art. 901 cod. civ., che non consentiva agevolmente di guardare all’interno del bagno stesso dall’esterno.
La Corte d’Appello, infine, respingeva l’ actio negatoria servitutis riproposta dagli originari attori in ordine all’ancoraggio delle grondaie del convenuto al muro degli attori, in quanto i consulenti tecnici d’ufficio avevano accertato che le coperture in legno e tegole realizzate dal convenuto non interessavano tale muro.
Avverso tale sentenza, notificata l’8.11.2019, hanno proposto tempestivo ricorso alla Suprema Corte gli originari attori, affidandosi a sette motivi, e resiste NOME con controricorso.
I soli ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 della Costituzione, dell’art. 132 comma secondo n. 4) c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sotto il profilo
della mancanza di motivazione, e comunque della motivazione incomprensibile ed apparente.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia fatto errato riferimento sia all’apertura del primo piano, sia a quella del bagno al piano terra del loro immobile, mentre la loro domanda di usucapione era riferita solo a quest’ultima, e che abbia errato nel sussumere la stessa nell’ambito della categoria delle luci irregolari, anziché delle vedute, ancorché la CTU COGNOME, la sola utilizzabile, avesse indicato alla pagina 5, che si trattava di una finestra che poteva essere completamente aperta in tutta la sua dimensione e che era stata costruita in modo che non fosse impedita la totale visuale da una proprietà all’altra, e quindi a loro avviso, di una veduta acquisibile per usucapione.
Deducono poi i ricorrenti che la Corte d’Appello, nel motivare circa la mancanza della facoltà di prospectio dall’apertura del piano terra, abbia fatto riferimento a documentazione tecnica e foto di per sé non indicative, che avevano portato il AVV_NOTAIO ad una conclusione opposta rispetto a quella ritenuta in sentenza.
Premesso che della domanda inerente all’ actio negatoria servitutis relativa all’apertura del primo piano del fabbricato dei ricorrenti, ci si occuperà in sede di trattazione del settimo motivo, ad essa specificamente destinato, in quanto il sindacato sull’esistenza della domanda giudiziale e dell’extrapetizione necessariamente precede quello sulla motivazione, per il resto il primo motivo é infondato.
La sentenza impugnata, come già riportato nella descrizione del fatto, ha compiutamente motivato circa l’impossibilità di qualificare l’apertura del piano terra degli originari attori come veduta, in quanto la stessa non consente oltre alla inspectio, sulla quale sola si soffermano i ricorrenti, anche la prospectio, ossia l’affaccio su fondo altrui, ed in quanto non consente di guardare il fondo dell’originario convenuto in modo comodo e sicuro data l’altezza dal
piano di calpestio, provvedendo ad indicare le fonti documentali sulle quali ha basato tale accertamento, in tal modo valutando criticamente la considerazione effettuata dal AVV_NOTAIO circa la possibilità di completa apertura (peraltro solo interna) della finestra del bagno, che é chiusa esternamente da una grata. La sentenza impugnata ha altresì richiamato la giurisprudenza della Suprema Corte, che ai fini della configurabilità del diritto di veduta, considera essenziale l’esercizio della prospectio e non solo della inspectio (Cass. n. 346/2017 e nello stesso senso Cass. 21.5.2012 n. 8009), e nessuna argomentazione critica é stata prospettata per superare tale orientamento. La Corte d’Appello ha poi escluso anche la configurabilità di una servitù per luce irregolare, richiamando sia la giurisprudenza della Suprema Corte che evidenzia come per essa manchi il carattere dell’apparenza che renda evidente l’esistenza del peso sul fondo vicino indispensabile per l’usucapione (Cass. n. 11343/2004; Cass. n.71/2002; Cass. sez. un. n. 10285/1996), sia la giurisprudenza della Suprema Corte che ammette la costituzione della servitù di luce irregolare per possesso ad usucapionem delle luci irregolari, ma solo quando esse siano realizzate sul muro comune, o di proprietà esclusiva del confinante (Cass. n. 28804/2018), mentre nella specie la finestra del bagno, in base a quanto indicato dagli stessi ricorrenti nell’originario atto di citazione, si trova nel muro del fabbricato di loro proprietà.
La circostanza poi che l’impugnata sentenza, per errore, abbia fatto riferimento anche all’apertura del primo piano del fabbricato degli originari attori, profilo sul quale si tornerà nell’esaminare i settimo motivo, non inficia la validità e compiutezza della motivazione addotta sulle domande di usucapione riferite all’apertura del bagno del piano terra effettivamente avanzate, e sulle conseguenti domande di accertamento della violazione delle distanze legali degli articoli 907 cod. civ. e dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 rispetto ad essa.
La nuova formulazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 5.7/5.8.2019), ha ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (vedi tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 28390 del 2023; Cass. n. 26704 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n.33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione (vedi Cass. sez. un. n. 8053 del 2014; Cass. n.7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 1522 del 2021 e Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023) o di sua ” contraddittorietà ” (vedi Cass. n.7090 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 28390 del 2023). La sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ” insanabile ” e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ” insuperabile “.
In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 1522 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ” motivazione apparente ” nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (Cass. sez. un. n.2767 del 30.1.2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n.22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
Nel caso in esame non sussiste quindi alcuna delle ipotesi di mancanza, o mera apparenza della motivazione ancora censurabili in cassazione.
Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza, o del procedimento, per violazione degli articoli 183 comma 6°, 153, 156, 157, 159 e 196 c.p.c..
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza abbia posto a fondamento della propria decisione la CTU AVV_NOTAIO, viziata integralmente da nullità per violazione dei diritti di difesa degli
attori e del dovere d’imparzialità del primo CTU e per acquisizione di documenti tardivamente prodotti dal convenuto, e la CTU COGNOME, a sua volta viziata da nullità per la parte in cui quanto alla sopraelevazione dell’ex pozzo luce si era basata su accertamenti compiuti dal primo CTU e su documenti dal medesimo acquisiti, ed assumono che la sentenza impugnata ed il procedimento siano quindi affetti da nullità derivata.
Sostengono inoltre i ricorrenti, che non bastasse il richiamo della Corte d’Appello alla sentenza n. 3893/2017 della Corte di Cassazione per salvare l’impugnata sentenza dalla nullità, in quanto quella pronuncia escludeva l’incidenza sulla validità della CTU dell’eventuale nullità di alcune rilevazioni ed accertamenti compiuti dal medesimo ausiliario per violazione del principio del contraddittorio e conseguente pregiudizio del diritto di difesa delle parti, ove tali rivelazioni od accertamenti non avessero spiegato effetto sul contenuto della CTU e sulle relative conclusioni finali, mentre nel caso di specie a dimostrare l’erroneità delle conclusioni viziate del primo CTU sarebbero state quelle della seconda CTU, per la quale la finestra del bagno degli attori poteva essere completamente aperta in tutta la sua dimensione e consentiva la visuale sulla proprietà del convenuto.
Il secondo motivo é infondato.
Va premesso che non vi é stata una formale dichiarazione di nullità della CTU COGNOME, tempestivamente eccepita dagli attori, né una parziale dichiarazione di nullità della CTU COGNOME, anch’essa tempestivamente eccepita, avendo il giudice di primo grado evidenziato solo la violazione del diritto di difesa degli attori per gli accertamenti che il CTU COGNOME aveva compiuto sull’immobile di proprietà COGNOME senza che fosse consentito l’accesso in esso degli attori e del loro CTP, e per l’acquisizione di alcuni documenti sulla proprietà e sanatoria dell’immobile del convenuto dal medesimo tardivamente prodotti, e la violazione del dovere
d’imparzialità del primo CTU, per avere avuto contatti col CTP del convenuto in assenza di contraddittorio con gli attori.
I documenti che sono stati utilizzati dalla Corte d’Appello per rilevare che l’apertura del bagno al piano terra degli attori non consentiva la prospectio, e mancava quindi di un requisito essenziale per essere qualificata come veduta (la tavola 2 dell’allegato 6 della CTU NOME e le immagini f e g dell’allegato B della CTU COGNOME), non erano però coinvolti dai profili di violazione del contraddittorio, del diritto di difesa e dalla violazione del dovere d’imparzialità ravvisate, trattandosi di rilievi e documentazione fotografica relativi all’immobile degli attori, che sono stati acquisiti nel pieno contraddittorio degli attori medesimi e che mostrano la presenza di una grata che impedisce l’affaccio, e gli attori riportano solo parzialmente le conclusioni della CTU COGNOME in ordine alla possibilità di apertura completa della finestra del loro bagno, omettendo di riferire che vi si parla solo di apertura interna della finestra, ma senza la possibilità dell’affaccio esterno, impedito dalla grata.
Ne consegue che correttamente la Corte d’Appello ha richiamato la sentenza n. 3893/2017 della Corte di Cassazione, per escludere che i documenti sopra indicati, utilizzati per escludere l’esistenza di una veduta, risultassero viziati dall’eventuale nullità degli specifici accertamenti e rilevazioni compiuti dal AVV_NOTAIO in violazione delle regole del contraddittorio, tanto più che il CTU COGNOME era stato espressamente autorizzato ad utilizzare gli atti di causa, per la parte in cui non risultavano compromessi nella loro validità dalla pregressa violazione del contraddittorio.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 880, 902, 903 e 1061 cod. civ..
Si dolgono i ricorrenti del fatto che la Corte d’Appello, dopo avere richiamato la sentenza n. 28804/2018 della Corte di
Cassazione, che ha sancito l’ammissibilità dell’acquisizione per usucapione delle servitù di luce irregolare aperte sul muro divisorio tra fondi quando siano realizzate su un muro di proprietà comune, o di proprietà del confinante (ossia iure servititis ), negandola invece quando siano realizzate su muro di proprietà dell’autore dell’apertura (ossia iure proprietatis ), non abbia sussunto la fattispecie concreta nella prima ipotesi, ancorché nella pagina 10 della CTU AVV_NOTAIO fosse indicato che la finestra del bagno degli attori riultava aperta sul muro di confine in comunione con la proprietà limitrofa.
4) Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 111 della Costituzione, 132 comma secondo n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., sotto il profilo dell’assenza, incomprensibilità, o mera apparenza della motivazione.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello abbia omesso di spiegare per quale ragione non abbia tenuto conto della circostanza, rappresentata alla pagina 10 della CTU AVV_NOTAIO, relativa all’apertura della nuova finestra del bagno sul muro di confine in comunione con la proprietà limitrofa.
Il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente perché entrambi relativi al mancato riconoscimento nell’apertura del bagno a piano terra degli attori di una servitù di luce irregolare, sono infondati, in quanto non vi é stato alcun errore di sussunzione da parte della Corte d’Appello, che si é attenuta al fatto che gli attori fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado hanno invocato l’usucapione della servitù di veduta per l’apertura del bagno posto al piano terra del loro fabbricato, per poi pretendere il rispetto delle distanze legali dell’art. 907 cod. civ. dalla veduta e dell’art. 9 del D.M. n.1444/1968 dalla parete finestrata di proprietà individuale, mai facendo riferimento al fatto che l’apertura fosse inserita in un
muro comune, che se esistente sul confine non li avrebbe certo legittimati a pretendere il rispetto di quelle distanze.
Appare poi singolare che i ricorrenti, per sostenere la tesi che l’apertura in questione fosse ubicata su un muro comune e legittimasse quindi l’indagine sull’usucapibilità di una servitù di luce irregolare, estrapolino dal contesto una frase della pagina 10 relativa ad aspetto estraneo ai quesiti della AVV_NOTAIO, ossia proprio di quella relazione della quale hanno contestato la nullità per violazione del diritto di difesa e di imparzialità.
In realtà la Corte d’Appello ha ben spiegato, con richiamo ai precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte, che la realizzazione della luce irregolare su un muro di proprietà degli attori, munita di grata (a maglie più ampie di quelle previste dall’art. 901 cod. civ.) che impedisce la prospectio, non consente di stabilire se il convenuto abbia tollerato la presenza di essa riservandosi la facoltà di chiuderla, o se l’abbia subita come un peso sul suo fondo, mancando quindi quei segni visibili ed opere permanenti che possano rivelare inequivocamente la presenza di un peso sul fondo del vicino e che sono indispensabili per poter acquisire per usucapione una servitù, per cui non é affatto ravvisabile il vizio di mancanza, incomprensibilità, o mera apparenza della motivazione lamentato.
Quanto alla mancanza, o mera apparenza della motivazione, é evidente che non ricorre alcuna delle ipotesi ancora censurabili di cui alla giurisprudenza di questa Corte sopra riportata.
Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 della Costituzione, dell’art. 132 comma secondo n. 4) c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sotto il profilo della motivazione meramente apparente.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte d’Appello abbia respinto l’ actio negatoria servitutis da loro esercitata avverso l’innalzamento
del piano di calpestio del cosiddetto ex pozzo luce da parte del convenuto, con la motivazione che l’esistenza della grata sull’apertura del loro bagno non avrebbe consentito di guardare da quel piano all’interno del bagno, e che lo spazio esterno della larghezza di appena 50 cm non avrebbe consentito, per la sua angustia, di esercitare comodamente la veduta in danno degli attori, fornendo una motivazione meramente apparente.
Deducono, infatti, i ricorrenti, che la grata all’apertura sarebbe stata da loro apposta solo dopo i fatti di causa, come emergente dalla loro comparsa conclusionale di primo grado e dalla memoria conclusiva di replica di secondo grado, e che non era dato comprendere da dove la Corte d’Appello avesse tratto il dato della larghezza dell’intercapedine di 50 cm, posto tra l’altro che la finestra del loro bagno si affacciava su un ambiente ampio e che in ogni caso il corpo umano aveva una larghezza inferiore a 50 cm, che certamente non impediva l’esercizio della veduta verso il bagno degli attori con pregiudizio anche per la loro riservatezza.
Tale motivo é infondato, in quanto la motivazione di rigetto sul punto addotta dalla Corte d’Appello é tutt’altro che meramente apparente, avendo spiegato le ragioni del rigetto sia in riferimento alle caratteristiche di fatto del luogo di contestato esercizio della veduta, sia in riferimento alle caratteristiche di fatto dell’oggetto passivo della medesima, anche se in termini non condivisi dai ricorrenti, non potendosi poi pretendere dalla Suprema Corte, che non é giudice del fatto, una nuova e diversa valutazione sul tempo di realizzazione della grata dell’apertura del bagno dei ricorrenti, per di più sulla base di mere deduzioni formulate negli scritti conclusivi di primo e di secondo grado degli attuali ricorrenti.
Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 cod. civ., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 cod. civ. in tema di distanze, infatti, è necessario che le cosiddette inspectio et prospectio in alienum , vale a dire le
possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (Cass. 12.12.2022 n. 36147; Cass. 10.2.2020 n. 3043), condizioni che l’impugnata sentenza ha motivatamente escluso in punto di fatto.
Si richiama anche per questo motivo la giurisprudenza di questa Corte sopra citata sulle ipotesi di mancanza e di mera apparenza della motivazione, che qui non ricorrono.
Col sesto motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 della Costituzione, dell’art. 132 comma secondo n. 4) c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., sotto il profilo della motivazione meramente apparente ed irriducibilmente contraddittoria.
Si dolgono i ricorrenti del fatto che l’impugnata sentenza, nel motivare il rigetto della loro actio negatoria servitutis inerente all’ancoraggio delle grondaie del convenuto al loro muro, abbia fatto riferimento agli accertamenti dei CTU, che avrebbero appurato che le coperture in legno e tegole realizzate dal convenuto non avrebbero interessato il muro di proprietà dei ricorrenti, in tal modo contraddicendo quanto sostenuto nel motivare la ritenuta insussistenza della loro servitù di veduta, ossia che il muro nel quale si trovava l’apertura del bagno sarebbe stato di proprietà esclusiva degli attuali ricorrenti.
Il motivo è infondato.
Richiamata ancora una volta la giurisprudenza della Suprema Corte già richiamata sulle ipotesi di mancanza, mera apparenza e contraddittorietà della motivazione ancora censurabili, che nella specie non ricorrono, non é ravvisabile comunque alcuna contraddittorietà nel percorso logico seguito dall’impugnata sentenza, che precluda la comprensione delle ragioni delle decisioni adottate, in punto di rigetto della domanda di usucapione della
servitù di veduta dall’apertura del bagno al piano terra del fabbricato degli originari attori, e di rigetto della loro azione volta ad ottenere il diniego della servitù di ancoraggio delle grondaie del convenuto alla loro proprietà.
Ed invero, nel primo caso, si é attribuito rilievo al fatto che essendo l’apertura ubicata sul muro di proprietà esclusiva degli originari attori e chiusa da una grata, non poteva neppure ipotizzarsi la costituzione per usucapione di una servitù di luce irregolare, ammessa dalla Suprema Corte solo quando la luce irregolare si trovi su un muro comune, o su un muro di proprietà esclusiva del confinante, mentre nel secondo caso, si é esclusa la servitù di ancoraggio, in quanto semplicemente mancava l’ancoraggio con quel muro di proprietà esclusiva dei ricorrenti.
Col settimo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, o del procedimento, per violazione degli articoli 101 e 112 c.p.c.
Si dolgono i ricorrenti che l’impugnata sentenza, violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, abbia rigettato una presunta loro domanda di accertamento di usucapione della veduta esercitata dalla finestra del primo piano del loro stabile, ed una domanda conseguente di accertamento della violazione della distanza legale dell’art. 907 cod. civ. e dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968 rispetto a quella finestra, con conseguente ripristino della situazione anteatta, in realtà mai da loro proposte, avendo essi avanzato quelle domande soltanto per l’apertura del bagno al piano terra del loro fabbricato.
Questo motivo è fondato.
Dalla lettura dell’atto di citazione, della memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. e delle conclusioni dell’atto di appello degli attuali ricorrenti, infatti, consentita in quanto viene lamentato un vizio processuale, si desume che effettivamente COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno chiesto tutela giudiziale per vedersi
riconosciuto per usucapione il diritto di servitù di veduta, o di servitù di luce irregolare, limitatamente all’apertura del bagno del piano terra del loro fabbricato, e sempre rispetto ad essa hanno invocato il rispetto delle distanze legali previste per le vedute e per le pareti finestrate con ripristino della situazione anteatta, non avendo avanzato neppure nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. domande analoghe riferite però alla finestra del primo piano, alla quale quindi la Corte d’Appello di Palermo ha fatto improprio riferimento in motivazione incorrendo in extrapetizione.
E’ vero poi che, come sostenuto dal controricorrente, il vizio di extrapetizione dà luogo ad una nullità relativa (Cass. 4.9.2000 n.11559; Cass. 11.4.2000 n. 4592) e non assoluta, che va fatto valere come mezzo d’impugnazione (Cass. 27.3.1984 n. 2028), ma nella specie la sentenza di primo grado aveva correttamente rigettato le domande di usucapione della servitù di veduta, o di luce irregolare, e le conseguenti domande volte ad ottenere per essa il rispetto delle distanze legali ed il ripristino della situazione anteatta solo in relazione all’apertura del bagno al piano terra degli attori, sicché il vizio di extrapetizione limitato all’improprio riferimento motivazionale é emerso solo con la pronuncia della Corte d’Appello ed é stato quindi tempestivamente impugnato in questa sede.
I giudici di appello, quindi, a pagina 4 penultimo capoverso della sentenza, hanno errato a fare riferimento anche alla finestra del primo piano.
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione a tale vizio.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 comma 2 cpc: va dunque eliminato il riferimento alla finestra al primo piano contenuto a pag. 4 della sentenza impugnata penultimo capoverso.
Per il governo delle spese del giudizio di secondo grado, che non sono state oggetto di un motivo specifico d’impugnazione, malgrado l’accoglimento del settimo motivo di ricorso, resta applicabile il principio della prevalente soccombenza e rimane ferma la già intervenuta condanna alle spese degli appellanti.
L’accoglimento in misura limitata del ricorso giustifica la compensazione per 1/3 delle spese del giudizio di legittimità, con condanna dei ricorrenti al pagamento dei residui 2/3, da distrarre in favore del legale antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO che ne ha fatto richiesta.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa senza rinvio l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, elimina il riferimento alla finestra al primo piano contenuto a pagina 4 penultimo capoverso della sentenza.
Conferma la pronuncia sulle spese del giudizio di appello. Dichiara compensate per 1/3 le spese di questo giudizio e condanna in solido i ricorrenti al pagamento della residua frazione di spese che per l’intero liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15% con distrazione in favore del difensore antistatario del controricorrente, AVV_NOTAIO, sì deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.5.2024