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Servitù di veduta: Cassazione su usucapione e prove

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7055/2024, ha rigettato il ricorso di una proprietaria condannata a demolire parzialmente una sopraelevazione per violazione di una servitù di veduta. La Corte ha stabilito che la valutazione delle prove testimoniali, che avevano dimostrato l’acquisto del diritto per usucapione da parte del vicino, spetta ai giudici di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, anche se in apparente contrasto con atti pubblici.

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Servitù di veduta per usucapione: la prova testimoniale può prevalere sugli atti pubblici?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7055 del 15 marzo 2024, torna a pronunciarsi su un tema classico del diritto immobiliare: la servitù di veduta. La decisione chiarisce i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle prove, confermando che l’apprezzamento dei fatti, come la credibilità dei testimoni per dimostrare l’usucapione, è di esclusiva competenza dei giudici di merito.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da una controversia tra due proprietari confinanti. Un uomo citava in giudizio la sua vicina, sostenendo di essere titolare di una servitù di veduta diretta, esercitata da un terrazzo della sua proprietà. Tale diritto, a suo dire, era stato acquisito per usucapione, ovvero per un esercizio continuo e pacifico del diritto per oltre vent’anni. Chiedeva quindi la condanna della vicina alla demolizione di una recente costruzione che, essendo stata realizzata a ridosso del suo terrazzo, violava le distanze legali previste dall’art. 907 del Codice Civile.

La vicina si opponeva, negando l’esistenza della servitù e chiedendo, in via riconvenzionale, l’eliminazione della veduta stessa. Il Tribunale di primo grado rigettava entrambe le domande. La Corte d’Appello, invece, riformava parzialmente la sentenza: accoglieva l’appello principale del vicino, riconoscendo l’avvenuta usucapione della servitù di veduta sulla base delle prove testimoniali e condannava la proprietaria a ‘ricondurre’ la sua costruzione alle distanze legali, abbassandola a tre metri dalla soglia del terrazzo del vicino.

L’analisi della Corte sulla servitù di veduta e il ricorso in Cassazione

La proprietaria soccombente presentava ricorso per cassazione, articolando ben otto motivi di doglianza. Sostanzialmente, lamentava che la Corte d’Appello avesse errato nel dare prevalenza alle testimonianze rispetto a prove documentali (un atto di donazione del 1985 e una concessione edilizia del 1986) che, a suo avviso, avrebbero dimostrato l’inesistenza del terrazzo all’epoca dei fatti. Criticava, inoltre, il modo in cui i giudici di merito avevano valutato le prove e omesso di considerare le sue deduzioni sul valore confessorio di alcune dichiarazioni.

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i motivi del ricorso, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio di cassazione non è un terzo grado di merito. Il suo compito non è quello di rivalutare i fatti o di stabilire quale prova sia più credibile, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Decisione

I giudici di legittimità hanno spiegato che le censure della ricorrente, sebbene formalmente presentate come violazioni di legge (es. artt. 2700, 2722, 116 c.p.c.), miravano in realtà a ottenere un nuovo e diverso apprezzamento delle prove. La Corte d’Appello aveva ritenuto, con motivazione incensurabile, che le testimonianze fossero attendibili e sufficienti a dimostrare l’esistenza del terrazzo da un tempo utile per l’usucapione (almeno dal 1965). Aveva inoltre specificato che gli atti pubblici menzionati non escludevano in modo inequivocabile la preesistenza del terrazzo. Anzi, la concessione edilizia del 1986 lo menzionava come ‘terrazzo esistente’.

La Cassazione ha sottolineato che contestare la valutazione della prova testimoniale o l’interpretazione di un documento non costituisce un vizio di violazione di legge, ma attiene al merito della causa. La ricorrente, per ottenere un risultato diverso, avrebbe dovuto criticare l’esegesi dell’atto di donazione secondo i canoni ermeneutici (art. 1362 e ss. c.c.) o denunciare un ‘omesso esame di un fatto storico decisivo’ nei rigorosi limiti previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c., cosa che non è avvenuta. In definitiva, la Corte ha confermato la decisione d’appello, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma la netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La prova dell’acquisto per usucapione di una servitù di veduta può fondarsi validamente su prove testimoniali, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di primo e secondo grado. A meno di palesi vizi logici o di violazioni di specifiche norme sulla prova legale, la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno direttamente esaminato le prove. La decisione rappresenta un importante monito per chi intende impugnare una sentenza di merito, ricordando che il ricorso in Cassazione deve concentrarsi su questioni di diritto e non su un riesame dei fatti.

È possibile provare l’acquisto per usucapione di una servitù di veduta tramite testimoni anche se atti pubblici sembrano indicare il contrario?
Sì. Secondo la sentenza, la Corte d’Appello ha legittimamente fondato la sua decisione sulle prove testimoniali che confermavano l’esistenza del terrazzo da oltre un ventennio, ritenendole attendibili. La valutazione della credibilità delle prove è un compito del giudice di merito, non sindacabile in Cassazione, anche in presenza di documenti che potrebbero essere interpretati diversamente.

Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione in una causa relativa a una servitù di veduta?
La Corte di Cassazione non può riesaminare e rivalutare nel merito le prove (come le testimonianze o i documenti). Il suo ruolo è quello di controllare la corretta applicazione delle norme giuridiche e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Non può sostituire il proprio apprezzamento dei fatti a quello dei giudici di primo e secondo grado.

Cosa accade se una nuova costruzione non rispetta la distanza legale da una veduta esistente?
Se viene accertata l’esistenza di una servitù di veduta, la costruzione realizzata in violazione delle distanze legali (in questo caso, l’art. 907 c.c. che impone una distanza di tre metri) deve essere modificata. La Corte d’Appello ha infatti condannato la proprietaria a ‘ricondurre la propria costruzione’ a tale distanza, ordinando di fatto un abbassamento della stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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