Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7055 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7055 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 8741/2020 proposto da:
NOME CARO NOME COGNOME, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) .
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta n. 533/2019 depositata il 25/02/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 13 marzo 2024.
Servitù di veduta
Rilevato che:
con atto di citazione notificato il 1°/10/2004, NOME COGNOME convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, NOME COGNOME AVV_NOTAIO affinché venisse accertato che era titolare di una servitù di veduta diretta esercitata dal terrazzo al secondo piano della proprietà dello stesso attore prospiciente sulla proprietà finitima della convenuta, per destinazione del padre di famiglia e/o per usucapione per l’esercizio continuo e pacifico da epoca immemorabile, e chiese la condanna di quest’ultima alla demolizione e/o arretramento di una recente costruzione realizzata, in violazione della distanza legale ex art. 907, cod. civ., a ridosso del soprastante terrazzo dell’attor e, oltre al risarcimento dei danni;
la convenuta, costituendosi, contestò le pretese del vicino, chiese il rigetto della domanda e, in riconvenzionale, chiese che venisse dichiarata, ai sensi dell’art. 949, cod. civ., l’ illegittimità e/o inesistenza della veduta dal terrazzo dell’attore e la condanna del vicino all’eliminazione della veduta e al risarcimento dei danni;
il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza n. 1271/2010, rigettò sia l a domanda dell’attore sia la domanda riconvenzionale della convenuta;
interposto appello principale dal sig. COGNOME e appello incidentale dalla sig.ra COGNOME, la Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato la sig.ra COGNOME, testualmente, (pag. 11 della sentenza) ‘a ricondurre la propria costruzione insistente sulla particella 2385 fa. 11 Comune di Sommatino alle distanze di cui agli artt. 907, c. 1 e c. 3 c.c., dal terrazzo di proprietà di COGNOME e conferma per il resto l’impugnata sentenza’;
questa, in sintesi, la motivazione della sentenza d’appello:
(i) è inammissibile l’appello incidentale della sig.ra COGNOME nella parte in cui è formulata una domanda nuova volta alla chiusura di un ‘ ulteriore finestra, quale domanda che non era stata proposta in primo grado;
(ii) è in fondato l’appello principale del sig. COGNOME in punto di costituzione della servitù di veduta dal terrazzo di sua proprietà per destinazione del padre di famiglia poiché l’atto di divisione del 1953 non può essere interpretato nel senso che da esso derivi la costituzione di tale servitù.
Il che, prosegue la sentenza, non esclude che la servitù già esistesse al tempo;
(iii) la prova testimoniale svolta nel corso del giudizio ha confermato che il terrazzino (o balcone) già esisteva almeno dal 1965 e comunque almeno da un ventennio.
Il Tribunale ha ritenuto che da tale prova non sia possibile desumere lo stato dei luoghi circostante il terrazzo, cioè quale fosse la veduta usucapita, ma tale aspetto è irrilevante in quanto la convenuta, costituendosi, ha ammesso di avere effettuato la sopraelevazione che ha ridotto la distanza tra la soglia del terrazzo e la sottostante nuova costruzione a meno di tre metri. Per altro, la convenuta era a conoscenza che l’attore ritenesse di essere titolare del diritto di veduta, tanto è vero che la stessa parte, in comparsa di risposta, assume che quel diritto aveva formato oggetto di un accordo tra le parti: NOME avrebbe rinunciato al diritto di veduta, in cambio del riconoscimento, da parte della vicina, di una servitù di passaggio dello scarico fognario;
(iv) le testimonianze – rese da persone disinteressate e, quindi, attendibili, secondo cui il terrazzo esisteva da sempre -non sono in contrasto né con la donazione del 1985, con la quale NOME riceve dalla madre e dal germano la proprietà dell’area sovrastante l’edifici o
preesistente, né con la concessione edilizia del 1986: nessuno dei due atti esclude che il terrazzo preesistesse; anzi, nella concessione edilizia del 1986, prodotta dalla convenuta, il terrazzo viene indicato come ‘terrazzo esistente’ .
In definitiva, il diritto di veduta dal terrazzo dell’attore sulla proprietà della convenuta si deve ritenere acquisito per usucapione;
(v) poiché la costruzione in aderenza della sig.ra COGNOME è stata elevata fino a 1,16 m sotto la soglia del terrazzo del sig. COGNOME, il diritto di veduta in appiombo prima goduto dall’attore è stato leso .
Pertanto, la costruzione della convenuta deve essere ribassata nei limiti di tre metri al di sotto del terrazzo del vicino in modo da garantire la veduta in appiombo di cui all’art. 907, terzo comma, cod. civ., e ciò fino a tre metri in orizzontale in ossequio al disposto del primo comma di tale articolo;
la sig.ra COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con otto motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio;
Considerato che:
il primo motivo di ricorso ‘Violazione dell’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2722 c.c. e dell’art. 2700 c.c.’ ascrive alla Corte di Caltanissetta di avere ammesso la prova testimoniale ai fini della dimostrazione di fatti e circostanze consacrati in atti pubblici, quali la donazione del 1985 e la concessione edilizia del 1986, che godono di fede privilegiata e attestano che l’area sovrastante il primo piano di proprietà dell’attore era libera e non ancora costruita e che non esisteva alcun balcone dal quale potere esercitare il diritto di veduta sul fondo finitimo di proprietà della convenuta;
1.1. il motivo, nella sua duplice articolazione, è inammissibile;
1.2. sulla premessa che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la Corte d’appello non ha ammesso la prova per testi, ma ha valutato le testimonianze assunte in primo grado, il motivo non soddisfa il requisito dell’autosufficienza.
La censura si discosta dal seguente principio di diritto: «per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’ammissione , nei gradi di merito, di una prova testimoniale, per violazione degli artt. 2722, 2700, cod. civ., ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, al fine mettere la Corte di cassazione nella condizione di compiere la necessaria verifica in base alle sole deduzioni contenute nell ‘ atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative»;
il secondo motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 2730 c.c., art. 2735 c.c. e art. 116 c.p.c. ‘ -censura la sentenza impugnata per non avere interpretato come confessione stragiudiziale la dichiarazione resa dal donatario NOME COGNOME, nell’atto di donazione del 17/07/1985, là dove la parte afferma che oggetto della donazione è ‘ l ‘area libera soprastante due vani posti a primo piano del fabbricato sito in Sommatino, con ingresso da INDIRIZZO‘ ;
2.1. il motivo è inammissibile;
2.2. la premessa concettuale è che alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle
prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’àmbito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ( ex plurimi , Cass. 7/04/2017, n. 9097; Cass. 07/03/2018, n. 5355; Cass. 13/06/2023, n. 16781);
2.3. nella specie, la Corte d’appello, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha ritenuto che le prove per testi assunte in primo grado dimostrassero che il terrazzo dal quale l’attore fruiva della servitù di veduta sul fondo finitimo esisteva da sempre e comunque da un tempo sufficiente ai fini dell’usucapione ventennale del diritto reale su cosa altrui.
Inoltre, secondo la sentenza impugnata, l’atto di donazione del 1985 non consentiva di escludere che il terrazzo fosse preesistente all’atto di liberalità.
Rileva il Collegio che , ai fini dell’ammissibilità del motivo, la parte avrebbe dovuto criticare l’esegesi dell’atto di donazione del 1985 , operata dal Corte d’appello , facendo valere la violazione dei canoni di ermeneutica disciplinati dagli artt. 1362 e seguenti cod. civ.; la descritta omissione comporta l’inammissibilità della censura;
il terzo motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti ‘ -censura la sentenza impugnata che non ha esaminato le deduzioni dell’appella ta sig.ra COGNOME sul valore confessorio delle dichiarazioni rese dal sig. COGNOME nel menzionato atto
di donazione del 17/07/1985 e nella successiva richiesta di concessione edilizia;
3.1. il motivo è inammissibile;
3.2. fin da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella specie applicabile ratione temporis , ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività» (cfr., altresì Cass., 27/04/2023, n. 11111, che, in motivazione, punto 5.2.2., sottolinea che il ‘nuovo’ motivo di cui al n. 5 assume caratteristiche completamente diverse da quelle del ‘vecchio’ vizio di motivazione);
3.3. nel caso in esame, il rilievo critico non riguarda l’omesso esame di un ‘ fatto storico ‘ decisivo, ma l’omesso esame delle deduzioni della sig.ra COGNOME sul valore confessorio delle dichiarazioni rese dal sig. COGNOME nell’atto di donazione e nella richiesta di concessione edilizia;
il quarto motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.’ addebita al giudice d’appello di avere valutato secondo il suo prudente apprezzamento, facendone oggetto di prova testimoniale, il
materiale probatorio, costituito da prove cd. legali -l’atto di donazione del 1985 e la concessione edilizia del 1986 – fornito di fede privilegiata, offerto dall’app ellata;
4.1. il motivo è inammissibile;
4.2. la censura si sostanzia nell ‘inammissibile richiesta, rivolta a questa Corte, di rivalutare il materiale probatorio già insindacabilmente apprezzato dal giudice di merito;
il quinto motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ -censura la sentenza impugnata che non ha pronunciato su un punto decisivo della controversia , e cioè sull’inammissibilità della prova per testi, eccepita dall’appellata in entrambi i gradi di merito;
5.1. il motivo è inammissibile;
5.2. la ricorrente si duole dell’omessa pronuncia , da parte della Corte d’appello, sull’eccezione di inammissibilità della prova per testi, lì dove, come già indicato sub punto 3.2., il vizio dedotto riguardo l’omesso esame di un fatto storico decisivo ai fini del giudizio.
Per completezza, è utile rilevare che il motivo non soddisfa il principio di autosufficienza e che, inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto attendibili i testi, ciò che vale come implicito rigetto dell’eccezione di inammissibilità del mezzo istruttorio;
il sesto motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.’ censura, testualmente, (cfr. pag. 15) ‘il cattivo esercizio del proprio apprezzamento circa la valutazione delle deposizioni testimoniali, l’attendibilità dei testi, la credibilità e la rilevanza probatoria delle loro affermazioni’;
6.1. il motivo è inammissibile;
6.2. va data continuità alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U., 30/09/2020, n. 20867, che menziona: Cass. Sez. U., 05/08/2016, n. 16598; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, e a Cass. 20/12/2007, n. 26965), secondo cui «n tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione»;
6.3. in questa fattispecie concreta, a prescindere dal riferimento, nella rubrica del mezzo di impugnazione, all’ errore in procedendo di cui all’art. 116, cod. proc. civ., è chiaro che al giudice di appello si imputa un ipotetico errore in iudicando, consistente nel cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove assunte in primo grado.
Il sindacato della Corte di cassazione è più circoscritto e si arresta alle soglie del fatto;
il settimo motivo -‘Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.’ –
censura la sentenza impugnata per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
La ricorrente rileva che la Corte distrettuale ha erroneamente statuito che l’appellante incidentale non si era limitata ad insistere nella domanda, già proposta in primo grado, di chiusura della veduta esercitata dal terrazzo dell’attore , ma aveva altresì inammissibilmente proposto una domanda nuova, al fine di ottenere la chiusura anche di un ‘ ulteriore finestra.
Sottolinea che, nel giudizio di primo grado, nella memoria ex art. 183, cod. proc. civ., modificando le domande proposte in comparsa di costituzione e risposta, aveva chiesto ‘la chiusura di tutte le vedute prospicienti sulla proprietà ‘;
7.1. il motivo è infondato;
7.2. la sentenza impugnata, senza contravvenire al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ha affermato che la domanda dell’appellante incidentale di chiusura di un’ulteriore finestra era inammissibile perché nuova.
Non risulta che la parte avesse tempestivamente chiesto la condanna dell’attore all a chiusura di tale finestra.
Anzi, stando alle conclusioni trascritte a pag. 14 del controricorso, con la domanda riconvenzionale – una negatoria servitisi ex art. 949, cod. civ. -la convenuta aveva chiesto la condanna dell’attore all’eliminazione della venduta esercitata dal terrazzo, non anche la sua condanna alla chiusura di altre finestre;
l’ottavo motivo (indicato , in ricorso, come ‘VII’) ‘Violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ censura la sentenza impugnata che ha omesso di pronunciare sulla domanda della appellante incidentale avente ad oggetto ‘la chiusura di tutte le vedute prospicienti sulla proprietà’ della ricorrente;
8.1. il motivo è inammissibile per le ragioni illustrate in precedenza (cfr. punti 3.2. e 5.2.);
in conclusione, il ricorso è rigettato;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, ma il Collegio non ravvisa i presupposti per la condanna della ricorrente ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., sollecitata da controparte;
11 . ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500 ,00, più € 200,00, per esborsi, oltre al 15 per cento per il rimborso delle spese generali, e agli accessori di legge , con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 13 marzo 2024.