Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8241 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30954/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE, gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
nonché
NOMECOGNOME
-intimata- avverso la sentenza n. 58/2020 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 20/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Il Tribunale di Trento disattese la domanda di ‘confessoria servitutis’ di passo proposta da NOME COGNOME così accertando la libertà del fondo dei convenuti NOME COGNOME e NOME COGNOME; dichiarò, invece, sussistere servitù di veduta a carico del fondo della COGNOME, acquisita per usucapione da NOME COGNOME. Rigettò, infine, la domanda riconvenzionale, con la quale il COGNOME aveva chiesto dichiararsi sussistere servitù di passo, acquisita per usucapione, <>. Le spese, compensate per 1/3, vennero poste per i restanti 2/3 a carico dell’attrice.
La Corte d’appello di Trento rigettò l’impugnazione principale della COGNOME e quella incidentale del COGNOME, compensando per intero le spese dei due gradi.
NOME COGNOME ricorre sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e l’intimato resiste con controricorso.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1061 e 1158 cod. civ., per avere la sentenza della Corte locale, ad un tempo, affermato la servitù di veduta per la porta posta sul lato ovest della p. ed. 18 sulla stradina aggregata alla p. ed. 16 e negata l’esistenza della servitù di passo sulla medesima particella.
In particolare, si asserisce l’erroneità della motivazione e il contrasto con la legge, sottoponendo a critica il passaggio motivazionale della sentenza attraverso il quale si era esclusa contraddizione <>.
La sentenza, erroneamente vagliando le emergenze di causa, soggiunge il COGNOME, aveva escluso che fosse rimasto provato il possesso ventennale, nonostante che la porta fosse esistente per lo meno dal 1912. Inoltre, aggiunge il ricorrente, non vi era alcuna necessità di dare dimostrazione, attraverso la prova per testi, del proprio diritto di passo attraverso la porta, acquisito per usucapione, emergendo ciò dalla documentazione in atti. Infine, l’esistenza della porta rendeva inevitabilmente apparente la servitù di passo.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Nella sostanza il ricorrente ripropone l’essenza della critica alla sentenza di primo grado sottoposta alla Corte d’appello. Critica che la sentenza qui impugnata ha motivatamente disatteso, non solo con gli argomenti riportati dallo stesso ricorrente, ma altresì evidenziando l’irrilevanza dei proposti capitoli di prova orale, mancando, per contro, l’offerta della prova orale sul decisivo profilo costituito dall’incontrastato passaggio ultraventennale attraverso la porta, non essendo bastevole al fine dimostrare per testi l’esistenza della porta, peraltro già accertata dal c.t.u.
All’evidenza trattasi, pertanto, della pretesa d’un improprio nuovo apprezzamento della ricostruzione fattuale, di esclusivo dominio del giudice del merito.
Né, la presenza di una porta, in assenza della dimostrazione del transito non clandestino e non violento, con ‘animus re sic habendi’, siccome accertato in fatto, costituisce elemento sufficiente per la chiesta declaratoria d’usucapione della servitù di passo.
Sotto altro profilo, il richiamo agli artt. 1061 e 1158 cod. civ. non coglie nel segno.
Per vero, la denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente ( ex multis , Cass., Sez. Un., n. 25573 del 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per non avere la sentenza accertato l’interclusione della p. ed. 18.
4.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, risulta del tutto evidente che la lamentela non attiene all’omesso esame di un fatto storico/documentale, bensì, ancora una volta, al vaglio delle emergenze di causa.
In via generale, peraltro, va ricordato che in presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che
esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014; conf., ex multis , Cass. n. 19001/2016 e Cass. n. 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 91 e 92 cod. civ., per avere la sentenza d’appello compensato integralmente le spese di primo grado, che, invece, il Tribunale aveva posto per i 2/3 a carico della controparte. La Corte d’appello, secondo il ricorrente, aveva violato la legge affermando sussistere reciproca soccombenza.
5.1. Il motivo è infondato.
Premesso che il capo del provvedimento che regolamenta le spese deve corrispondere all’esito complessivo della lite, pur in ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, nel caso in cui il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (cfr. Cass. n. 27606 del 29/10/2019), come nella fattispecie in esame.
Tanto chiarito, è indubbio che il ricorrente, avendo impugnato il capo della decisione del Tribunale che lo vedeva soccombente con esito sfavorevole, perciò stesso imponeva al Giudice di secondo grado una nuova statuizione sul capo delle spese.
Di poi, la decisione di disporre integrale compensazione costituisce apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede, neppure sotto il profilo della proporzionalità delle reciproche soccombenze (cfr., ex multis , Cass. n. 30592/2017).
In conclusione il ricorso merita rigetto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi ed euro 200,oo per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 29