Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27787 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27787  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21991/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, nel  cui  studio  in  INDIRIZZO  INDIRIZZO,  è  elettivamente domiciliata.
-ricorrente –
contro
NOME,  rappresentata  e  difesa  dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in INDIRIZZO INDIRIZZO, è  elettivamente domiciliata.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 932/2022 resa dalla Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 9/6/2022 e notificata il 17/6/2022;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 18/9/2025 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con ricorso ex art. 702bis , cod. proc. civ., NOME adì il Tribunale di Bari, chiedendo che venisse accertato il suo diritto di passaggio dal civico INDIRIZZO di INDIRIZZO, in Monopoli, al fine di raggiungere il lastrico solare di sua proprietà, come stabilito dall’atto di divisione ereditaria del 10/3/2011 e dal successivo atto di donazione del 25/2/2013, e che venisse ordinato a NOME, proprietaria dell’immobile sito nel predetto civico, di non impedirle l’accesso.
Costituitasi in giudizio, NOME eccepì che l’atto di divisione del 10/3/2011 descriveva l’accesso al fabbricato di INDIRIZZO, di  cui  il  lastrico  solare  faceva  parte,  senza  costituire  alcun  diritto reale o personale di godimento in favore di COGNOME NOME, donante di  COGNOME  NOME,  precisando  che  né  la  ricorrente,  né  altri  avevano mai acceduto al lastrico passando attraverso il proprio appartamento.
Il Tribunale di Bari rigettò la domanda con ordinanza n. 608/18 del 5/2/2018.
Il giudizio di gravame, instaurato da NOME, si concluse, nella resistenza di NOME, con la sentenza n. 932/2022, pubblicata  il  9/6/2022,  con  la  quale  la  Corte  d’Appello  di  Bari rigettò l’appello.
 Contro  la  predetta  sentenza,  COGNOME  NOME  propone  ricorso  per cassazione sulla base di cinque motivi.  COGNOME NOME si difende con controricorso.
Il  consigliere  delegato  ha  formulato  proposta  di  definizione  del giudizio ai sensi dell’art.  380 -bis cod. proc. civ.,  ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente, a mezzo del difensore munito  di  nuova  procura  speciale,  ha  chiesto  la  decisione  del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che :
Occorre, preliminarmente, evidenziare che, come affermato di recente dalle Sezioni unite di questa Corte, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass., Sez. U, 10/4/2024, n. 9611), sicché non rileva, nella specie, che il collegio sia composto da un consigliere che ha anche redatto la proposta di definizione anticipata.
 Ciò  detto,  con  il  primo  motivo  di  ricorso,  si  lamenta  l’omesso esame del contenuto dell’atto di divisione del 10/3/2011, intercorso tra il donante e COGNOME NOME, e la conseguente violazione dell’art. 1063  cod.  civ.,  in  relazione  all’art.  360,  primo  comma,  nn.  3-5, cod.  proc.  civ.,  perché  i  giudici  di  merito,  nonostante  il  suddetto
atto  di  divisione  contemplasse  una  servitù  di  passaggio  a  carico dell’appartamento della controricorrente, sito in INDIRIZZO, e in  favore  del  lastrico  solare  della  ricorrente,  nonché  la  relativa estensione, avevano omesso di dichiarare l’esistenza del suddetto diritto reale.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1364, 1367, 1059 cod. civ., 112 e 113 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3-45, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano interpretato l’atto di divisione del 10/3/2011 senza tener conto della volontà delle parti al momento della stipula e della necessità che questo producesse un qualche effetto, piuttosto che nessuno. La ricorrente ha, sul punto, evidenziato che la suddetta scrittura prevedeva, senza possibilità di equivoci, che l’accesso al lastrico solare, spettato in proprietà al proprio dante causa, COGNOME NOME, dovesse avvenire attraverso l’appartamento spettato a COGNOME NOME, sito nella INDIRIZZO, e che detto diritto sarebbe perdurato tanto a favore di COGNOME NOME, quanto dei discendenti in linea retta del predetto, come nella specie, venendo meno solo in caso di cessione del bene a terzi.
I primi due motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, siccome afferenti entrambi alla corretta interpretazione dell’atto di divisione del 2011, sono inammissibili. devono avere i caratteri non solo della specificità e Sez.  3,  2/8/2002,  n.  11530),  le  censure  non  attingono  la decidendi
Infatti,  discostandosi  dal  principio  secondo  cui  i  motivi  posti  a fondamento  dell’invocata  cassazione  della  decisione  impugnata della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., ratio risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, la quale è tutta incentrata sulla sussistenza o meno dei presupposti per  ravvisare  la  costituzione  di  una  servitù  per  destinazione  del
padre  di  famiglia  e  sulla  ravvisabilità,  nella  specie,  del  requisito dell’apparenza.
In  nessuna  parte  della  sentenza  si  fa  cenno,  invece,  all’atto  di divisione e a quello di donazione, se non nel punto in cui vengono descritti i motivi d’appello, che, peraltro, pur citando i suddetti atti, vertono esclusivamente sull’asserita scorretta applicazione dell’istituto  della  destinazione  del  padre  di  famiglia,  disciplinato dall’art. 1062 cod. civ..
Né  può  dirsi  che  i  due  modi  di  costituzione  della  servitù  siano coincidenti.
Infatti, la costituzione volontaria della servitù si differenzia da quella per destinazione del padre di famiglia in quanto in essa la volontà delle parti, consacrata nel relativo negozio, costituisce la fonte di siffatto diritto, indipendentemente dall’eventuale preesistente stato di asservimento che per effetto del frazionamento acquista l’apparenza di servitù, mentre nel secondo caso, ricorrendo la cennata situazione di asservimento, l’espressione di una volontà può servire soltanto per escludere l’applicabilità dell’art. 1062 cod. civ., rientrando nella normalità dell’ipotesi ora considerata la consapevolezza dei contraenti circa lo stato dei luoghi e gli effetti che ne derivano una volta effettuato il frazionamento (in questi termini, Cass., Sez. 2, 6/5/1972, n. 1389, che ha cassato la sentenza in quanto aveva confuso la volontà manifestata, sia pure in modo non chiaro ed integrabile per relationem , diretta a costituire una servitù, con la consapevolezza, nell’acquisto di un fondo, dello stato di asservimento in cui la parte acquistata si trovava rispetto ad un’ altra).
Con  il terzo motivo di ricorso, si lamenta  la violazione, l’omissione e la falsa applicazione dell’art. 1062, n. 1, cod. civ., in relazione  all’art.  360,  primo  comma,  nn.  3-5,  cod.  proc.  civ.,  per avere  i  giudici  di  merito  omesso  di  considerare  che  la  suddetta
servitù era stata costituita per destinazione del padre di famiglia, in assenza di disposizioni di segno contrario dell’originario proprietario dell’intero edificio. Infatti, COGNOME NOME, padre dei due condividenti, accedeva al lastrico solare, toccato in sede di divisione al proprio dante causa, COGNOME NOME, attraverso la porta esistente nell’abitazione poi attribuita a COGNOME NOME, mentre nessuna manifestazione contraria, tale da modificare lo stato dei luoghi e l’accesso al lastrico solare, era stata espressa dal medesimo, né risultava dal successivo atto di divisione.
6. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027, 1028, 1062, n. 2, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3-5, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello escluso il requisito della apparenza della servitù ai fini dell’acquisto per destinazione del padre di famiglia, affermando immotivatamente che l’ingresso dalla INDIRIZZO avrebbe svolto la funzione di accesso all’abitazione già di proprietà di NOME, senza essere stato specificatamente realizzato per consentire l’accesso al lastrico solare di proprietà di NOME, che avrebbe potuto realizzare un autonomo accesso attraverso i lucernari.
La ricorrente, premesso che tale modalità di acquisto della servitù presuppone l’accertamento dello stato dei luoghi al momento della divisione del fondo originariamente appartenente ad un unico proprietario, rimanendo irrilevanti le successive modifiche, e che la realizzazione di lucernari nel proprio appartamento ne avrebbe determinato lo smembramento e la perdita di valore, ha obiettato che non si era tenuto conto della porta d’accesso preesistente realizzata tra l’immobile di NOME NOME e il proprio lastrico solare, che, costituente opera visibile e permanente, aveva da sempre svolto la funzione di unico accesso al lastrico proprio attraverso le scale e la successiva abitazione di NOME.
I  giudici  di  merito  avevano,  perciò,  errato  in  quanto  avevano escluso  il  requisito  dell’apparenza  solo  relativamente  alle  scale, senza  tener  conto  della  porta  e  della  rampa  di  collegamento esistente  tra  i  12  mq.  di  lastrico  solare  di  proprietà  della  stessa ricorrente  in  uso  a  NOME  NOME  e  il  residuo  lastrico  solare,  e avevano  richiamato  un  precedente  di  legittimità  riguardante  una fattispecie tutt’affatto differente.
Il terzo e quarto motivo, da trattare congiuntamente in ragione della  stretta  connessione,  siccome  afferenti  ai  requisiti  necessari perché possa dirsi costituita una servitù per destinazione del padre di famiglia, sono parte inammissibili e parte infondati.
Quanto alle questioni prospettate come omesso esame e sussunte sotto la fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., si osserva che, ne ll’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introAVV_NOTAIOi con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombente questo rimasto inadempiuto nella specie.
Quanto alla deAVV_NOTAIOa violazione e falsa applicazione di legge, si osserva che la servitù per destinazione del padre di famiglia si costituisce ope legis per il fatto che, al momento della separazione dei fondi o del frazionamento dell’unico fondo e del conseguente venir meno dell’appartenenza di essi allo stesso proprietario (Cass., Sez. 2, 12/12/2019, n. 32684), vi siano opere o segni manifesti e inequivoci di una situazione oggettiva di subordinazione o di servizio, che integri de facto il contenuto proprio di una servitù, indipendentemente da qualsiasi volontà, tacita o presunta, dell’unico proprietario nel determinarla o nel mantenerla (Cass., Sez. 2, 21/02/2024, n. 4646).
Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per destinazione del padre di famiglia, si configura, in particolare, come presenza di opere permanenti e visibili destinate al suo esercizio, e perché sussista tale visibilità è sufficiente che le opere siano individuabili -anche se solo saltuariamente ed occasionalmente -da qualsivoglia punto d’osservazione, anche esterno al fondo servente, purché, per la loro struttura e consistenza, esse rendano manifesta la situazione di asservimento di tale fondo (Cass., Sez. 2, 08/06/2017, n. 14292), rilevando all’uopo le oggettive caratteristiche dell’opera e la sua realizzazione al preciso scopo di attuare la servitù (Cass., Sez. 6-2, 06/05/2021, n. 11834; Cass., Sez. 6-2, 17/03/2017, n. 7004; Cass., Sez. 2, 31/05/2010, n. 13238) e non già il modo in cui questa viene utilizzata (Cass., Sez. 2, 17/2/2004, n. 2994).
Nella specie, i giudici di merito hanno escluso il requisito dell’apparenza,  sostenendo  che  l’accesso  dalla  INDIRIZZO, non comportasse l’accesso specifico al lastrico solare di proprietà di COGNOME  NOME,  bensì  l’ingresso  all’abitazione  di  COGNOME  NOME  che, posta allo stesso livello del lastrico, consente l’accesso di quest’ultima  alla  parte  di  lastrico  di  mq.  12,  sulla  quale  essa
vantava un diritto personale di godimento, e affermando che non fosse  sufficiente  l’esistenza  di  un  percorso  idoneo  allo  scopo, essendo viceversa essenziale che la realizzazione dell’opera mostrasse  di  essere  avvenuta  al  preciso  fine  di  dare  accesso  dal fondo  preteso  servente  a  quello  preteso  dominante,  circostanza questa esclusa nella specie.
Tale  argomentazione  non  si  discosta  affatto,  dunque,  dai  principi sopra affermati, in quanto valorizza correttamente quali fossero le caratteristiche dell’opera, individuando il quid pluris atto a dimostrare  la  sua  specifica  destinazione  all’esercizio  della  servitù, senza dare alcuno spazio alle modalità del suo utilizzo.
Pertanto, poiché l’accertamento dell’apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, è una quaestio facti rimessa alla valutazione del giudice del merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass., Sez. 2, 17/02/2005, n. 3273; Cass., Sez. 2, 25/01/2001, n. 1043; Cass., Sez. 2, 05/03/1987, n. 2323), deve escludersi la deAVV_NOTAIOa violazione e/o falsa applicazione delle norme che disciplinano la materia, dovendo piuttosto rinvenirsi nella doglianza la sottintesa finalità di ottenere una rivisitazione nel merito della questione, la quale è preclusa a questo giudice di legittimità.
8.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito condannato la ricorrente alle spese di lite, senza considerare che l’ordinanza di questa Corte n. 11834 del 6/5/2021 era successiva all’introduzione del giudizio e che questa si poneva in contrasto con i precedenti arresti giurisprudenziali, con conseguente assenza di univocità della questione e sussistenza
delle gravi ed eccezionali ragioni idonee a giustificare la deroga alla soccombenza.
8.2 Il quinto motivo è inammissibile.
Infatti, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 1, 14/4/2023, n. 10043; Cass., Sez. 6-3, 26/4/2019, n. 11329; Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Consegue da quanto detto l’inammissibilità della censura.
In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo, secondo e quinto  motivo  e  l’infondatezza  dei  restanti,  il  ricorso  deve  essere rigettato.  Le  spese  del  giudizio,  liquidate  come  in  dispositivo, seguono  la  soccombenza  e  devono  esser  poste  a  carico  del ricorrente.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
Considerato  il  tenore  della  pronuncia,  va  dato  atto -ai  sensi dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  D.P.R.  n.  115  del  2002 -della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 3.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/9/2025.
Il Presidente NOME COGNOME